vento e sanità

domenica, novembre 30, 2008


In America ti può succedere di essere sfortunatamente, o per tua fortuna (dipende dai punti di vista), l'unica testimone di una scena davvero divertente; talmente divertente che, mentre te la stai godendo, già cominci a sentire la voce del capo che ti fischia nelle orecchie e che ti avverte che se non scrivi qualcosa a riguardo sul blog sei davvero un'ingrata e che quindi questa volta non potrai dire "m'abbutta!!!".
Anche questo sabato mattina sono andata al mio corso di inglese che si tiene ogni sabato alle dieci e dura tre ore (una condanna si potrebbe dire). I corsi di inglese in america sono generalmente popolati di "cacariso" (come mi è stato insegnato a chiamarli al mio arrivo…) poco comunicativi (coreani, cinesi, giapponesi, vietnamiti), e di una buona percentuale di latinoamericani logorroici, messicani perlopiù.
Per il primo mese del corso sono stata l'unica italiana.
Il secondo mese decide di intraprendere “l'esperienza del corso di inglese” anche un italianissimo rigattiere assiduo scrittore di post e direi tra i più celebri e nominati del blog, al quale vengono attribuiti i post anche quando non è lui a scriverli.
Ci accordiamo però, io e lui, di sederci sempre distanti e di non parlare mai tra di noi, quasi quasi all'inizio facendo finta di non conoscerci.
Così in america mi è capitato un po' per caso di trovarmi ogni sabato mattina nella stessa aula insieme ad ilfe (che faccio finta di non conoscere), latinoamericani logorroici e cacariso asociali.
Questa mattina Jim, il "robusto" e un po' sad insegnante di inglese (tra le prime persone di cui mi sono innamorata in america), ci ha fatto fare un divertente giochetto: ognuno doveva scrivere alla lavagna nella propria lingua qualche proverbio e poi tradurlo e spiegarlo agli altri in inglese. I proverbi presentati erano tra i più vari: quelli vietnamiti e giapponesi che non sembravano granché sensati (ma bellini scritti con gli ideogrammi), un paio turchi e poi quelli spagnoli che invece avevano più senso e corrispondevano ai nostri, come per esempio "chi dorme non piglia pesci". Il giochetto era anche divertente perché si riconoscevano i proverbi corrispondenti nelle diverse lingue e si faceva lo scambio cul-turale.
Ad un certo punto arriva il turno del nostro eroe.
Ilfe si alza dal suo posto con molta serietà, prende il pennarello in mano, va alla lavagna e comincia a scrivere i suoi tre proverbi (forse preferiti). Parte con il primo:
"IN TEMPO DI CARESTIA OGNI BUCO E' GALLERIA!". Ilfe cerca di spiegarlo, anzi, lo spiega senza apparenti ostacoli argomentando bene in inglese e rivolgendosi al coreano con gli occhiali sbigottito che non capiva nulla (io ridevo tantissimo e non ci potevo credere); il messicano capisce qualcosa e ride anche lui; jim non ride e imbarazzato cerca di trovare un corrispettivo proverbio in inglese. Ilfe vigoroso sbattacchia il pennarello come uno che sta insegnando l'alfabeto a un bambino a scuola. Quando gli sembra di aver esaurito la spiegazione ecco che arriva il secondo proverbio:
"QUANDO LA BOCCA PRENDE E IL CULO RENDE, SI VA IN CULO ALLE MEDICINE E A CHI LE VENDE". Questo è un po' più complicato, nessuno capisce bene e nemmeno io, ma ilfe traduce, eccome se traduce, e io rido a crepapelle con la voce del papà-capo nelle orecchie "pavi il post, pavi!!!" Un po' noncurante del fatto che il coreano e il giappo non capiscono nulla, ilfe è impaziente di arrivare alla fine: ilfe vuole rendere partecipi tutti, ma proprio tutti (cacariso e messicani di ogni sorta) del suo cavallo di battaglia, della sua rivendicazione più agguerrita, forse della sua metafora di vita o comunque della sua frase più, oserei dire, performativa (!!). E glorioso scrive di gran carriera:
"VENTO DI CULO, SANITA' DI CORPO!"
E via con la traduzione, la perifrasi, il significato, il senso della metafora, la soddisfazione profonda....Questa metafora di vita viene capita un po' di più, la vietnamita lancia un timido sorriso, la messicana logorroica qualche gridolino, il coreano si lancia in traduzioni nella sua lingua!!! Ilfe è talmente glorioso che nemmeno ride. No, non ride, è serio nella sua presentazione, come sono piuttosto seri tutti i partecipanti del gioco tranne me che rido abuso con le mani nei capelli. Finita la spiegazione dei suoi proverbi preferiti ilfe abbassa il pennarello e jim lo manda al posto con il timido applauso dei presenti che forse ben poco avevano capito ma qualcosa d'ilfesco avevano colto. Il nostro eroe se ne torna così al banco da vincitore, con il suo sorriso da gatto beffardo che ha finalmente spiegato il suo alfabeto.

Questo post è da intendersi in due modi: 1) una testimonianza davvero divertente sul gestirsi di un rigattiereviareggino fuori dal suo habitat. 2) Un significativo contributo all'eliminazione della musichettachefafarefiguredimerdainbiblioteca. per questa campagna anche cpfemmina arriva a scomodarsi!!! a bientot

PUBLIC SERVICE ANNOUNCEMENT: DARIO HAS A SUPERMEGA CAR

sabato, novembre 29, 2008






"My friend Dario has a super mega car


Drives too fast, drives too flash

The noise the wheels make screeching on the tarmac

Echoes in his head, then echoes in his pants



My friend Dario has a super mega car

Drives too fast, drives too flash

Doesn't care about a crash



Dario knows it's prohibited,

You either drive or either drink

But he can't resist the pleasure

To down a bottle before a trip



My friend Dario has a super mega car

Drives too fast, drives too flash

Doesn't care about a crash"


I Rigattieri che vennero dal freddo

giovedì, novembre 27, 2008






Tempo: 27 novembre 2008, mattina

Luogo: ufficio Happy, Milano (nascosto in bagno) - ufficio Capo (??!!), Cosenza



Capo: Happy.

Happy: Ciao Capo, come stai?

Capo: Bene, bene, che stai facéndo..

Happy: Ho finito con la rassegna stampa, e tu?

