(r)i gatti ruzzi XII - di calcio e mistica

mercoledì, giugno 30, 2010

"Conclusi gli ottavi di finale, sarebbe anche giunto il tempo di fare qualche bilancio" pensavo tritando le mandorle che avrei messo nell'insalata solo dopo averle tostate. "Ma come fare?" mi dicevo, pregustando il sapore dei conini gelato monoprix che avrebbero innalzato il livello della cena. "Non sono abbastanza preparato, non sto seguendo le partite con la dovuta attenzione, sto lavando la lattuga e l'unica cosa che posso fare è ascoltare la telecronaca, come farò, come farò?", insomma: tutto il repertorio classico del paranoico che non ha colto il senso di questa rubrica. È così che repentinamente - sentivo le rotelle girare in testa e il pomodorino rompere la sua sacca protettiva al contatto col coltello - ho pensato che una percezione così distratta non poteva essere il peggiore dei mali, doveva avere una sua ragione, e poteva essere sensato rifletterci un po'. Senza televisione, costretto a barcamenarmi tra i maxischermi dei pub parigini o il siabenedetto sito rojadirecta che trasmette le partite in streaming, la mia visione di questi mondiali è stata anch'essa clandestina: un professore di Pisa direbbe, con un espressione sulla cui bellezza lascio a voi il giudizio, "di sguincio". Quando guardi le partite in streaming il collegamento è quello che è, può saltare, andare a scatti, perdersi per poi ritrovarsi, ma soprattutto è plurilinguistico: se la qualità non è delle migliori hai tuttavia la possibilità di seguire la telecronaca di diversi paesi. Io ormai mi sono appassionato a quelle argentine, mentre onestamente mi sfugge il senso di quelle francesi (dopo il gol del Cile contro la Spagna, qualche giorno fa, gli intellettuali di tf1 hanno commentato testualmente "oh là là! c'est le temps des feuilles mortes!") (ora io  mi chiedo:  è necessario conoscere la storia della poesia mondiale per potersi godere una telecronaca?).

I telecronisti latinoamericani sono invece passionali e appassionanti: prediligono anch'essi l'uso delle metafore, ma sono metafore popolari, più alla portata di tutti: nella lotta senza requie del  Cile  contro il Brasile i commentatori se ne sono inventati di stupende, come quando verso l'85esimo hanno paragonato i giocatori cileni ai musicisti del titanic che continuavano a suonare mentre la nave affondava (a differenza dei commentatori francesi, qui il senso è chiaro e diretto e ti colpisce come una pallina da tennis quando sei a fondocampo che stai abbordando la tua compagna raccattapalle). D'altro canto sono gli stessi che durante le partite dell'Inter in Champion's League, quando la telecamera inquadrava la tipica espressione di Mourinho, dicevano che ha la faccia di uno che mangia sempre senza sale. Ci vuole del genio anche solo per pensarle, cose del genere. Non sarà un caso allora se quattro squadre su otto ancora in gara al mondiale sono sudamericane.

E però ancora non era abbastanza, mancava ancora qualcosa. Anche il chiasso latinoamericano non riusciva a rendere giustizia a quel piccolo miracolo che è in fondo il gol. Un gol non andrebbe sommerso di inutili chiacchiere, né sottolineato con ridondanti "o" che coinvolgono, sì, ma poi lasciano il vuoto dentro. Mi sembra evidente che il gol non ha a che fare con l'etica né con l'estetica, ma che appartiene a una dimensione ulteriore o più basilare, più primordiale, che ha a che fare se vogliamo più col religioso in senso ampio. Come spiegarmi: solo in maniera contingente si può attribuire il gesto che porta al gol a colui che in quel momento gli sta dando corpo, lo sta incarnando; ma il gol in sé è irriducibile alla dimensione umana, all'hic et nunc di una concrezione singolare. Esso dovrebbe essere accolto in maniera più adeguata, perché il gol è forse quell'unico tramite che può permetterci di avvicinarci a dio (al calciatore, a noi che lo guardiamo, persino al portiere che dovrebbe pensare: mi ha trafitto, ma così mi ha salvato). Immagino uno stadio intero intonare all'unisono un coro di vuvuzelas per poi, quando l'attaccante entra in area di rigore, zittirsi immediatamente per stare a contemplare l'evento. Gol.

(r)i gatti ruzzi XI - di mano di dio, tiri sulla traversa e sviste arbitrali

lunedì, giugno 28, 2010

Il mio primo ricordo “mundial” (se si esclude la baronda dell’82 di cui non ricordo nulla, ma dalle polaroid scolorite sembro abbastanza protagonista, sballottato dalle braccia di mia madre a quelle di mia nonna, meravigliosamente avvolta in uno scialle tricolore), è di Messico ’86.

Il mondiale in casa del 1990, fu quello della consacrazione del calcio come sport preferito, con quel picciotto palermitano che ci faceva sognare, le notti magiche e l’incantesimo dei calci di rigore, che solo la contemporanea  Berlino ha spezzato. Ma il primo ricordo è dell’edizione precedente: ottavo di finale contro la Francia. Una stanca e vecchia Italia, campione in carica (mi sovviene in mente una recente spedizione, ma sarà un caso) viene agevolmente superata dai cugini transalpini guidati da Platini. Mi ricordo bene che c’era una forte sfiducia sui nostri mezzi nelle parole dei miei cugini più grandi, io bimbetto di sette anni, riuscì a salvare il solo Altobelli, e così di lì a pochi mesi sarei diventato interista (sostituendo il primissimo amore infantile, la Fiorentina, “perché mi piaceva il viola”).

