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l'evento

giovedì, dicembre 10, 2009

già dall'inizio si annunciava come una delle tipiche trovate alla cofe. ma come smorzare il suo entusiasmo, la sua palpabile eccitazione? ho aderito senza esitazione alcuna. "ci dobbiamo prenotare!", mi dice quasi sussultando. va bene, prenotiamoci. "me l'ha detto quella, la deleuziana carina". benissimo cofe, andiamo, mi fido completamente: fammi solo sapere dove devo arrivare, a che ora, pensa a tutto tu. d'accordo, d'accordo. un'avvisaglia l'avevamo avuta, a dirla tutta, la sera prima: mail di avviso della prenotazione avvenuta all'evento (organizzato da chi? in cosa consiste? tutto ignoto), dice che dobbiamo portarci computer e casco. cofe, io il casco ce l'ho a palermo. non ti preoccupare còin ci penso io, scrivo una mail per chiedere che cazzo vuol dire. còin, apposto, vuol dire cuffie: ci dobbiamo portare computer e cuffie. va bene cofe, ci porteremo computer e cuffie. ma queste cose, se non le facciamo a parigi, ma dove le facciamo? vero cofe, vero, sono contento. apposto, apposto, ciao ciao.

l'indomani. skype. cofe: come ci organizziamo? cofe, dimmi tu, dimmi a che ora mi devo fare trovare e dove. ok, la cosa inizia alle 3, è un po' fuori parigi. come fuori parigi? no non fuori parigi, non ti preoccupare, appena sopra il boulevard peripherique, ci arriva la metro. ok, ok. ci troviamo alle 14.30 a Garibaldì. bene. mangio in fretta con F., che mi è venuto a trovare, pezzo di carne e patatine al ristorante di piggì a belleville, poi parto. bella la linea 2 di giorno, tutta sopra, si vede un sacco parigi, passa vicino al canale dell'ourq, barbés, poi a un certo punto si inabissa, passa anche da pigalle. cambio, arrivo a garibaldì. aspetto un po', arriva cofe. ci incamminiamo nella periferia parigina - ma st. ouen è quartiere simpatico.

arriviamo nel posto dell'evento. una sorta di centro sociale, enorme, c'è un ristorante, chiediamo informazioni. "siamo venuti per l'atelier sulla voce di Deleuze". L'atelier sulla voce di Deleuze? Cofe dove siamo finiti, qua non c'è niente. ma no, fidati, ora troviamo. scusa ma la tua amica? eh ma lei non viene. come non viene, cofe, prima ti invita e poi non viene? eh si se veniva mica ti portavo. ah ok. eh.

arriva V., ci dà delle informazioni, ci fa vedere una mega installazione al semibuio su Deleuze, con dei video. su una parete grande è proiettato il video di due tizi in un bosco. "è il bosco di vincennes", ci dicono, con grande deferenza. ah. quello del primo maggio, ci ho giocato a calcio, ho capito. ci presentano S. parliamo un po' in francese, lei parla super sottovoce e in maniera suadente, forse, secondo lei. convenevoli, poi vedo su un tavolo l'immagine-tempo in italiano, le chiedo come mai? e lei mi dice che è italiana. ah, noi pure siamo italiani! ah oui? mais en fait nous on ... e continua a parlare in francese, come se niente fosse. bah.