Capo: Sono a Cosenza. Mi sto preparando. Devo andare in ufficio. (sono le 10.30, ndr)

Happy: Ah, capisco. Senti, devo dirti due cose: 1) Maciste è tornato all'asilo (aveva contratto il citomegalovirus, ndr); 2) mi sa che vengo a Pisa!

Capo: Vero? E quando?

Happy: Mah, pensavo verso il 17, giù di lì.. Che dici? Sei contento?

Capo: Sì, ma non ti posso ospitare.

Happy: ...

Capo: Comunque fai bene.

Happy: Perchè? Chi c'è?

Capo: Eh.. tutti, torneranno da tutte le parti.. America, Parigi, Roma, Berlino...

Happy: Incredibile!! Tornano tutti!!



Già, cari lettori e cari Rigattieri,

TORNERANNO TUTTI



...prossimamente...

Una grande produzione
Via Rigattieri Productions

stay tuned

post di servizio.

mercoledì, novembre 26, 2008

Questo è un post che serve a qualcosa. Non è uno di quei post che scrivi perché hai qualcosa da dire di divertente, serio o encre. Non è neanche uno di quei post che scrivi perché il capo ti scrive sms minatori minacciandoti di toglierti l'account se non scrivi un post, e quanto sei stronzo se non scrivi un post, ava'.
Questo è uno strano post, un post di servizio, che serve e fa qualcosa di immediato. Questo è un post che non ha bisogno di essere letto per servire a qualcosa, infatti. Non ha bisogno di lettori muti o commentatori assetati per potersi dire pienamente riuscito, e non sarà dal piacere di chi legge che l'autore troverà soddisfazione. Ciononostante, quasi in una sorta di altruismo involontario o un piacevole effetto indesiderato, questo post finisce per far piacere anche ai lettori perché il suo servizio è di primaria importanza.
Questo è un post che ha una missione, un post missionario, di quelli che magari non rientreranno nelle pagine della storia dei post di viarigattieri, ma sarà ugualmente servito alla grandezza della stessa o almeno alla sua continuità.

Questo è il post che punta alla salvezza di questo blog, con piccoli mezzi, giocando a essere prolisso. Questo è il post che ritarda la scrittura, rallenta la lettura, ma allunga e velocizza il tempo necessario alla salvezza di questo blog.

Grazie a questo post, forse, si contribuirà a eliminare la musica d'er piotta dalla prima pagina di questo blog.

DF.

PS: che poi, in realtà, credo che il problema sia risolvibili dalle impostazioni, scegliendo il numero di post visualizzabili per pagina, ma siccome il capo dice che bisogna essere forti e non usare i mezzucci....
PPS: io però alla playstation quando ero ragazzino usavo sempre i trucchi che mi passavano i compagni di classe, quelli per avere più vite o vedere il livello segreto etc.

lezione ventuno

domenica, novembre 23, 2008

mettiamo carne al fuoco, che non ne posso più ne di questa storia di f.c., né della canzoncina ecc.

volevo fare una recensione non autorizzata di Lezione ventuno, di Alessandro Baricco, che ho visto ieri all'arsenale. senza argomentazioni, perchè che palle. e anche perchè ho visto ieri su youtube un video di nanni moretti a 24 anni che discuteva con(tro) Monicelli e gli ho invidiato una carica vitale e una freschezza di idee che sento mancarmi. accidenti (a me, non a lui).

t'è piaciuto Lezione ventuno di baricco? più no che si.

e perchè? vaffanculo.

ok, allora cosa vuoi dirci? beh che un po' mi ricordava tim burton, per certe cose visionarie, e forse è un aspetto apprezzabile del film. però a me le cose visionarie non è che mi piacciano troppo, sono mio malgrado un realista, e quindi le stesse cose che capisco si possano apprezzare a me non mi piacciono. è il motivo per cui ad esempio a fellini preferisco rohmer.

beh però come primo film, baricco ha dimostrato grandi doti, o no? forse. certo quel bambino alla harry potter era un po' locco. direi che sì, se l'è cavata col mezzo cinematografico (che non è detto che possedesse, che non è cosa da tutti), dopodiché è un film che in fondo mi ha annoiato.

tutto? la ringrazio di offrirmi la possibilità di precisare questo mio pensiero. no, non tutto. baricco ha una dote straordinaria, innegabile secondo me (e ovviamente negabilissima): è un grandioso affabulatore. mi ricordo quando, ai tempi del totem con vacis, stefania rocca, eugenio allegri trasmesso su rai2 quando ero al liceo, parlava credo sulle note del guglielmo tell di rossini (se rossini ha fatto un guglielmo tell). o raccontava hubert selby jr, o gadda, o qualcos'altro. ipnotico, per me. e questa cosa l'ho ritrovata nella parte centrale del film, l'unica non noiosa: quando racconta cosa Beethoven volesse fare con la sua Nona sinfonia. alternare le musiche al racconto della lotta, della vecchiaia e così via è la parte che più mi ha coinvolto.

ritiene questo un pensiero sul film di baricco, di qualche interesse per qualcuno? no, sennò ci scrivevo una recensione.

e quindi? boh.

ah. eh.

cosa le manca di più, da spettatore? vorrei vedere cose nuove, clamorosamente nuove. credo che quando sono apparsi, i film della nouvelle vague, di moretti, di ciprì e maresco, di mille altri ma non stiamo qua a fare un elenco, checché se ne pensasse, fossero clamorosamente nuovi. e insieme freschi. alcuni più freschi di altri, ovviamente. non ricordo quale sia l'ultimo film fresco che ho visto. ma mi piacerebbe respirare di più al cinema.

vada a fare una passeggiata, allora. vado. anzi no, m'abbutta, forse mangio.


p.s. il professore del film è chiaramente orlando.

la scomparsa della cronogeolocalizzazione

venerdì, novembre 21, 2008

si stava ragionando, no?
c'era stato un grande post di sisì, in cui facevamo un nome che forse non bisognava fare.
personaggi scomodi, i rigattieri, si sa. (sisì)

e allora ecco un commento fuori dal comune, ma proprio fuori anche dalla regione e dalla nazione: un commento ammeri'ano.
a nome dell'innominabile.

ne nasce una querelle: che potrete ritrovare nei commenti al post precedente.
saggiamente giocandolo invita a consultare la cronogeolocalizzazione. a me piace un sacco controllare la cronogeolocalizzazione. anche solo parlare di cronogeolocalizzazione. mi do un tono. anche se sono da solo.