Da quella partita in poi, però ho iniziato a seguire il calcio. E se quella perfomance dal punto di vista tecnico non fu un granché, qualche giorno dopo lo stesso campionato ci regalò qualcosa di eccezionale: Diego Armando Maradona!

Argentina contro Inghilterra decisa da una doppietta del fenomeno mancino, prima con la celeberrima mano di Dio, e subito dopo con quello che è stato definito il gol più bello della storia. Una serpentina infinita in mezzo ai difensori inglesi che sembravano birilli, tocchi delicati di interno e di suola, un’altra finta sul portiere, e gol... in culo alla Thatcher, alle Falkland e alle buone maniere. Straordinario, davvero. La mia recentissima fede interista appena consolidata vacillò, quell’omino magico giocava nel “Napoli di Maradona”. La cosa poteva interessare, ma mio cugino Piero (di una decina d’anni più grande) mi disse una cosa molto saggia che sembrava uno slogan: “cambia tutte le fidanzatine che vuoi, ma tre squadre in 15 giorni è davvero troppo per tutti”. Restai interista, per coerenza. Solo nello scorso maggio ho mandato a mio cugino Piero una cartolina nerazzurra con su scritto: Grazie.
Oggi, seguendo il mondiale orfano dell’Italia, lo ritroviamo quello scugnizzo argentino, cresciuto, ingrassato, vestito che pare  Joe Pesci in “Mio cugino Vincenzo”, ma che sorride allo stesso modo di 25 anni fa dopo un gol dell’Argentina. È impossibile non tifare per lui. Io ho già scelto, avevo già scelto nel giugno dell’86.

Così ieri ho esultato al fraudolento gol dell’uno a zero (è incredibile come in questo mondiale gli italiani non riescano a fare manco gli arbitri: quel fuorigioco lo vedeva pure mia madre che non lo ha mai capito come funziona un fuorigioco!), ed ho applaudito a piene mani il 3-0 di Tevez. Nel ruzzino ci avrei anche preso, se solo capissi come funzionano i punteggi ora!

Per un’Argentina che ride si sa, c’è un'Inghilterra che piange, proprio come accadeva nel giugno dell’86.

Nel pomeriggio rinuncio per le seconda domenica consecutiva alle gioie della spiaggia di Sampieri,  per seguire la partita più attesa Inghilterra - Germania. Tutti i favori del pronostico (anche quelli del mio ruzzino, mannaggia) sono per la squadra di Capello, ma i tedeschi hanno fatto ottime cose, e la Germania  è durissima a morire, molto più dell’Italia, per intenderci. L’attesa non è ingannata, la partita è emozionante, la nuova Germania (non è più fatta di Jurgen, Lothar e Karl-Heinz) dei vari Miroslav, Jerome,  Mesut e Sami gioca davvero bene, meglio di chiunque altro in questo campionato, e mette sotto i figli della regina. Due volte nel giro di mezzora. Sembra finita, ma l’orgoglio inglese è proverbiale e viene ripagato dal 1-2 e poi anche dal due pari di Lampard. Capello esulta in panchina, io applaudo sul divano. Mia sorella a Berlino probabilmente sente la paura aggirarsi in torstrasse. Ma è proprio la giornata dei cicli e ricicli storici del pallone. Come 40 anni fa un pallone sbatteva contro la traversa e ritornava in campo. Era sempre Inghilterra contro Germania, ma quella volta era la finale. Quella volta il gol fu dato, questa volta no.
Con questa premessa a nessuno verrà da ridire se dicessi che quella volta non era gol, mentre questa si. Trenta centimetri buoni oltre la fatidica linea bianca, guardalinee immobile, arbitro perplesso ma che lascia giocare. Alla fine i nuovi panzer all’odor di kebab dilagheranno meritando la vittoria, ma quel gol-non gol ha il sapore di una sconfitta per tutti. Ma è possibile che a distanza di 40 anni nulla sia cambiato?

Invocando il miglior Biscardi e le sue arrovellate lotte per la moviola in campo, vi lascio con una citazione dotta di uno dei migliori attaccanti della storia dei mondiali, Gary Lineker:

“il calcio è uno sport bellissimo, si gioca undici contro undici, ma alla fine vincono i tedeschi”.

PS: sul 4-1 per la Germania mia sorella chiama mia mamma al cellulare e afferma: “sono impazziti tutti, non li ho mai visti così, sembriamo in Italia!”. È proprio bello questo mondiale ed è un peccato che ce lo abbiano portato via così presto.

L’inviato da sudditunisi , pro moviola in campo, raffio.
 