insomma ci spiega un po': lei ha fatto un film, che ha proiettato anche a procida, riutilizzando i video che M. B. ha fatto dei corsi di Deleuze a Vincennes, e oggi l'atelier è proprio con M. B.: avremo occasione di parlare con lei, discutere ecc. cazzo cofe, questi ci fanno parlare. ma no dai, ora vediamo che succede. 7 prenotazioni, pare. io vedo che ci siamo io, cofe, S., arriva M. B., V. e altri 2 (ma gli organizzatori sarebbero esclusi dalla prenotazione, vabbè). mentre aspettiamo ancora, S. ci racconta ancora delle cose, sull'idea del progetto, su D&G, su di noi. ma noi chi, cofe? noi, noi. avrete presente sicuramente il danzatore buto masuka magrolino, ci dice, ecco lui è andato in questo ex manicomio in cui lavorava Guattari, è un posto stupendo, in cui i medici sono un po' malati e i malati sono un po' medici. lui è rimasto lì un po' di tempo, io ci sono andata col mio compagno e non volevo più andare via, ce ne sono rimasti pochi di posti così, ce li stanno togliendo tutti. cofe, che ci stanno togliendo? i posti così. dai ma ci dobbiamo andare pure noi. ehò. e anche l'atelier di oggi è una specie di cosa di contestazione verso l'università per come la stanno facendo diventare, ci dice. ma chi? ma loro! e noi chi siamo, cofe? noi, noi, ma stai tranquillo. il tavolo per esempio è tutto stondeggiato e coi buchi, ma fatti apposta, forse perché il rettangolo è una forma e noi non siamo formali, vogliamo rimanere nel manicomio. mah, io tutti i torti...

insomma, presentazione del posto: artisti ecc, autoprodotto belle storie. progetti culturali, tipo questo. bello. parla M.B.: sono anni che sto curando un progetto sulla voce di Deleuze, trascrizione dei testi e messa in linea dei corsi. bello, meritorio, il sito lo conosco anche. ecco, sono anni, il lavoro è molto duro, molto importante (aria compresa). si. cofe. si coin. ma. si. a che ci serve il computer? boh, è in linea. connetetevi al sito, dice M.B. . tié, il mio non si connette. prendete un file. cofe. aprite un file word. cofe. ascoltate l'audio e correggete le trascrizioni che hanno fatto altri volontari prima di voi. cofe ma che cazzo dice questa? ... cofe ma scusa cosa siamo venuti a fare? l'atelier è praticamente che noi stiamo qua a correggere e trascrivere i corsi di deleuze? cofe scusa siamo venuti a st. ouen in un garage freddo con un gruppo metallaro che prova di là portandoci computer e casco per perdere un pomeriggio appresso a questi quattro fricchettoni per correggere il lavoro che dovrebbe fare questa qua, o qualcuno che è pagato per farlo? ... cofe ma ti sei accorto che questi quattro fricchettoni HANNO TUTTI IL MAC? COFE MA TI RENDI CONTO CHE ABBIAMO TUTTI IL MAC? COFE MA COSA CI STA SUCCEDENDO, COFE, RISPONDIMI, COFE! ...

alle 18 siamo andati via, dopo aver letto e corretto una lezione di Deleuze sul cinema, al freddo, al buio, aggratis. ma se queste cose non le facciamo a parigi, dove?

posticcio

domenica, ottobre 25, 2009




















Riportiamo alcuni brani di un testo inedito, dal Nachlass di Deleuze e Guattari.