dicevo: saggiamente giocandolo invita a consultare la cronogeolocalizzazione, cosa che io mi appresto a fare.
non sapevo che cosa mi stesse aspettando.
ecco lo spettacolo sconcertante che mi si è presentato.





dov'era finito il solito rassicurante tasto che compare tra i link e l'archivio? il tasto della cronogeolocalizzazione? SCOMPARSO.
primo segnale inquietante.
"ma chissà cosa sarà successo...ma come mai...oppoffarbacco..." dico tra me e me, come si usa nei racconti, per manifestare lo stupore dell'attante.


ma si sa (sisì) che i rigattieri mica si danno per vinti.


comincia quindi la ricerca.
e ricerca, ricerca, ricerca (NO ALLA 133 - QUESTA E' UNA PUBBLICITA' NEANCHE TROPPO OCCULTA, USARE CON CAUTELA), e ricerca ricerca ricerca, alla fine riusciamo ad accedere alla nostra cronogeolocalizzazione, vagando per la rete.
ed ecco che cosa troviamo.





si erano resi conto di tutto.
erano stati più veloci di noi.
ma noi ce ne siamo accorti. non volevano, ma ce ne siamo accorti.
e però vi renderete conto che la cosa non è tanto normale.
giusto giusto, proprio ora, quando giocandolo mi suggerisce di controllare la cronogeolocalizzazione, giusto giusto, che succede? è in manutenzione.


MA TU GUARDA! CHE SOLERZIA!


è evidente che stavano manomettendo la nostra cronogeolocalizzazione.
non volevano farci indagare. non vogliono farci scoprire la verità.
e infatti...


cosa succede oggi? la cronogeolocalizzazione è tornata al suo posto, col suo solito rassicurante tasto. è evidente che chi ha fatto sparire il tasto della cronogeolocalizzazzione, ieri notte, pensava di averla fatta franca, di non essere stato scoperto.
facevano finta di niente, insomma.
ma noi sappiamo che non è così! e li abbiamo anche documentati.


decido di stare al loro giuoco. chi conosce il giuoco del poker sa che al momento giusto bisogna saper bluffare.
stanno tentando di farci credere che tutto è tranquillo, tuttapposto.
ma non è così. basta cliccare sul tasto della cronogeolocalizzazione per rendersene conto.
ci clicco. (sul tasto della cronogeolocalizzazione).
ecco cosa compare:





cliccando sveliamo il bluff.
beh ma che mossa è questa? tutto sembra fin troppo facile, direte voi.

"eh però così è ancora troppo semplice", devono aver pensato loro. "qualcuno potrebbe accorgersene!".


non ci conoscono.
si, ok, hanno pensato che potessimo anche accorgercene (qualche minuto dopo).
ma non sanno, in maniera incontrovertibile, che noi siamo fuuuuurbiiiiiiiiii, e che ce ne siamo già accorti...
qualche ora dopo, dunque, decidono di raffinare la loro tattica.


cliccando sul solito tasto, appare finalmente tutto normale.
ma solo ad uno sguardo superficiale.
senonché, quando provi a capire la cronogeolocalizzazione vera e propria, quella degli ultimi 15 accessi...






tadà! sgamati.
non solo non ci fanno accedere, ma ci promettono persino grosse novità!



(è come, mettiamo, se uno andasse al governo, sputtanasse tutti i soldi, e poi promettesse di tagliare le tasse e insieme creare un milione di posti di lavoro).

(o chessò, dicesse che tagliando i fondi all'università aumenteranno le risorse della stessa).

(cose incredibili insomma).


non solo non ci fanno accedere, insomma, ma anzi ci dicono anche che l'acquisizione del traffico web (è un nome in codice, trattasi della cronogeolocalizzazione, l'avrete capito) continua regolarmente.


SOLO CHE NOI NON LA SAPREMO MAI.



bene, rigattieri e fans vari, bisogna trarre delle conclusioni.
io mi sono fatto la mia idea.

è evidente che siamo entrati in un giro più grosso di noi. ed è evidente che la storia di sisì non è solo la storia di sisì.
il nome che sisì ha incautamente scomodato, è qualcosa di ben diverso da quel che lui crede. e non centra solo la AT&T.

o forse c'entra.

ma dobbiamo credere che la AT&T non sia solo la AT&T.


faccio solo due ipotesi, ma vi prego di essere molto cauti.


center of investighescions of americans


united for obama


e chi vuole capire capisca, io non parlerò mai più di questa storia. e mi auguro che anche voi facciate lo stesso. aumm' aumm'.

Mission:Impossible ---> A(merican)DSL

mercoledì, novembre 19, 2008

L'insonnia è una brutta bestia e, si sa, colpisce a tradimento: vai a letto dopo una giornata passata a leggere un epistemologo francese in francese, a mangiare cose inauditamente pesanti, e ti dai il colpo di grazia, pensi, leggendo una cinquantina di pagine di Fruttero e Lucentini - che sì, sono bravissimi eh, proprio fa piacere leggerli... però insomma, tutto 'sto indagare, tutto 'sto cercare la volkswagen verde e il foratore di ceri ti metteranno un po' di stanchezza addosso, no? Per l'appunto, ti infili sotto le coperte con gli occhi pesantissimi, il sonno già bello impastato coi tuoi pensieri, sicuro che per addormentarti ti ci vorrà un attimo, neanche il tempo di uno sbadiglio... e gli sbadigli diventano due, poi tre, poi quattro... il quinto si confonde già con uno sbuffo, e si può dire che, a quel punto, sei già fregato!


Lo so, non dovrei lamentarmi tanto. Ognuno di noi ha vissuto uno di questi momenti, e ognuno di noi ha il suo modo per superarli. Io, in genere, sviaggio su internet, alla ricerca di quelle cose inutili (l'ultimo video di Tiziano Ferro, quella vecchia canzone di Nina Simone, la notizia di una che vuole trasformare il suo occhio finto in una webcam...) che tanto piacciono a me! Purtroppo, però, non ho internet a casa, e quindi, purtroppo per voi, l'unico modo che ho per superare l'insonnia odierna è mettermi a raccontarvi per filo e per segno la storia - talvolta noiosa, talvolta affascinante, ma più spesso noiosa - del perché io sia rimasto senza internet per superare l'insonnia.