Alè

(r)i gatti ruzzi X - raccattacalcio

domenica, giugno 27, 2010



Ieri pomeriggio, sdraiato sul divano, cercando di fare una penni, guardavo una partita di tennis (Wimbledon, Serena Williams contro non so più chi). Per la verità, non è che proprio seguivo attentamente, ogni tanto mi calava la palpebra e ogni tanto la riaprivo, risvegliato più spesso da qualche urletto di rovescio incrociato piuttosto che dall’interesse per il punteggio. Insomma, per farla breve: ero in quella fase meravigliosa che si chiama dormiveglia (con parola un po’ troppo piana, per la verità.. ho controllato, in tedesco si dice Daemmernzustand, “stato di crepuscolo”.. è inutile, il tedesco non lo batte nessuno..). Io, che sono la persona meno creativa del mondo, ecco, per me il dormiveglia è, non dico un momento produttivo, ma comunque forse l’unico momento della giornata in cui mi vengono in mente quelle 2 o 3 idee quotidiane che mi permettono di sbarcare il lunario e rimanere in rapporti più o meno stabili con la mia idea di me stesso. Per capirci: ieri notte in un lungo crepuscolo ho scritto le prime pagine della mia tesi di dottorato, e mi sono anche venute bene. Peccato non avere un’uscita usb, che ne so, sulla nuca. Comunque, dicevo, ero in dormiveglia, e dopo un urletto da rovescio incrociato  di Serena andato a buon fine ho faticosamente scalato la palpebra, e mi è caduto l’occhio su un raccattapalle. Sapete come sono piazzati i raccattapalle in un campo da tennis, no? Due stanno sulla rete, pronti a recuperare le palle troppo basse, mentre gli altri stanno in fondo al campo, gambe larghe, mani dietro la schiena, impegnati a incastrare fra le dita della mano sinistra tutte le palle che ci stanno, e ad alzare sopra la testa la mano destra in cui una palla è sempre pronta a finire sulla racchetta del tennista di turno. Ora, si tratta chiaramente di un lavoro infame, ma veramente veramente infame; non sapete quanto spesso i giocatori sbaglino e tirino sulla rete, che tanto quanto, né soprattutto quante palle rifiutano, per ragioni tanto misteriose quanto infamanti per i poveri raccattapalle, che si ritrovano spesso oggetto di un ostracismo incomprensibile -  ho visto giocatori di tennis indicare un raccattapalle con la mano e fargli cenno di no, come a dire: da te non accetterai neanche delle scuse, figuriamoci una palla. Comunque, dicevo, apro gli occhi e vedo questo raccattapalle, uno di quelli che sta sulla rete, che per arrivare su una pallina un po’ troppo lontana si era dovuto spostare sino alla linea di fondo, e da lì non poteva più tornare indietro, ché era tardi, il gioco stava per ricominciare, e allora se n’è andato in fondo, il poveretto, e si è messo vicino ad una raccattapalle, una di quelle di fondo. E si sono girati a guardarsi. E si sono sfiorati i gomiti. E si sono visibilmente imbarazzati. Non riuscivano più a trovare la posizione giusta, erano indecisissimi su come dovevano stare! Ora le braccia si toccano, poi un altro sguardo, poi un sorriso, o così mi è parso. Ho richiuso gli occhi, ho cominciato a pensare alla storia d’amore tra raccattapalle, una storia d’amore difficile, perché vi voglio vedere io a comunicare in un campo da tennis, contando che puoi solo correre, prendere palle e lanciare palle. Ho immaginato che per dirsi il loro amore potessero, che ne so, passarsi le palle sempre solo fra di loro, oppure magari scriversi messaggi d’amore sulle palle. Poi mi sono annoiato del loro amore – l’amore mi annoia in fretta – e ho cominciato a pensare, più in generale, a tutti i dimenticati dello sport, quelli che senza non si potrebbe fare ma poi alla fine tutti si dimenticano che ci sono. Passi il caddy nel golf, che tanto quanto, non porta mica solo le mazze, spesso consiglia anche quale usare, e posiziona la pallina sul tee e il tee sul green di partenza.. insomma, è uno che partecipa! Ma prendete invece, che ne so, quei tre poveretti con gli spazzoloni giganti che lucidano i campi di pallavolo durante le pausa: chi sono? Che vita vivono? come sono arrivati a fare gli spazzolatori di campi di pallavolo? I giocatori gli daranno una pacca sulla spalla per ringraziarli, ché altrimenti dovrebbero gettarsi in continuazione sul loro sudore, che se non sei “sudato82” ti può pure dare fastidio?  Oppure prendete i barellieri nel calcio: da dove arrivano? Saranno infermieri qualificati o sono 2 sfigati con le pezze al culo raccattati a caso prima della partita? Mentre oramai mi addormentavo, mi sono immaginato una partita di calcio giocata dai dimenticati, dagli invisibili indispensabili dello sport: e ho visto cose che non potete neanche immaginare. Ho visto gli spazzolatori di campi di pallavolo fare dei tackle da manuale – che difensori! – e i barellieri coprire la porta con la loro barella, e i raccattapalle… beh, correre, correre sempre, inginocchiarsi un attimo e poi correre ancora, e andare incontro alla palla per prenderla con le mani, alzarla sopra la testa con la mano destra e passarla i barellieri, che la respingono in campo con la loro barella. Purtroppo, l’ennesimo urletto di Serena mi ha svegliato, definitivamente. E allora, ripensando ai miei poveri dimenticati, ho capito che, a pensarci bene, noi che seguiamo il mondiale di calcio, che il ruzzino ci costringe a seguire il mondiale di calcio, siamo un po’ come loro: sia perché non giochiamo mica, noi; sia perché, a guardarci bene, corriamo da una parte all’altra, e ci sbattiamo e vogliamo fare parte di una partita che poi, alla fine, neanche possiamo vedere, visto che la Rai e Mediaset si sono dimenticate di comprare i diritti. Siamo dei raccattacalcio, insomma, e anche noi siamo stati dimenticati. E questo non si fa.