“[…] e se probabilmente dovessimo indicare, nel magmatico caos dei nostri giorni, una figura che sopra le altre sia emblema del nostro pensiero, è senza esitazione che indicheremmo Michael Jackson. Se abbiamo ripetuto fino alla nausea che non c’è ragione più profonda per scrivere che la leviana vergogna di essere uomo, ecco che, in questo grande artista, tutto si fa proliferarsi di vie di fuga dall’umano, verso la pura affermazione, che intensivamente fila in ogni direzione, che non si può costringere a consistere, che crea essa stessa nuove inaudite possibilità di vita, presa in un incessante e inconsapevole divenire.
Il corpo a corpo di Michael con l’essere-uomo, comincia sin da piccolo: egli infatti nasce non già uomo, bensì – già Mozart deterritorializzato – bambino. E la sua stessa bambinitudine, lungi dal voler rappresentare il triangolare e oppressivo cliché familistico e familiare, si svolge lontano dalla macchina castratrice, dalla ghiandola che incessantemente secerne Edipo. Egli è segregato in casa (ai ricordi di mamma-papà, alla psicosi della nonnina si sostituisce il calvario creativo in cui il padre si è trasformato in un’istanza immanente, sovranamente anomala, di spinta continua verso un divenire-Jackson5; è questa spinta esterna a impedirgli di fermarsi, di aderire alle forme comuni e dominanti, di cedere alla tentazione stessa della forma, di qualsivoglia esser-formato), e allo stesso tempo è disvelato in pubblico: non c’è interiorità che non sia già superficializzata, che non si trasformi in gesto, in danza calcolata (splendore del dandy baudelaireano; infinita pozione del tricheco), in movimento secco (vaso greco, geroglifico egizio).
[…] La sua danza, fluida e spezzata come il meno inelegante dei gesti di Carmelo Bene, è la cifra del suo divenire artistico: in lui convivono l’esperienza fondamentale della marionetta di Kleist,  come del Mimo di Mallarmé (un mimo cantante, quale supremo ossimoro! quale trasversale beckettiana! Opposto che risuona nella kafkiana Josephine, cantante muta). Egli, come diceva Antonin Artaud, fa danzare l’anatomia, lascia esistere solo corpo ed evento, senza dover ricorrere alle ipoteche metafisiche di un’anima, di una coscienza, di un individuo. Egli si fa vibrazione musicale, intensità, Pierrot lunare. […] Metafisica stoica del suo moonwalker; esso è l’Evento. Vapore delle cose che sale alla loro superficie: esso schiva continuamente il presente ed è contemporaneamente un divenire-passato (il movimento è all’indietro) e un divenire-futuro (il passo non smette di essere in avanti). Aiôn.
Perfetta estasi delle sue coreografie (armonia del crostaceo esponenziale! Frattale assoluto), lo stupore del perfetto divenire-animale, il divenire-lupo nel video di “Bad” (lui, cattivo, possibile? Non sta forse adombrando la possibilità di una risemantizzazione del termine, non sta forse indicando la via di una danza al di sopra del bene e del male, pardon, al di là?), il respiro trattenuto quando si sporge in avanti e sembra che caschi e invece resta così, trasversale immonda e gioiosa, e mica cade.
[…] Ma non basta, non basta: il vero capolavoro di Michael è la sua viseità, il suo rifuggire constante dal regime semiotico significante e soggettivistico – generato dal concatenamento di potere autoritario-dispotico – del viso. Il viso è l’aggancio del potere, il viatico alla responsabilità individuale su cui poi il potere (i poteri, se diamo retta a quello coi bracci in culo) si potrà esercitare. Quanto abbiamo parlato, in Mille Piani, di disfare i tratti del viso, di romperne la semantica, l’organizzazione oppressiva di cui si fa portavoce? E lui, Michael Jackson, lo fa concretamente: ognuna delle sue tredici operazioni plastiche è un nuovo varcare un confine vibratile, un’ulteriore soglia intensiva da infrangere (il culo di un bambino non è esso stesso a sua volta una fragile soglia intensiva per cui passare?), un’immane linea di fuga verso il divenire-donna, il divenire-bambino, divenire-ermafrodito; ma anche divenire-Neverland, divenire-angelo, divenire-pedofilo, divenire-chiunque (lo splendore del si, l’intercambiabilità del tratto somatico, divenite chi siete, costruite i vostri corpi senza organi – chi più di lui si è fatto un tale corpo? –, de-organicizzatevi, fate rizoma), e altrettanto, nel suo delirio mondiale, territoriale, razziale: il divenire-bianco, il ce-lo-ricordiamo-che-eri-nero, il fare-figli-biondi. La vitiligine come decodificazione […]”.

D&G

la sorella eterozigota

lunedì, ottobre 06, 2008

lo sapevo che non sarebbe stato semplicissimo.
quando betti è partito, mi aveva lasciato, quasi fosse una sua ultima volontà pisana, un compito. volevo onorarlo al meglio, ma sapevo che sarebbe stato arduo.
anche se non credevo così arduo.
conoscete tutti i gemelli. i gemelli sono quelli che tutti abbiamo pensato per un certo periodo fossero dei fidanzati, e invece no, erano semplicemente gemelli eterozigoti. o addirittura, più semplicemente, solo fratelli, ma per dimostare una maggiore familiarità ci piace chiamarli "gemelli eterozigoti".
all'inizio abbiamo pensato che i gemelli eterozigoti fossero i più simpatici di tutti, ed effettivamente c'è qualcuno che lo crede ancora. solo che i gemelli eterozigoti hanno un piccolo problema: non sanno fare quello in cui si impegnano di più. il che evidentemente è un problema. ma non è che non lo fanno abbastanza bene: sono negati. Lei, in particolare.
ok, sto esagerando. ma questa storia ve la devo raccontare.