Tutto comincia in un non troppo luminoso 22 settembre, quando Sisì (io), deciso a non farsi scoraggiare dalle già mille disavventure che gli sono capitate dopo solo 10 giorni dal suo arrivo (tipo le pete d'ilfe, per intenderci) va in un negozio della AT&T - il maggior provider di servizi telefonici e adsl ameri'ano - deciso ad ottenere almeno una delle cose che la Grande Stronza - namely Rachel - gli ha tolto negandogli la casa: internet! E Sisì (sempre io) va in un ufficio, non chiama un call center, perché Sisì (ancora io... e non fatemelo dire più!) non vuole errori, non vuole casini, e nell'ufficio sa di capire e di potersi far capire meglio.

Mamma mia, che ingenuo Sisì.

Quando arriva lì si trova di fronte una ragazza bellissima, tale Keysha, che lo accoglie con la sua pelle nerissima, i suoi denti bianchissimi e le sue unghie lunghissime e di tutti i colori dell'arcobaleno. Con grande stupore di Sisì, Keysha chiama il call center. Nonostante tutto, infatti, bisogna passare dal call center. E vabbè, penso io (cioè Sisì), almeno ci sarà un intermediario... Keysha chiede il mio passaporto, dà i miei dati alla tipa del call center, mi ciucciano 100 $ di cauzione dalla carta e mi rilasciano una ricevuta che assicura l'attivazione del mio abbonamento per la settimana successiva. Torno a casa tutto contento, pensando di aver finalmente risolto un problema, e senza immaginare che, in realtà, la sciagura incombe, proprio lì, sopra la mia testa. Comincio a capacitarmi di cosa sta succedendo solo quando, qualche ora dopo, riprendo in mano la ricevuta e leggo che... che... secondo la adorabile Keysha il mio nome non è Sisì, ma FLORENCE CARLO!


Attimo di smarrimento. Breve - ma intensa - crisi di identità. Poi la certezza: l'adorabile Keysha ha confuso il mio nome con il nome della città dove io ho ottenuto il visto, e il mio nome con il mio cognome.

Penso: mai fidarsi delle belle ragazze, MAI!

Ma no, Sisì, ma che dici! Non starai esagerando? Non te la starai prendendo un po' troppo per una cosa da niente?! Sarà sicuramente una cosa semplice da risolvere, una cosa che capita tutti i giorni in un posto dove ti fanno i contratti senza farti firmare nulla, neanche un post-it. Torno da Keysha che, nuovamente adorabile, mi rassicura, dicendomi che la cosa è semplice: basta richiamare il call center! Cosa che lei fa immediatamente, spedendomi a casa per evitarmi un'inutile attesa, richiamandomi dopo mezz'ora e dicendomi che è tutto appostissimo, il nome ora è quello giusto.


Una settimana dopo ricevo una lettera dalla AT&T. Naturalmente, il nome sulla lettera è Florence Carlo.


La lettera mi dice che l'indomani riceverò un pacchetto di installazione. E io penso: ma sì, chi se ne frega del nome, a me basta che mi arrivi il pacchetto! Lo aspetto tutto il giorno. Non arriva. Sono così sconvolto che dimentico - giuro, DIMENTICO - di andare a prendere la mia amica Carlita all'aeroporto (lei, giungendo dal messico, mi aspetta fino a mezzanotte, circondata da 1000 valigie, con degli stivali texani ai piedi e un sombrero in testa. Non so come mai, ma ancora mi rivolge la parola). L'attesa (la mia, non quella di Carlita) continua: due, tre, quattro giorni... al quinto, comincio a essere piuttosto nervoso. Smetto di condifare nell'idea che un intermediario possa aiutare, e chiamo il call center da solo, sperando di ottenerne qualcosa di più. Scopro che, in realtà, il mio kit di installazione non è mai partito, dato che Keysha si era dimenticata di ordinarne uno... così come, d'altra parte, si era dimenticata di avvisarmi del fatto che avrei dovuto comprare un modem! Ma se io, chiedo alla tipa del call center, mi compro un modem, poi internet lo posso usare? CERTO, CI MANCHEREBBE, grida lei, convincentissima e felicissima di sbolognarmi, dall'altra parte del telefono... e io ci credo, imbecille che sono!! Compro un modem di seconda mano (20 $), lo attacco alla rete, ma non funziona. E non funziona perché ho bisogno di un account. Richiamo il call center e chiedo l'account. Si rifiutano di darmelo, perché, dicono, non possono dare a me qualcosa che spetterebbe di diritto a Florence Carlo.

Cerco di spiegare che Florence Carlo non esiste e quindi non ha nessun diritto, mentre io sì!

Ma che volete? L'evidenza di un computer che dice Florence Carlo è difficile da smentire. Tant'è che pochi giorni dopo ricevo addirittura una bolletta: 40 $ per il primo mese di servizio. Eccheccazzo, questo è troppo! Chiamo e chiedo di annullare l'ordine. Per uno strano scherzo del destino, me lo fanno fare. Io chiedo come fare per non pagare la bolletta e avere indietro i soldi della cauzione che, ricordo, erano riusciti a ciucciarmi dalla carta nonostante il nome fosse sbagliato (quante cose sanno fare, 'sti ameri'ani). Per la cauzione no problem, mi dicono, mi faranno un assegno. Ma per la bolletta... beh, quella, mi dicono, la devo pagare.


Come?

Scusa?!

No, temo di non aver sentito bene... la devo pagare? E perché la devo pagare?!


"Ma come perché? Perché Florence Carlo E' TUA MOGLIE!".


Smarrimento.

Sbigottimento.

Nuova crisi di identità.

Ma io non ero single?!

Rimango 5 minuti a convincere l'operatrice - e anche un po' me stesso - che no, dio santo, non sono sposato, Florence Carlo proprio non esiste. Ma non la convinco.


A questo punto, decido di ritornare al negozio. Prima di tutto, scopro che di Keysha non c'è più traccia. Trasferita in un altro negozio. Parlo con un'altra commessa, che mi rassicura sul fatto che riceverò un assegno e non dovrò pagare alcuna bolletta.


L'assegno arriva.

A nome di Florence Carlo, naturalmente.


