Riportiamo alcuni brani di un testo inedito, dal
Nachlass di Deleuze e Guattari.
“[…] e se probabilmente dovessimo indicare, nel magmatico caos dei nostri giorni, una figura che sopra le altre sia emblema del nostro pensiero, è senza esitazione che indicheremmo Michael Jackson. Se abbiamo ripetuto fino alla nausea che non c’è ragione più profonda per scrivere che la leviana vergogna di essere uomo, ecco che, in questo grande artista, tutto si fa proliferarsi di vie di fuga dall’umano, verso la pura affermazione, che intensivamente fila in ogni direzione, che non si può costringere a consistere, che crea essa stessa nuove inaudite possibilità di vita, presa in un incessante e inconsapevole divenire.
Il corpo a corpo di Michael con l’essere-uomo, comincia sin da piccolo: egli infatti nasce non già uomo, bensì – già Mozart deterritorializzato – bambino. E la sua stessa bambinitudine, lungi dal voler rappresentare il triangolare e oppressivo cliché familistico e familiare, si svolge lontano dalla macchina castratrice, dalla ghiandola che incessantemente secerne Edipo. Egli è segregato in casa (ai ricordi di mamma-papà, alla psicosi della nonnina si sostituisce il calvario creativo in cui il padre si è trasformato in un’istanza immanente, sovranamente anomala, di spinta continua verso un divenire-Jackson5; è questa spinta esterna a impedirgli di fermarsi, di aderire alle forme comuni e dominanti, di cedere alla tentazione stessa della forma, di qualsivoglia esser-formato), e allo stesso tempo è disvelato in pubblico: non c’è interiorità che non sia già superficializzata, che non si trasformi in gesto, in danza calcolata (splendore del dandy baudelaireano; infinita pozione del tricheco), in movimento secco (vaso greco, geroglifico egizio).
[…] La sua danza, fluida e spezzata come il meno inelegante dei gesti di Carmelo Bene, è la cifra del suo divenire artistico: in lui convivono l’esperienza fondamentale della marionetta di Kleist, come del Mimo di Mallarmé (un mimo cantante, quale supremo ossimoro! quale trasversale beckettiana! Opposto che risuona nella kafkiana Josephine, cantante muta). Egli, come diceva Antonin Artaud, fa danzare l’anatomia, lascia esistere solo corpo ed evento, senza dover ricorrere alle ipoteche metafisiche di un’anima, di una coscienza, di un individuo. Egli si fa vibrazione musicale, intensità, Pierrot lunare. […] Metafisica stoica del suo moonwalker; esso è l’Evento. Vapore delle cose che sale alla loro superficie: esso schiva continuamente il presente ed è contemporaneamente un divenire-passato (il movimento è all’indietro) e un divenire-futuro (il passo non smette di essere in avanti). Aiôn.
Perfetta estasi delle sue coreografie (armonia del crostaceo esponenziale! Frattale assoluto), lo stupore del perfetto divenire-animale, il divenire-lupo nel video di “Bad” (lui, cattivo, possibile? Non sta forse adombrando la possibilità di una risemantizzazione del termine, non sta forse indicando la via di una danza al di sopra del bene e del male, pardon, al di là?), il respiro trattenuto quando si sporge in avanti e sembra che caschi e invece resta così, trasversale immonda e gioiosa, e mica cade.
[…] Ma non basta, non basta: il vero capolavoro di Michael è la sua viseità, il suo rifuggire constante dal regime semiotico significante e soggettivistico – generato dal concatenamento di potere autoritario-dispotico – del viso. Il viso è l’aggancio del potere, il viatico alla responsabilità individuale su cui poi il potere (i poteri, se diamo retta a quello coi bracci in culo) si potrà esercitare. Quanto abbiamo parlato, in Mille Piani, di disfare i tratti del viso, di romperne la semantica, l’organizzazione oppressiva di cui si fa portavoce? E lui, Michael Jackson, lo fa concretamente: ognuna delle sue tredici operazioni plastiche è un nuovo varcare un confine vibratile, un’ulteriore soglia intensiva da infrangere (il culo di un bambino non è esso stesso a sua volta una fragile soglia intensiva per cui passare?), un’immane linea di fuga verso il divenire-donna, il divenire-bambino, divenire-ermafrodito; ma anche divenire-Neverland, divenire-angelo, divenire-pedofilo, divenire-chiunque (lo splendore del si, l’intercambiabilità del tratto somatico, divenite chi siete, costruite i vostri corpi senza organi – chi più di lui si è fatto un tale corpo? –, de-organicizzatevi, fate rizoma), e altrettanto, nel suo delirio mondiale, territoriale, razziale: il divenire-bianco, il ce-lo-ricordiamo-che-eri-nero, il fare-figli-biondi. La vitiligine come decodificazione […]”.
D&G