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l'allegro spettatore

domenica, novembre 17, 2013


Caro amico vicino di poltrona, di ritorno dalla proiezione che ci ha appena visti compagni di percorso non posso che continuare a rivolgere a te il mio pensiero. Più del film che abbiamo visto, infatti, mi ha colpito l’incredibile affinità che ho provato nei tuoi confronti: anche tu come me, restio ad ammettere di aver cambiato secolo, ti ostini a frequentare quei cimeli del passato che sono le sale cinematografiche, forse anche tu convinto che tutto sommato, come si vedono al cinema, i film non si vedono da nessuna parte. E resisti: resisti persino all’ottusa consuetudine che ci impone un doppiaggio che – ne sono certo – anche tu in fondo vorresti combattere, anche se l’idea ti spaventa, anche se ti piace sentirti cullato da questo italiano inesistente che previene qualunque imprevisto accompagnadoti come le nenie senza senso che ti cantava tua madre da piccolo. Nel tuo intimo, in fondo, anche tu vorresti gettarti nelle montagne russe della versione originale, anche se non riesci a confessarlo a tua moglie. Sì, quella stessa moglie a cui senti l’esigenza di confessare ogni tuo pensiero, ogni tuo barlume (tu, novello Serge Daney di provincia) sul film che stiamo vedendo, anche se è un thriller, anche se qualcun altro, oltre tua moglie, potrebbe ascoltarti. (In fondo la cosa che stai dicendo è così intelligente che, a parte che parli così piano che nessuno ti sente, figurati comunque se non apprezzerebbe). 

Ecco caro compagno, io conosco le tue buone intenzioni, e lo capisco che non è colpa tua se non riesci più a distinguere il salotto di casa da un luogo collettivo in cui, come adepti in cerca di un mistero da scoprire, continuiamo nonostante tutto a raccoglierci. Ma appunto con la più grande amicizia vorrei dirti – se per caso avrai modo di leggere queste mie – che quel luogo non è il tuo salotto, altrimenti tanto valeva che ci incontrassimo da te, no? Nella sala (così c’è scritto all’ingresso: pensa che bacchettoni!) devi mantenere un atteggiamento un po’ diverso; non per me, figurati, ma perché magari al signore dietro di me – che lo so che è un rompipalle, ma che ci vuoi fare: è fatto così – la tua disinvoltura sembra quasi dargli noia (sicuramente perché gli ricorda quant’è triste lui). 

Ti confido un segreto, compagno: poco fa, mentre legittimamente sfoderavi la tua torcia per controllare facebook, puntandogliela – com’è giusto – dritto negli occhi, mi è sembrato di udire uno sbuffo quasi di rivolta, come se tu non avessi diritto – in quell’ora e mezza che sembra poco, ma invece comunque è un sacco di tempo, figurati se non ti capisco – di controllare tre o quattro volte il tuo smartphone, che t’è costato pure un bel po’ di soldini e giustamente non è fatto per restare chiuso nella tua tasca. (Lo so che ogni tanto ci pensi, che per quell’ora e mezza potresti provare a staccarti dal mondo e concentrarti sul film, ma ricorda sempre che Steve Jobs ti guarda, e che tutti i momenti che sottrai alla sua creazione ti verranno fatti scontare in app sempre più appetitose e irresistibili, togliendo un’altra maglia a quel dolce cordone che ti lega come quello di tua mamma quando ti cantava nenie senza senso).

Devo dirti poi che il signore suddetto (l’ho visto durante l’intervallo), che tra l’altro era straniero e già era nervoso per i fatti suoi per questa interruzione che non s’aspettava (pensa che incivili, ‘sti stranieri! che vabbé che il cinema ci piace, ma senza bomboniera a metà che gusto c’è?), s’è immediatamente acclimatato ed è corso a comprare il suo pacco di patatine, per poter – giustamente – rispondere al coro degli altri sacchettini attorno a sé per tutto l’inizio del secondo tempo. Non ti chiedi mai, amico spettatore, come mai questi cinemi provinciali non abbiano ancora pensato a vendere durante l’intervallo (o all’ingresso) anche quelle trombette da stadio, o un fischietto, in modo che tutti possano immediatamente comunicare agli altri la loro approvazione – o, al contrario, il loro sdegno – nei confronti della scena appena vista? Io credo che renderebbe il tutto ancora più speciale, ancora più collettivo. 

Ed è per questa stessa ragione, amico vicino, che spero che ci rincontreremo uno dei prossimi giorni. E se in un momento particolarmente caldo del film comincerai a sentire degli schizzetti sulla nuca, o nell’orecchio, o sui pantaloni, sappi che non è l’ultima trovata dell’esercente fantasioso. Sarà il mio modo di comunicarti un’empatia comune, la mia maniera di manifestare la gioia e contemporaneamente di armarmi (insieme a te!) contro la modernità in maniera allegra, spensierata, gioiosa. Gli schizzi della mia pistola ad acqua ti uniranno, in un unico getto copioso, a tutti quelli che come te amano condividere le proprie emozioni all’interno di questo spazio fuori dal tempo che è la sala cinematografica. All’esercente fantasioso, invece, penserò in un secondo momento, ringraziandolo per le sue scelte commerciali con tutta l’attenzione che merita.