Ritorno al negozio. sono stremato, voglio solo che mi diano i miei stramaledetti soldi, come può essere così complicato? Richiamano il call center. E qui, la beffa finale: mi passano l'operatrice che mi dice che non mi cambieranno il nome sull'assegno perché NON SI FIDANO DI ME! Ho chiamato troppe volte (MA NO?!) e la mia versione suona falsa perché, mi dice, è più semplice pensare che, in realtà, Florence Carlo sia mia moglie (che io lo neghi non ha alcuna importanza) e che io voglia un altroassegno per poterli incassare entrambi.


Insomma, il truffatore sono io.

O forse è Florence Carlo. Non lo so più. E sono - finalmente - troppo stanco per decidermi, quindi vado a letto, sperando di riuscire a prendere sonno dopo avervi raccontato questa esperienza da incubo.

la grande onda

lunedì, novembre 17, 2008



al cinema gaudium

mercoledì, novembre 12, 2008

Da franzuà, che qualcuno di voi frequenta e qualche altro no, si è parlato di modi di stare al cinema in italia e in francia. a lui prima gli parevano tutti educatissimi in francia, che non si alzavano fino ai titoli di coda, poi ha smentito dicendo che in un altro cinema si sono dimostrati invece più villani che in italia. (così ho riassunto schematicamente per chi non può visitare il suo blog - per il popolo insomma, non per l'élite che ha tutte le porte aperte).
volevo aggiungere un pezzo di esperienza personale a questo interessante dibattito sociologico.

inizio novembre, palermo, cinema gaudium.

il passato è una terra straniera, di daniele vicari, ore 20.10.

chi conosce il cinema gaudium sa che, come molti cinemi panormi, ha una parte sotto, e una balconata sopra con altrettanti posti o forse poco meno che sotto. io e i miei genitori siamo andati nella parte di sopra, insieme ad alcuni loro amici. ero scantatissimo, perchè i sessantenni sono pericolosissimi al cinema. e questi ci partivano malissimo, parlando durante i trailer che precedono il film. mi sono detto: parleranno per tutto il tempo, e io soffrirò come un cane e non potrò manco dirgli niente. i miei genitori li cazzìo in continuazione al cinema, e quindi loro partono da un preventivo stato di terrore che li obbliga a limitare la loro abituale loquela (tanto peggiore dal momento che, come tutti i sessantenni, sono convinti che non li sente nessuno...), ma i loro amici? come li placherò?
beh intanto mi metto più esterno di tutti. così almeno li sento meno. metto due genitori alla mia sinistra, i genitori terrorizzati dal mio sssshh!, e così allontano ancora di più il pericolo. ma il pericolo, avrei dovuto saperlo, è sempre dietro l'angolo, e talvolta dietro le spalle. fila dietro di me. due signore, quarantenni. PACCO DI PATATINE.

il film comincia, i miei e i loro amici incredibilmente MUTI: non una parola, un bisbiglio, un "che ha detto?", niente, irreprensibili, bravissimi, una meraviglia.
la signora dietro di me però evidentemente non ha mangiato, e certamente ha fame. purtroppamente non ha trovato niente di meglio che un pacco di patatine. lo apre. scroscio bestiale, e vabbè. continua a tenerlo in mano, per una cinquina di minuti (cinque minuti lunghissimi), mangia le sue patatine rigorosamente con la bocca aperta, nel caso ci fosse un momento di silenzio del sacchetto ci pensa lei con la bocca (schifìu), poi evidentemente si rende conto che forse sta dando fastidio, e decide di chiudere il sacchetto (scroscio bestiale) e metterlo da parte. posso rilassare tutti i muscoli della schiena e del collo e vedere il film.
fine primo tempo.

secondo tempo.
non è che la signora ha approfittato della pausa per dire chessò mi cafuddo quattro patatine in bocca ora, che non do fastidio a nessuno, visto che sto morendo di fame, no, parlava tranquilla, con la sua amica. ricomincia il film, e lei prende il suo sacchettino di patatine. evidentemente c'ha 'sta perversione, che lei a inizio tempo (primo, secondo, chiddu chi è) si deve mangiare le patatine. e vabbene, mi metterò in posizione: tendo tutti i muscoli, mi infastidisco, non le dico niente perchè che ci posso fare, non me la fido, e soffro. tanto finirà. e mangia. e ciancica. e muovi il sacchetto. e scrocchia 'ste patatine con la saliva. e intanto il film va avanti. e questa continua a mangiare. ma che s'è comprata, il sacchetto da due chili e mezzo? ma com'è possibile? saranno 10 minuti dall'inizio del secondo tempo e questa ancora muove 'stu sacchetto, mastica, impasta, schiocca, ma che è? e intanto i dialoghi del film si perdono, intaccati e sconfitti da quell'unico e inamovibile pensiero che ti occupa il cervello senza possibilità di scampo: ma quando finiranno?

fino a quando non accade l'inatteso.
un angelo.
sento una voce.
la sente tutto il cinema, a dire la verità.
la voce di una liberazione. l'unica che avrebbe potuto redimere tutta la balconata di sopra.
due file più indietro, la voce del salvatore. una voce forte, sicura, palermitana, quella che tutti avevamo in mente, e che nessuno osava dire.

ad alta voce:


MINCHIA, MA 'UN FINISCINU MAAAAI 'STI PATATINE?!?!?!?


grazie, voce angelica, che avrei voluto abbracciarti ma non potevo, e sono sicuro che tutta la balconata di sopra avrebbe voluto farlo come me, ma non si poteva bloccare il film per te, anche se forse ne sarebbe valsa la pena. grazie, voce angelica. la patatinofaga SE L'E' CHIANTATA ALL'ISTANTE.

encre Paris!