(r)i gatti ruzzi IX - psicopost

sabato, giugno 26, 2010

1) Quando ho troppe cose da dire, o mi sembra che quelle poche cose che ho da dire mi si accavallano nel cervello, e il filo rosso che forse le accomuna si assottiglia, o diventa bianco, o diventa trasparente come il filo interdentale, io, che non ho mai scritto una scaletta in vita mia per nessun tema, tesi, o componimento, sento il bisogno di scrivere per punti. E una volta che li ho scritti non mi va di togliere i numeretti.
2) Dunque questa non è una scaletta, perché non rimanda a nessun altro testo che sarà scritto in seguito, né lo prepara.
3) I numeretti servono solo a redimere la libertà e, paradossalmente, ad amplificarla con la loro potenziale infinità.
4) Infatti penso che l’idea di numero sia limitante solo quando utilizzata per la misurazione.
5) Un autore a me molto caro definisce la misurazione così: “L’essenza della misurazione consiste nello stabilire una relazione o corrispondenza biunivoca uno-uno tra la cosa che dev’essere misurata e i numeri.Ogni cosa che può essere posta in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri o con un suo sottoinsieme è misurabile”.
6) Questo signore però, per sua stessa dichiarazione, si propone un compito piuttosto arduo e strano che, detto così come lo sto per dire, a chi ha fatto studi umanistici potrebbe sembrare anche un po’ deprimente.
7) Il compito è: misurare le emozioni.
8) L'autore è: Ignacio Matte Blanco.
9) Comunque, lui non è che sia così accecato dalla hybris da non accorgersi che è un’impresa quasi impossibile. Lo sa, lo sa eccome. Lo sa per definizione che solo le manifestazioni fisiche possono essere messe in corrispondenza con la serie dei numeri.
10) Ma, a un certo punto, si accorge che tutto ciò che è mentale nell’uomo è legato indissolubilmente al fisico, come le immagini visive.
11) Così, chiede a un suo paziente un po' aggressivo di descrivergli la fantasia di "fare a pezzi qualcosa". Questo evidentemente gli racconta cose terribili, tipo che sogna di vivisezionare una cavalletta, o di smontare la macchina del vicino che gli ruba il parcheggio e di rivendere i pezzi allo scasso, o di tagliare la testa in quattro a quello che gli ha fregato la fidanzata, o di castrare il padre padrone ecc...
12)Il caro psicanalista ottiene un’immagine materiale molto simile a un evento, anzi ottiene più immagini materiali. E vorrebbe misurarle. E si potrebbe anche fare, ma quelle sono solo quattro e restano ancora tutte le altre infinite possibili, e insomma il tempo è quello che è
13) E siamo punto e a capo.
14) Guardando la partita della Spagna ieri sera, che ho onorato più mangiando un boccone di jamon serrano che con l'attenzione prestata al gioco, devo dire che ho fatto molta fatica ad appassionarmi. Il problema è stato che avevo promesso al fornitore del suddetto prosciutto che sarei stata solidale con lui come lui era stato con me l'altro ieri, a piazza di Siena, mentre la Capitale assisteva attonita alla tremenda disfatta. Siamo fratelli, sosteniamoci a vicenda boicottando le squadre del Nord Europa, tu hai tifato per me ieri, oggi io tifo per te. Diciamo che questa storia della solidarietà tra nazioni con gli spagnoli non ha retto più di tanto. Per quanto a me sia parso di avercela messa tutta,
15) a cuor non si comanda.
16)E dove andava il cuore? In Cile. E perché mai? Perché a occhio e croce era la squadra meno favorita, che infatti ha perso. (Anche se con onore, anche se ha passato il girone lo stesso e alla fine, siglato l’armistizio, hanno lasciato che gli spagnoli giocassero a passarsi la palla )
17) Non credo che in questo istinto di tifare i cosiddetti perdenti, non importa che maglia abbiano, si celino reali buoni sentimenti. Si cela piuttosto la paura di fallire e il desiderio di vederla esorcizzata, anzitempo, o in seconda battuta, o a ripetizione, da altri. Si tratta di vedere gente che ce la fa nonostante i numeri e il destino, di celebrare la vittoria di (presunti) buoni piccoli piccoli contro l'esercito sempre nutrito delle forze avverse, si tratta di credere in un trasferimento della loro fortuna (o della loro virtù infine premiata) direttamente alla tua persona. Per fare che non si sa, e neanche perché.
18) Una specie di catarsi, insomma. Già, la solita teoria della catarsi. Io però, che ho cambiato facoltà, direi che si tratta piuttosto di una sintesi tra i principali meccanismi difensivi della psiche: scissione, identificazione, proiezione e identificazione proiettiva.
19) Diciamo anche solo l'identificazione proiettiva, seppure io una diagnosi non so ancora farla. Identificazione proiettiva che ti porta, un giorno insospettabile di calma piatta, ad identificare non la tua persona intera (per fortuna), ma un segmento debole del tuo Sé, con undici o ventitré individui coi quali hai in comune solo la terra natìa, proiettando su di essi tutto il tuo desiderio onnipotente di miracoli e di rivalse.
20) Tra le infinite possibili fantasie di riscatto, tu hai scelto proprio quella, e la tua fantasia e il tuo riscatto adesso hanno un nome, una bandiera, dunque un'immagine fisica finita e una situazione spazio-temporale definita entro cui avere luogo. Inoltre, l'oggetto del tuo nuovo investimento emotivo, possiede un dispositivo naturale di misurazione del successo dell'investimento stesso: goal e punti. Entra persino in gioco qualcuno che ti suggerisce un metodo per misurare tutto costantemente, in tempo reale. Quel qualcuno, nella fattispecie, ti ha suggerito di iscriverti al ruzzino, e il ruzzino oltre all'aggiornamento in tempo reale ti promette qualcosa di più.
21) La visione d'insieme. La possibilità di confrontare i valori che hai assegnato alle tue emozioni con la realtà. La possibilità di fare lo stesso con le proiezioni degli altri.
22) Insiemi infiniti contenuti in una sola classifica.
23) L'hai quasi fregato, a Matte Blanco.
24) Ma questo ruzzino ti spara in alto, poi capricciosamente ti fa ridiscendere, poi ti fa riguadagnare qualche posizione e ti fa abituare all'alta quota, finché non ti rispara quasi in vetta e da lì riesci a guardare nitidamente giù, e a vedere quel precipizio che ora si allarga ma che ti aspettava dall'inizio, e lo sapevi. Perché avevi già chiamato le cose col loro nome.
25) Sapevi che era una missione impossibile che l'Italia vincesse i mondiali. Che, né tu né l'Italia, potete campare facendo affidamento sul culo. Sapevi che era impossibile misurare l'emozione. Sapevi pure che lo psicanalista cileno non intendeva misurarla in quel modo.
26) Boia. Ho capito solo ora perché ieri sera tifavo Cile.
27) Potenza dell'inconscio.
28) Beh, mi dispiace non aver parlato di calcio. Ne avevo tutta l'intenzione.
29) Però dico, ti aspettavi veramente che una donna potesse farlo?
30) Davvero non sapevi che tutto si ripete come in un film di serie B?