Ci vediamo presto! Io ti aspetto.

al cinema gaudium

mercoledì, novembre 12, 2008

Da franzuà, che qualcuno di voi frequenta e qualche altro no, si è parlato di modi di stare al cinema in italia e in francia. a lui prima gli parevano tutti educatissimi in francia, che non si alzavano fino ai titoli di coda, poi ha smentito dicendo che in un altro cinema si sono dimostrati invece più villani che in italia. (così ho riassunto schematicamente per chi non può visitare il suo blog - per il popolo insomma, non per l'élite che ha tutte le porte aperte).
volevo aggiungere un pezzo di esperienza personale a questo interessante dibattito sociologico.

inizio novembre, palermo, cinema gaudium.

il passato è una terra straniera, di daniele vicari, ore 20.10.

chi conosce il cinema gaudium sa che, come molti cinemi panormi, ha una parte sotto, e una balconata sopra con altrettanti posti o forse poco meno che sotto. io e i miei genitori siamo andati nella parte di sopra, insieme ad alcuni loro amici. ero scantatissimo, perchè i sessantenni sono pericolosissimi al cinema. e questi ci partivano malissimo, parlando durante i trailer che precedono il film. mi sono detto: parleranno per tutto il tempo, e io soffrirò come un cane e non potrò manco dirgli niente. i miei genitori li cazzìo in continuazione al cinema, e quindi loro partono da un preventivo stato di terrore che li obbliga a limitare la loro abituale loquela (tanto peggiore dal momento che, come tutti i sessantenni, sono convinti che non li sente nessuno...), ma i loro amici? come li placherò?
beh intanto mi metto più esterno di tutti. così almeno li sento meno. metto due genitori alla mia sinistra, i genitori terrorizzati dal mio sssshh!, e così allontano ancora di più il pericolo. ma il pericolo, avrei dovuto saperlo, è sempre dietro l'angolo, e talvolta dietro le spalle. fila dietro di me. due signore, quarantenni. PACCO DI PATATINE.

il film comincia, i miei e i loro amici incredibilmente MUTI: non una parola, un bisbiglio, un "che ha detto?", niente, irreprensibili, bravissimi, una meraviglia.
la signora dietro di me però evidentemente non ha mangiato, e certamente ha fame. purtroppamente non ha trovato niente di meglio che un pacco di patatine. lo apre. scroscio bestiale, e vabbè. continua a tenerlo in mano, per una cinquina di minuti (cinque minuti lunghissimi), mangia le sue patatine rigorosamente con la bocca aperta, nel caso ci fosse un momento di silenzio del sacchetto ci pensa lei con la bocca (schifìu), poi evidentemente si rende conto che forse sta dando fastidio, e decide di chiudere il sacchetto (scroscio bestiale) e metterlo da parte. posso rilassare tutti i muscoli della schiena e del collo e vedere il film.
fine primo tempo.

secondo tempo.
non è che la signora ha approfittato della pausa per dire chessò mi cafuddo quattro patatine in bocca ora, che non do fastidio a nessuno, visto che sto morendo di fame, no, parlava tranquilla, con la sua amica. ricomincia il film, e lei prende il suo sacchettino di patatine. evidentemente c'ha 'sta perversione, che lei a inizio tempo (primo, secondo, chiddu chi è) si deve mangiare le patatine. e vabbene, mi metterò in posizione: tendo tutti i muscoli, mi infastidisco, non le dico niente perchè che ci posso fare, non me la fido, e soffro. tanto finirà. e mangia. e ciancica. e muovi il sacchetto. e scrocchia 'ste patatine con la saliva. e intanto il film va avanti. e questa continua a mangiare. ma che s'è comprata, il sacchetto da due chili e mezzo? ma com'è possibile? saranno 10 minuti dall'inizio del secondo tempo e questa ancora muove 'stu sacchetto, mastica, impasta, schiocca, ma che è? e intanto i dialoghi del film si perdono, intaccati e sconfitti da quell'unico e inamovibile pensiero che ti occupa il cervello senza possibilità di scampo: ma quando finiranno?

fino a quando non accade l'inatteso.
un angelo.
sento una voce.
la sente tutto il cinema, a dire la verità.
la voce di una liberazione. l'unica che avrebbe potuto redimere tutta la balconata di sopra.
due file più indietro, la voce del salvatore. una voce forte, sicura, palermitana, quella che tutti avevamo in mente, e che nessuno osava dire.

ad alta voce:


MINCHIA, MA 'UN FINISCINU MAAAAI 'STI PATATINE?!?!?!?


grazie, voce angelica, che avrei voluto abbracciarti ma non potevo, e sono sicuro che tutta la balconata di sopra avrebbe voluto farlo come me, ma non si poteva bloccare il film per te, anche se forse ne sarebbe valsa la pena. grazie, voce angelica. la patatinofaga SE L'E' CHIANTATA ALL'ISTANTE.