domenica, novembre 09, 2008

Anche Parigi si esalta dei successi del rigattiere Barack oltratlantico. Due dei più giovani rigattieri hanno passato la notte alla Mairie del Terzo Arrondissement, a cercare di seguire gli exit poll in diretta (con scarsi risultati, per la verità). E l'indomani è stato tutto un parlare di espoir, changement, come voi di hope and change. Tra l'altro, data la scarsità dei nostri mezzi comunicativi (soprattutto di chi scrive) questo blog, con gli appassionati resoconti dell'ameri'ani, è stato più che mai fonte di informazioni, oltre che di gioia.
Tutti a parlare di Espoir, changement; ma anche tutti a dire C'est encre! Tutti = amicobéri. Io, che ho grande fiducia nelle capacità linguistiche sue, ho subito fatto mia l'espressione. E così, è da giorni e giorni che vado in giro a dire che ce magasin là a chose trop encre! oppure che cette soirée est vachement encre! o ancora più entusiasticamente, guardandomi Putain! je suis encre, aujourd'hui.
Io andavo così esprimendo i miei entusiasmi settimanali, e i miei interlocutori mai mi chiesero spiegazioni. Ieri, a un'altra festa cui mi sono imbucato grazie ai potenti mezzi sociali di amicobèri, ho continuato a fare largo uso dell'aggettivo, così gggiovane, così slang, che già immaginavo venire dalla peggio banlieu di Parigi. Insomma, ero fiero del mio francese così aggiornato e lo andavo così mostrando a una ragazza pariginissima dicendole qualcosa tipo c'est encre de te voir ici

o qualcosa del genere. Lei rimane interdetta, e amicobèri, dopo la partenza di quella, un po' imbarazzato di me dice: "cetto, però, puro tu. Che ci vai a dire a quella encre!"
Io sono ancora convinto dell'origine banlieusarda del termine e mi sto quasi per rispondere che effettivamente quella doveva essere una fighetta sorboniana, quando amicobèri continua spiegandomi che il termine è invenzione di amicoilfe, e non già francese ricercato o popolare.
Io rimango di sasso, lì per lì. Oggi però riflettendoci su mi dico che la verità è che il linguaggio rigattieresco è un felicissimo morbo del lessico internazionale, che invade il globo dall'Asia del lamati a vivavivall'america dei riga-foucaltiani passando per la Francia che già fu di charlie e ora bettinaggia e ocheggia. Tranne l'interdizione della francesina odiosa, infatti, nessuno ha contraddetto il mio encre, e sono quasi sicuro che anzi sia stato usato di rimando.
Non mi stupirebbe che alla prossima cappellata di Berlusconi, Madame Bruni-Sarkozy dica:
"c'est trop encre d'etre française!".

Notizie dall'impero 5 (o 6). Yes, we did!

giovedì, novembre 06, 2008

Tenteremo, in questa occasione storica per il mondo intero, di fare una cosa, per così dire, inusuale. Trattasi infatti di post gemellare.
"Le opinioni sono come le palle: ognuno ha le sue", diceva un tipo famoso (e le hanno solo gli uomini, ci sentiamo di aggiungere); era inevitabile dunque che il post elettorale, pur nel nome augusto di Obama, fosse diviso in due parti, la prima a firma Sisì, la seconda a firma Ilfe. Non è escluso che altri contributi (dei due cippì) si aggiungano strada facendo, dando vita ad un mostro quadricefalo, così come da domani aggiungeremo alcune foto d'autore, e il filmino che sisì ha stoicamente girato per voi.

1.
"Parlare di queste elezioni per me è difficile. Difficilissimo. Perché è difficile spiegare cosa significa quando 300mila persone vanno tutte in una piazza pronte a festeggiare qualcosa. Noi italiani, se scendiamo in 300mila in piazza, possiamo festeggiare al massimo la Nazionale che ha vinto i mondiali, ma se è per la politica, in piazza scendiamo solo per lamentarci – avendo sempre ottime ragioni, peraltro! Ma qui no. Cioè, anche qui scendono in piazza. Cioè, stavolta sono scesi in piazza, tanti, anzi tutti (bianchigayfranchiricchiispanicipoverilelleasiani) per festeggiare la vittoria di un uomo alle elezioni presidenziali. E come si fa a spiegare questo? Io non lo so fare, questo è sicuro. Almeno non lo so fare da solo. Quindi, mi aiuto con alcune delle frasi che ho sentito o letto sui giornali in questi ultimi giorni.
“Qua si sta a cambia’ il mondo, e voi pensate a farvi la doccia?” disse ilfe impaziente di arrivare a Grant Park ma bloccato dal ritardo provocato dalla eccessiva (secondo ilfe, si intende) igiene di Pavani. Qui si sta a cambia’ il mondo, disse… Porca miseria, ha raggione, altroché se si sta a cambia’ il mondo. Un presidente nero! Oh, ma stiamo a scherza’?! In un posto dove nelle Università è raro vedere un afro-americano e dove è ancora più raro trovare una cassiera bianca, dove i ghetti ci sono – eccome se ci sono – e l’apartheid funziona benissimo pur sotto le insegne della democrazia, viene eletto un presidente nero. E questo posto non è un posto qualsiasi, è l’Ameri’a! L’uomo nero alla casa bianca! Ma qui la storia la stiamo cambiando per davvero, e cambiando per sempre, non così per dire! Non come quando Berlusconi dice che Bush passerà alla storia: no, no, qui è tutta un’altra cosa! Qui secoli di sfruttamento, di schiavitù, di tortura si concentrano in un’elezione, in un uomo, in un presidente che davvero cambia tutto solo per il fatto di essere eletto. Un presidente i cui sostenitori gridano “Yes we did!”, ma lui no, lui è un presidente che nel suo discorso dopo l’elezione non dice yes we did, ma dice “Il lavoro è appena cominciato”. E ha ragione. Il lavoro è appena cominciato, e sarà duro. Perché la gente, lei si aspetta davvero un gran bel lavoro: se lo aspetta la signora con un tutore al braccio che, incontrando un’amica in farmacia, le dice “I had surgery yesterday… but everything is o.k., ‘cause today I’m happy!”, e se lo aspetta la cassiera del supermercato dove faccio la spesa che, parlando con una cliente, dice “You can say’t, something’s gonna change”. E questi cambiamenti non dovranno, non potranno essere da poco: Obama ha promesso infrastrutture migliori, ha promesso scuole migliori, ha promesso un sistema sanitario migliore e più equo. Se a questo si aggiunge che è in corso la peggiore crisi economica dal 1929 – i giornali americani lo stanno ripetendo fino alla nausea – non ci si può che chiedere: ma come farà? Come riuscirà a dare a tutti quello che vogliono, come riuscirà a mantenere tutte le promesse che ha fatto?
E questo ancora non è tutto. Con la sua elezione Obama ha già cambiato e potrà ancora cambiare l’Ameri’a, ma che ne sarà del resto del mondo? Anche il mondo ha bisogno di essere cambiato. E ti accorgi di quanto il mondo abbia bisogno di essere cambiato quando leggi sul New York Times che Fathi Abdel Hamid, avventore di un caffè a Il Cairo, ha dichiarato che “Since Bush came to power it’s all bam, bam, bam on the Arabs”, oppure quando il tassista che ti porta a casa dopo Halloween non fa altro che ripeterti “Vote Obama, Bush motherfucker go home”. Il mondo vuole essere cambiato, dopo che negli ultimi 8 anni ha dovuto convivere con la paura degli attacchi terroristici e con quelle guerre preventive che non hanno prevenuto la morte di migliaia di persone. E anche lì, lo sappiamo bene tutti, il lavoro si presenta tutt’altro che facile…
Un uomo è stato eletto, ed è diventato l’uomo più potente del mondo. Per la prima volta nella storia, il colore della sua pelle non gli ha impedito di diventarlo. Noi lo abbiamo supportato, lo abbiamo seguito, ci abbiamo creduto, non lo abbiamo potuto votare ma siamo (sono) rimasto 15 minuti con le braccia alzate per riprendere il suo primo discorso da presidente (che ariva, appena capiamo come metterlo!).
Ora sta a te, Obama, e il mondo ti guarda: vedi di fa’ a modino!"