(r)i gatti ruzzi VIII - Il grado zero (ovvero, la vendetta postuma del Codino)

venerdì, giugno 25, 2010

Da tempo immemore e “sanza sospetto” avevo riversato righe furenti contro la Dottrina Lippi.
Oggi, a catastrofe conclusa, con le macerie che ancora rotolano e fumano, vediamo di illustrarla sulla prima pagina di questa insigne avanguardia della cultura italiana nel mondo.
Occorre una premessa, però.
Si intenda d’ora in avanti nella lettura che la Dottrina Lippi è in realtà un modello matematico estrapolabile dal campo verde e applicabile a ogni ente della società italiana. 
(Ecco, adesso si capisce quanto fa bene vedere Numb3rs, domenica sera, su rai2, ore 21, per tutti voi che vi trastullate coi grand tour europei e trascurate la cultura scientifica.. buzzurri!!).
L’obiettivo primario di Lippi è stato di sostituire la sua persona, il suo nome, la sua “aura” a un bene preziosissimo per un’ex potenza industriale in decadenza: il calcio italiano. 
Il concetto, la scuola che passa con il nome di calcio italiano: catenaccio, difesa a oltranza, buoni mediani, un fenomeno di numero dieci e due buoni attaccanti.
Lungi dall’accontentarsi del suo ruolo primario di direttore d’orchestra, l’uomo che allenava la Juve dei dopati delle telefonate di Moggi (guarda caso vinceva: che strano, vero?) volle farsi categoria suprema di uno sport di squadra.
Ora, come tutti avranno visto dalle partite dell’Argentina e financo dell’Olanda, nel calcio vince chi gioca bene. Di solito, ma non sempre, si affermano coloro che giocano da dio: tipo Barcellona e Real Madrid di qualche anno fa (essì, va bene, ho capito, anche l’Inter di Mou. Ecco. L’ho detto. Ok, basta andiamo oltre). Il buon gioco e il talento.
Ma, come vedete benissimo anche voi, il buon gioco e il talento dipendono soprattutto dai giocatori. Se hai dei fuoriclasse puoi permetterti dei grandi numeri. Sennò, te la cavi con l’organizzazione e la prestazione fisica. Ok. quindi: i giocatori, non l’allenatore. E questa cosa a Lippi non è mai andata giù.
Ricordate Baggio? Per assicurarsi che le vittorie della Juve e dell’Inter non avessero niente a che vedere con il Divin Codino, Lippi lo mise sistematicamente fuori squadra. Se c’è Baggio, se c’è Cassano, poi tutti i titoli dei giornali sono per loro. Impossibile.
La squadra ideale di Lippi prevede dunque l’assenza di talento che possa mettere in ombra la sua personalità. E qui arriviamo al cuore della Dottrina. Con i mondiali 2010 Lippi è riuscito nel capolavoro supremo di mortificare tutti i reparti e tutti gli uomini ricorrendo alla sistematica ricerca della mediocrità. Di tutte le scelte possibili, Lippi ha praticato sistematicamente quella mediocre.
Il risultato è stato il grado zero del calcio italiano. Nessuno c’era riuscito, nemmeno quel pazzo furioso di Arrigo Sacchi. Prova ne è la chiamata in causa del buon Quagliarella, tenuto fuori per due partite e tre quarti per non alzare troppo il livello della squadra (insieme a quel dignitoso professionista di Totò Di Natale). Lippi è stato costretto a chiamarli in campo e a momenti gli andava di nuovo di culo, come nel 2006 con il rigore di Totti al 93’ di Italia-Australia.
Ecco perchè ieri si stava per replicare, con l’ingresso di Quagliarella, ciò che accadde il 23 maggio del 2000. Quella sera, l’Inter giocava contro il Parma di Buffon e doveva vincere per forza per qualificarsi in Cenzion Lig (copyright, Cofino). 
Era una sera di estate anticipata. Me la ricordo benissimo perché è stato uno dei momenti più belli del calcio vissuto sul divano. L’Inter restava, nel primo e nel secondo tempo, inchiodata sull'1-1-. 
Lippi non sapeva più che fare. Come al solito. Senza gioco, senza idee, irrimediabilmente mediocre. Non gli rimase altra scelta.
Furibondo, con la bava fuori dalla bocca, chiamò Baggio dalla panchina. Sapeva infatti ciò che stava per accadere. A venti minuti dalla fine Baggio fece il suo ingresso in campo, già trentenne acciaccato, un po’ brizzolato, festeggiato anche dai tifosi del Parma (succedeva sempre così, con Baggio: tutti facevano festa, anche quelli che stavano per essere puniti dal suo genio). Gli avversari entrarono nel panico. E l’Inter di Cauet vinse tre a uno. Doppietta del Codino. Su punizione, da posizione impossibile; e con un tiro al volo da fuori area. L’Inter si qualificò e Lippi dovette allontanare la stampa e le televisioni che gli stavano chiedendo conto di quel miracolo. 
Ecco, io oggi non voglio leggere i giornali. Mi fa troppo male. No. Io vado su Youtube e mi rivedo quei due gol. 23 maggio di dieci anni fa, quando il calcio era leggenda. 
E sto bene.