dovete sapere che ho smesso di frequentare i gemelli eterozigoti quando ho sentito per l'ennesima volta dire alla sorella eterozigota: delùs. continuavo a portare libri di deleuze, e lei diceva: ah, vuoi delùs.
la odiavo.
era più forte di me, ho deciso che o io o lei, e per evitare problemi con la giustizia ho preferito smettere di frequentarli. anche se ogni tanto questo delùs mi torna in mente, e ancora mi viene la pelle d'oca. anche perchè ci provavo a spiegarle come si diceva, ma lei niente: delùs, delùs, delùs. convinta, eh. e io non potevo non pensare alla canzone di vasco: ehi tu delusa, attenta che si truoppu arrusa.

poi è successo che circa 10 giorni fa amicobetti le ha portato un libro, e io ero fuori ad aspettare (non volevo entrare, non sono più entrato dopo delùs). c'era amicani con lui. uscendo, amicani ha chiesto ad amicobetti:

- scusa ma perchè ha scritto "daniele", se ti chiami gabriele?

e amicobetti ha detto:

- è sempre così, mi chiama gabriele, sa che mi chiamo gabriele, ma scrive "daniele".

rifletteteci un attimo. siamo davanti a un chiaro caso di schizofrenia: anche fucò non avrebbe dubbi. ma non pensate a lei, pensate a me: che già nel frattempo ero proiettato nel triste momento in cui mi sarebbe toccato, ancora una volta, avere a che fare con delùs. ma erano i giorni di una tristezza maggiore: quella dell'abbandono di viarigattieri, i giorni delle partenze, ed è stato facile dimenticare il tutto.

oggi però ci sono andato.

durante tutto il tragitto ho pensato: e adesso che cosa le dico? mi dai il libro di gabriele dove tu avrai scritto "daniele" (perchè sei matta)? anche perchè se le dico di darmi il libro di daniele lei non capisce, perchè mi associa a gabriele. oppure, che cosa posso fare? che strategia devo adottare?
sapete dove abito adesso, quindi avete idea di tutto il percorso che ho dovuto fare, e per quanto tempo questi pensieri mi hanno tormentato. per fortuna, c'era amicani con me. giunti dai gemelli eterozigoti, mando avanti lei. ok, vigliacco, ma lo faccio per evitare un omicidio. purtroppo, assisto.


AMICANI: ciao, devo ritirare il libro di gabriele.

DELUS: ah sì, me l'ha detto! aspetta che te lo cerco.

lo cerca. non lo trova, naturalmente.

AMICANI: forse l'hai segnato col nome "daniele"...

ora, una persona normale direbbe: scusa, se mi hai chiesto il libro di gabriele, perchè avrei dovuto segnarlo col nome di daniele? ma evidentemente lei, che sa di essere schizofrenica, non avanza alcuna obiezione e cerca daniele. ma niente.

AMICANI: guarda, era un libro di nietzsche, ti aveva detto che passava andrea...

DELUS: ma guarda, sto cercando ovunque, non c'è niente...

AMICANI: prova a vedere nietzsche...

DELUS: mi ricordo, che doveva fare un esame, ma non lo trovo...

ok. già immagino cosa sta per succedere. lo so, ora dirà qualcosa e mi ferirà. lo so. lo voglio evitare a tutti i costi: prendo la parola!

IO: forse avrai scritto "andrea", prova un po'?

DELUS: aaaaaaaaaaahhhhhhhh! ecco!! avevo scritto Andrea-Daniele!!! è un libro di NEZCHI, vero?


AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!