Sisì

2.
"Cp maschio vive attaccato ai cristalli liquidi del suo computer da almeno un paio di mesi. Gli danno i sondaggi. E lui non esce di casa senza averli mandati a memoria. È chiaro che il giorno delle elezioni sia un po’ teso. A lezione si fa uno specchietto in cui scrive tutti gli stati. Tutti. Divisi tra certiObama-probabiliObama-forseObama-speriamoObama-DioxxxaleMcCain. Alle sette a casa sua si hanno le prime proiezioni. Forse bene. Ma forse no. Cp femmina, la guerrigliera, dice che forse è meglio non andare in piazza fino a quando siamo sicuri, sennò se perdiamo i franchi fanno il riot, e la police ci mena. Per fortuna andiamo lo stesso. Il pullman si ferma dopo due minuti e non si muove più. Vado dall’autista nera per avere informazioni. Immagino che mi mangi. Invece è tutta contenta. Dice che siamo fermi perché deve passare “il presidente”. Per lei gli scrutini sono già finiti. Il suo presidente ce l’ha già. Un tizio in pullman si connette a internet. Va meglio: stiamo vincendo in Florida, in Pennsylvania, in Ohio. Forse in Virginia. Arriviamo. Fiumi di gente. Maxischermi. Magliette e spillette. Yes we can. Change. Progress. Hope. Yes we did. Yes we did? La notizia arriva prestissimo. Obama ha vinto in Virginia. Therefore: Obama president-elect. Ovazione. Brividi. Abbiamo vinto. Una volta tanto abbiamo vinto. Ma non abbiamo vinto a caso. Abbiamo vinto l’elezione più storica dell’impero. Abbiamo messo un nostro uomo sullo scranno più alto del mondo. Un professore della University of Chicago. Un nostro vicino di casa. Un rigattiere, in pratica. Appare McCain. È un signore. Si complimenta, si dice pronto a collaborare, si ricomplimenta. Fa stare zitta la Palin. Poi, dal palco accanto a dove siamo noi, dopo un bel po’ di musica, dopo Jesse Jackson che piange e Oprah che ride, arriva Lui. È bellissimo. Ce lo scoperemmo tutti. Anch’io. Si scrive una pagina storica. Ma sul serio. È nero. Proprio nero. No mezzo bianco, come dice qualcuno. Popo nero. E bello. E grandioso. E bello. La frase di apertura del discorso è da brividi. Boato. Ci sentiamo americanissimi. Cita Martin Luther King, ma senza nominarlo. Poi una tipa di centosséi anni, anche lei nera. Ripercorre l’ultimo secolo. Ripete Yes we can. E noi con lui. Ci guardiamo alle spalle. Un oceano di persone. Forse un milione. (La questura di Roma farà sapere che secondo i loro dati non eravamo più di una ventina, i soliti facinorosi). Poco dopo l’oceano si disperde. Code infinite alla metro. Gli autobus neanche passano, in mezzo al caos. Chicago non è mai stata così bella.

Oggi, the day after, bisogna fare una mezz’ora di coda e, se hai fortuna, ti becchi un giornale col faccione di Obama, altrimenti uno con una foto piccola. Il Chicago tribune però è irraggiungibile. Resta il Chicago Sun-times. Che comunque è fichissimo. La gente fa le foto alle code ciclopiche davanti alle edicole. Le macchine si fermano, suonano, salutano. Abbassano il finestrino e alzano la musica. Ridono tutti. Milioni di magliette di Obama anche oggi, almeno qui a Hide park, dove vive lui (ancora per poco). Una vecchia di colore vende cappellini di Obama e dice “today everybody be happy”."

Ilfe.

It has occurred, finally

mercoledì, novembre 05, 2008




If there is anyone out there who still doubts that America is a place where all things are possible; who still wonders if the dream of our founders is alive in our time; who still questions the power of our democracy, tonight is your answer.

Capita a NY #2 (gender version)

lunedì, novembre 03, 2008

Premessa. Ci sentiamo un po' a disagio a confrontarci coll'amicoferi, ma qualche integrazione era necessaria per colmare alcune lacune che il suddetto ha, più o meno volutamente, tralasciato.


Capita anche, a New York, che tu arrivi all’aeroporto EWR di Nework tutta gasata perché vuoi assaporare la libertà della Grande Mela e ti senti figa fino alla riga nera dalla quale distingui bene la sagoma della pula americana che ti farà il controllo del passaporto. Fino ad allora sapevi di poter vantare una biopolitica attiva che – dicevi! – non avresti svenduto per nulla al mondo. Già, avresti resistito al potere, al controllo macchinoso della mano invisibile che vorrebbe la tua iride e il tuo ditino per controllarti meglio…ma diciamo che la resistenza è durata meno di un millesimo di secondo, nemmeno il tempo che il poliziotto biondo americano se ne accorgesse e già ti aveva scattato una bella foto con il primo piano dei tuoi occhini un po’ orientali e poi ti ha chiesto il ditino indice, sia destro che sinistro e…sì, tu avresti voluto dargli il medio, quello destro e quello sinistro, ma non lo hai fatto. Così, varcato il limite e finalmente negli States, Sylvia K ti confida lo stesso disagio di quel dito indice…Von trotta è pensierosa e ha già trovato un alibi perfetto: ora sì che potremmo essere veramente solidali coi bimbi rom, condividiamo lo stesso controllo!