(r)i gatti ruzzi VII - lo spirito tedesco

giovedì, giugno 24, 2010

Ogni mattina un immigrato si alza e sa che deve correre... questo se fosse immigrato, che ne so, nella savana o nella giungla. Ma in un  paese civile come la germania, qui ogni mattina un immigrato si alza e  sa che deve sbattere la faccia contro l’ottusità di un popolo tanto elastico quanto simpatico.

I tedeschi sono un poco come quelli che a scuola siedono sempre al primo banco. Generalmente occhialuti, con la mano sempre alzata, sempre i primi a voler rispondere, in ogni cosa. Alzano la mano per rispondere, rispondono, ricevono complimenti e poi si voltano con un sorrisino di soddisfazione verso gli ultimi della classe, i tipici italiani per esempio, che intanto cazzeggiano, guardano i culi delle compagne e cercano di andare avanti con una truffetta di qui e di li.

I tedeschi no, loro vogliono essere sempre i primi, anche nelle cose stupide. Che ne so, durante l’ora di educazione fisica, questi geni del primo banco vogliono competere con quelli dell’ultima fila che notoriamente sono molto più atletici e belli, visto che lo studio imbrittisce e il cazzeggio imbellisce. Ma loro vogliono competere nella partitella dell’intervallo e allora li vedi li a darsi motivazioni, a auto esaltarsi, a convincersi. Così i giornali titolano alla seconda partita del mondiale: siamo i più forti, siamo i più giovani, dieci motivi per i quali non possiamo non vincere, Özil ti amiamo etc, etc.

In effetti i tedeschi hanno una bella squadra, mi piace come giocano anche se ieri non hanno brillato. Ma quelli del primo banco hanno un problema, un problema di visione del mondo. Fissati sui loro dignitosi e ambiziosi obiettivi non possono mettere a fuoco quello che accade al contorno, hanno una visione macroscopica, incapaci di concentrarsi sui dettagli. E sopratutto, essendo sempre al primo banco non hanno neanche la minima idea di quello che accade alle loro spalle, nella fattispecie di quello che i cazzoni dell’ultimo banco pensano di loro e della intera situazione. Non capiscono che alla fine se loro vincono sempre non gliene frega niente a nessuno e che quindi è inutile fare sorrisetti idioti pensando di cogliere una ferita aperta, un risentimento nell’animo dell’interlocutore. È inutile perché il povero nero a cui fai il sorrisetto, o l’italiano che ti sta vendendo una finta pizza margherita, se ne fotte di te, del fatto che hai vinto e di quanto sei bravo. Ma il tedesco, ottuso e teutonicentrico e inebriato dalle mille bandiere che già dal primo giorno sventolano in ogni dove, questo non lo capisce. E non capisce che a me di quello che farà oggi l’italia non andrà a intaccare il corso della mia vita: un mio conoscente, e non è l’unico, dopo che l’italia ha battuto la germania nel 2006 non ha mangiato pizza per due anni. Basta per esprimere il concetto?


L’inghilterra non l’ho vista ieri. L’ho vista le prime due volte. Ho l’impressione che l’ighilterra sia un po’ come una buona italia, una buona italia classica dico. E la presenza di capello in fondo conferma questa impressione. Vediamo che combinano con la germania, di sicuro il tedeschi se la fanno un poco sotto...

Bisogna aggiungere infine che la giornata di ieri è stata catastrofica sul fronte del ruzzino. Crollo verticale di TUTTI i nostri amici, tranne il Fantostico dell'Ocamuccata che guadagnando 411 posizioni si attesta al posto n° 900; e raffioprovincia di modica, con 88 posizioni in più, che arriva al 1082° posto. Per il resto, continua a dominare mission impossible, che perde però 16 posizioni pur rimanendo la 26esima in classifica generale. Da segnalare l'ostinazione del rivoluzionario Enzomma che guida la coda al 1774° posto.

(r)i gatti ruzzi VI - e i francesi che si incazzano

mercoledì, giugno 23, 2010

Il problema è che a me i quadratini neri mi aumentano quasi quanto i triangolini blu. Hai voglia ad aver concepito le stelline rosse: quelle vanno bene per l’avvenire, mai per l’oggi. E se i tuoi quadratini sono quanto i tuoi triangolini, allora sei spacciato. Non vai male: ma non spaccherai mai. Mission impossible (decima in classifica generale: tanto di cappello) te la puoi dimenticare. Sei un dilettante, punto. Ed è inutile piangere sul latte versato. 


Ce lo vogliamo dire? A me sto mondiale mi sta rovinando. Io non studio più. Non vado manco al cinema. Era un segnale chiaro: dobbiamo andare al cine? Vai, al cine vacci tu! Zzazzarazzàz, zzarazzzàz, zazzàazzaràzzazzazzàzzàzzzà. Insomma, la Francia avrebbe perso. Certo, che avrebbe perso così non se lo poteva aspettare nessuno, e infatti tutti a pronosticare il massacro contro i sudafricani (voglio dire, il loro passato coloniale bello importante i francesi ce l’hanno, e fino all’altro ieri, perché no?), e invece le cose del calcio, per fortuna, girano diversamente. E purtroppo non solo quelle. Io oggi dovevo andare a vedere la partita al bar, mollando tutto, per raccontarvi la disfatta dal di dentro, per infilarmi nel sistema e sviscerarlo per bene da bravo inviato. Poi però mi sono arrivati dei messaggi, che mi hanno un po’ scosso, e mi hanno fatto cambiare idea. Allora, sempre senza studiare, mi sono messo a pensare e a ricordare. E tra i ricordi e i pensieri stavo provando a pensare che cosa avrebbe detto lui dei mondiali di calcio. Non lo so, e probabilmente non gliene fregava niente (mi sa che non era il tipo), però di sicuro in questi giorni avrà letto sui giornali delle scaramucce interne alla squadra di Domenech, dallo sciopero dei calciatori al sipario dello spogliatoio squarciato dalle voci di una spia. 


Cose incredibili, non so se ve ne rendete conto. Ma secondo me lui se l’è presa a ridere, perché F. O. era uomo di spirito, e rideva tanto delle cose di cui era giusto ridere – e anche di quelle di cui magari non è considerato giusto, santi e fanti. Sono certo che avrà apprezzato la libertà dei giocatori che si opponevano all’autorità costituita, e probabilmente avrebbe approvato in cuor suo l’eliminazione dei galli, che tanto amava e che tanto pure gli stavano sulle palle (alcuni). Anzi, ve lo dico io cosa gli sarebbe passato per la testa: gli sarebbe venuta in mente qualche scena di qualche romanzo che avrà letto nella sua vita e che magari conosceva a memoria (sul serio). Magari ce l’avrebbe potuto raccontare, o l’avrebbe raccontato a qualcun altro che poi magari ce l’avrebbe raccontato. È così che si trasmette la cultura, lui lo sapeva bene, mica solo studiando. Comunque no, non l’avrebbe vista la partita della Francia, e nemmeno quella dell'Argentina di Maradona la sera, lui sarebbe rimasto a casa a lavorare, o ad ascoltare musica, o a leggere. E allora io che mi ero organizzato per andare a vedere la partita interrompendo prima lo studio ho deciso di cambiare i programmi, e rimanere a lavorare pure io. Per protesta. Oh, niente retorica: lui avrebbe detto che la morte è una cosa naturale, e il suo senso del dovere al di sopra di qualunque debolezza lo avrebbe spinto a continuare le cose normalmente, bando ai sentimentalismi e non rompeteci le palle con la tristezza e così via. Infatti, nessun sentimentalismo, the show must go on e noi siamo qui a scrivere la nostra rubrica, però lo spirito di andare a vedere la Francia dopo una notizia così quello no, ci consentiamo di risparmiarcelo, e io allora sono rimasto a studiare, come forma di protesta per la sua morte. E oggi la chiudiamo qui, e basta. D'accord?

ciao

(r)i gatti ruzzi V - L'ipotesi leninista

martedì, giugno 22, 2010








(L’ultima volta che ho scritto un post, ho ucciso Saramago. Ecco, io non vorrei uccidere Iaquinta, dedicandogli questo post, veramente non vorrei, lui e il suo simpatico naso a vuvuzela campino pure altri trecent’anni, ma mi piacerebbe trasmettergli almeno un forte giramento di testa, in prossimità della ventura – e verosimilmente definitiva –  discesa in campo).

E ora passiamo alle cose serie: parliamo di me.

Il mio problema è il seguente, e mi perdonino gli italici Mani: io, a questo mondiale, non riesco ad appassionarmi.
Sarà che non seguo il calcio dai tempi del liceo, e che ormai la mia conoscenza del medesimo si è ridotta a quella di una ragazza media italiana (“Dai! Hai visto? De Rossi si è fatto crescere la barba!” seguono discussioni se stava meglio prima o ora).
Sarà che questa Italia operaia non dà scampo, non ti lascia neanche il più piccolo spazio per sognare (insomma, ai mondiali del ’94, la glaciale nazionale di Sacchi lasciava almeno invocare Zola – poi Zola fu messo in campo, e quattro minuti dopo fu espulso, ma era il margine onirico che contava, la possibilità dell’interstizio utopico in cui si inseriva la speranza: “Ora arriva il genio e ci salva”; ai mondiali del ’98, i mondiali del catenaccio, del 5-5-0, almeno sognavamo che arrivasse Baggio, dribblasse tutti e facesse duecento gol; al mondiale del 2002 non so, il liceo era già finito).
Sarà che Lippi ci è crollato nel gradimento dopo la sviolinata all’erede al trono piemontese.
Sarà che ho scoperto che nella mia ex casa parigina ci sono i topi, e forse c’erano anche quando ci stavo io.
Sarà che, diciamolo senza paura, i mondiali andrebbero giocati d’estate (e non mi riferisco solo alla stramba questione degli emisferi).
Ma la risposta più profonda – come ogni risposta più profonda – riguarda l’Inter. Il fatto è che noi interisti siamo sazi, mi sono risposto in un primo momento. Oltre all’ultimo mondiale, abbiamo vinto gli ultimi cinque scudetti, quest’anno abbiamo fatto la triplete e siamo maestosamente campioni d’Europa. Abbiamo vinto tutto, sconfitto tutti, banchettato sui cadaveri più eccellenti d’Europa: non potremmo chiedere di più.
Ma sbagliavo. O meglio: la questione era un’altra.
La FC Internazionale di Milano ci ha insegnato qualcosa di più profondo, cui non ci sentivamo legati dai tempi di Lenin e di Turati: ci ha insegnato a divenire come lei, ci ha insegnato l’internazionalismo, il divenire-Internazionale. E mentre gli altri ci deridevano da destra, ché nell’Inter non c’era un solo italiano, noi li guardavamo sgomenti: veramente non si rendono conto che, con la Cenzion Lig all’Inter, è cambiato tutto? Veramente non sanno che è morto dio, e che la suddivisione in nazioni, che il mondiale contribuisce a confermare e corroborare, è un modo per innalzare barriere nel proletariato? Veramente ignorano che noi a Balotelli gli vogliamo bene come se fosse italiano? Veramente non si accorgono che Zanetti è in Italia da più tempo di Renzo Bossi (e comunque parla l’italiano meglio di lui)? Veramente non sanno che la vera squadra è quella che non conosce legami di sangue, di stirpe, di lignaggio, di territorio, quella variopinta, eterogenea, al di là delle nazioni, che si riunisce intorno a un forte legame di amicizia, a un obiettivo comune, a un condottiero rivolto all'avvenire e a una montagna di miliardi graziosamente elargiti da Moratti?