Capita anche, a New York, che le “prime donne” arrivate nell’ostello di Chelsea provino ad orientarsi nell’omonimo quartiere con settecentomila guide diverse. Capita che in questo quartiere i locali con la bandiera rainbow sorgano bizzarramente quasi accanto a chiese battiste e metodiste che pubblicizzano la benedizione dei cani e dei gatti con grandi feste domenicali. Capita che a Chelsea ci siano i posti più radical/vintage/freak del mondo e puoi vedere le gallerie d’arte contemporanea allestite dentro loft che sono a loro volta opere d’arte e dove von Trotta e Sylvia K immaginano già di fare un mega festone, stile pranzo di via rigattieri.

Capita a New York che in una delle suddette gallerie, espongano, con tanto di manifesto, gli Artists for Obama e che, senza nemmeno capire se ci poteva piacere davvero, ma per puro pregiudizio estetico-politico, decidiamo insieme a Sisì e Amicoferi di entrare. Capita che Sisì si pianti 5 minuti di fronte a un quadro dai disegni geometrici che indicavano North-south-west-east e ci confessa che non capisce proprio come mai gli 883 abbiano potuto ispirare gli artisti per Obama!

Capita anche, a New York, che mentre chatti dall’ostello con amicani con tanto di telecamera lei ti dica, giustamente, di voler vedere i grattacieli. Tu provi a spiegarle che a Chelsea non ci sono i grattacieli e che le case sono tutte come quella della famiglia Robinson ma lei delusa ti dice: “Boia deh, sembra d’esse a Cenaia!”.

Capita anche, a New York, che cp femmina non solo cada in metropolitana, ma faccia dei tonfi micidiali giù dal letto a castello nelle prime ore del mattino, finendo nel letto della roommate spagnola, la quale non dà segni di vita.

Capita anche, a New York, di avere come roommates una spagnola che non esiste, due ragazze israeliane simpaticissime e tre scarafaggi alla cui vista le due israeliane simpaticissime cominciano a urlare “Cuccaracha! Cuccaracha!” (ma la spagnola non era l’altra? E comunque, neanche in questo caso la spagnola si sveglia). L’omo (amicoferi), che non vedeva l’ora di dare mostra di virilità, per smentire le illazioni dei foucaultiani che lo vorrebbero “orso”, interviene prontamente, distrugge la Cuccaracha schiacciandola con la prima suola che gli capita sottomano, mentre i foucaultiani impauriti osservano la scena eroica da fuori la finestra.

Capita anche, a New York, che a Times Square uno stra-manzo ti voglia vendere gli Obama condoms e tu, che ti sei già innamorata di lui e già stai pensando che con uno così chissenefregaseèpurebucato, gli compri anche quello della Palin.

Capita anche, a New York, che sempre a Times Square quattro franchi con un fisico da paura ballino la breakdance sul marciapiede radunando gente intorno a loro e tu batti le mani e li ami a ritmo di hip hop.

Capita anche che passa la bianca cicciona con un fisico da vera paura e si mette a sculonare tra i quattro manzoni palpando le loro parti migliori e allora tu pensi che devi cambiare dieta.

Capita anche, a New York, che con amicoferi e sisì passiamo una buona mezz’ora dentro un negozio di gio-cazzo-li, che la Mattel gli fa letteralmente una sega! Von Trotta, spinta da un desiderio di rivincita nei confronti di giocandolo che l’aveva sempre accusata di essere all’età della pietra dell’erotismo, si dirige immediatamente nel reparto donne e viene immediatamente colpita dall’elettroshock dei capezzoli e le palline vaginali, mentre Sisì e amicoferi si dirigono nel reparto gio-cazzo-li, o dildo, secondo la vulgata accademica della tesi pluripremiata di Giocandolo. Lunghi, grossi, piccini, bianchi, neri, fucsia, di ogni materiale di cui puoi sentire la consistenza su un pippolino su cui è scritto “try me”.

Capita poi, a New York, in mezzo ai giocazzoli, che l’attenzione di amicoferi venga colpita da un megamanifesto attaccato alla parete in cui si vedono muscolosi pugni di mani virili nude che attraversano cavità ancor più nude e delicate. Abbastanza basito, amicoferi cerca di condividere con noi il suo stupore e Sylvia k, convinta di poterlo illuminare in questa scoperta gli dice” Ah sì, il fist facking! Anche Foucault lo praticava!”! Con una torsione di 180°, avvenuta in meno di un secondo, amicoferi si volta verso di noi con una faccia che esprime bene l’idea di chi, in fondo in fondo, non ha fatto poi così male a scegliere di non essere foucaultiano! Se dopo questa visione, amicoferi decide definitivamente di non comprare nulla, gli altri foucaultiani, indecisi fino all’ultimo, se ne vanno comunque a mani vuote, con un certo sentimento di inadeguatezza: prezzi e dimensioni non fanno per loro.

Capita anche a New York che Von Trotta e Sisì non resistano alla tentazione di entrare dentro Godiva (una specie di Lindt americana, solo che più sensuale) per spararsi un mega fragolone transgenico tuffato in un bagno di cioccolato al latte fuso. E quando la commessa, passando il fragolone a Von Trotta le dice “Enjoy” con una voce molto calda, amicoferi si sente in dovere di fare la traduzione simultanea: “t’ha detto: godi maiala”!

Capita a New York che da Victoria's secret (una specie di Intimissimi americana, solo che più maiala) riscopri la tua femminilità e se ti capita di fare un pensierino all'altro sesso, la commessa microfonata ti urla esultante, con segnali di vittoria, "NO!! IT'S ONLY FOR GIRLS!!!!!

Capita anche, a New York, che ti senti newyorchese, esci un sabato sera nel quartiere hip di Tribeca per andare a gode e ti ritrovi in un campo di ghiaia.

Capita a New York che tutto è bellissimo e tu ami tutti, percepisci appieno il significato della parola "cosmopolita" e senti con certezza che questo paese è pronto alla grande sfida del presidente nero.

Capita anche, a New York, che alla Columbia University, al convegno sull'epistemologia storica, oratori e ascoltatori sono tutti bianchi che si fanno amorevolmente servire il tè da tre slanciate figure color "presidente".

Buon election-day a tutti!!!!!