Le risposte, cari miei sinistroidi, non stanno nel timido operaismo riformista à la Lippi, ma nel leninismo internazionalista à la Mou.
Ed è questo scarto a sinistra che mostra chiaramente come il vero vincitore morale del Ruzzino sarà quell’Enzomma che senza paura viaggia, in direzione ostinata e contraria, verso la Rivoluzione.



(Per finire una doverosa cronaca, sulle vicende che hanno seguito la schiacciante vittoria per sette a zero del Portogallo sulla Corea del Nord, la cui popolazione per tradizione digerisce serenamente le sconfitte.
Ore 16. Dopo l’umiliazione, il governo di Pyongyang vota all’unanimità per utilizzare il dispositivo nucleare “Fine di mondo”.
Ore 16.53. Il governo di Pyongyang scopre che il dispositivo “Fine di mondo”, dono dell’ex Unione Sovietica, è in realtà un tostapane.
Ore 17.45. Dopo una lauta merenda a base di pane tostato e marmellata di dissidente, il governo di Pyongyang ripiega sull'utilizzo del dispositivo “Fine di Portogallo” per sbriciolare l’inutile appendice iberica.
Ore 17.57. Il governo di Pyongyang realizza che non esiste nessun dispositivo “Fine di Portogallo”, e che soprattutto, da quando hanno fatto le nuove cartine geografiche revisionate dal Partito, in cui compaiono solo Corea del Nord, Cina e Cuba, nessuno ha più idea di dove sia il Portogallo.
Ore 20. Dopo un consiglio dei ministri tesissimo, il governo di Pyongyang opta per un Harakiri di massa, e recapita in casa di ogni cittadino una sciabola. L’Harakiri è previsto per le ore 24.
Ore 23.45. Un alto funzionario del governo di Pyongyang ha un’illuminazione, e sventa il temibile Harakiri collettivo.
Ore 23.55. Il governo di Pyongyang invia all’Onu la risoluzione per cui la Corea del Nord si costituisce Provincia Semiautonoma d’Oltremare dell’Argentina, scelta che le permetterà di vincere i mondiali, in culo al Portogallo.)

(r)i gatti ruzzi IV - la seconda partita

lunedì, giugno 21, 2010

Sampieri, Sicilia. Giugno, meno un giorno al solstizio.

Accaldato da una settimana di scirocco, avevo sperato di trascorrere in spiaggia la domenica mattina. Io a costruirmi la nuova abbronzatura, l’Italia del pallone a disfarsi della Nuova Zelanda. Avrei dovuto intuire cattivi presagi, scoprendo che le (di solito) tranquille acque del canale di Sicilia erano gonfie e frastagliate come quelle di spiaggie oceaniche; e che il vento spazzava via dalla spiaggia quei pochi coraggiosi bagnanti. Rinuncio alla tintarella, seguirò le partite in tv.

Paraguay – Slovacchia

Partendo dalla considerazione che la partita delle 13,30 è in un orario interessante, e sarà curioso l’anno prossimo avere i pranzi domenicali accompagnati dalle voci di caressa & Co (sarà programmato un anticipo di campionato all'ora di pranzo), sonnecchio davanti alla tv, sperando nel pareggio.

Pronti via, il rognoso paraguay passa in vantaggio e amministra bene. Potrebbe raddoppiare, ma non lo fa, c’è ancora una speranza per l’esordiente Slovacchia.

Il secondo tempo è di rara bruttezza e dopo il 1467esimo passaggio sbagliato da tale Weiss, maglia numero 7 slovacco, cartellino di proprietà del Man City (che però il Mancio giustamente ha sbolognato al Bolton), che inspiegabilmente il ct si ostina a non sostituire (penso sia un dettaglio il fatto che questi sia "solo" il padre del ragazzo), scatenando la mia indignazione,  decido che questa squadra non merita il mio supporto (speravo sempre nel pareggio) e gioisco del meritato secondo gol dei sudamericani.

Niente di trascendentale, ma adesso hanno 4 punti nel girone e affronteranno nell’ultima la Nuova Zelanda. Sfido io chi non vorrebbe essere al loro posto.

Italia – Nuova Zelanda

Il paraguay ha vinto, bisogna fare altrettanto.

Gli opinionisti in tv sciorinano considerazioni interessanti e si sbilanciano nei pronostici. Il buon Pablito mundial addirittura 3-0 per noi, io controllo il mio ruzzipronostico e in effetti sono in linea con loro. Siamo più forti, vinceremo.

Neanche il tempo di sistemare l’audio della tv (operazione che richiede per questi mondiali un’opera ingegneristica a causa delle vuvuzelasseleficcasseroinquel…), che Cannavaro sfracela al suolo, il guardalinee si addormenta e il pallone d’oro oceanico anno 2008 Smeltz, trafigge Marchetti. Sembra assurdo ma siamo sotto.

La formazione mi lascia qualche dubbio. Iaquinta e Gilardino si pestano troppo i piedi, Marchisio e
Pepe, per quanto volenterosi, non sembrano meglio dei centrocampisti slovacchi della partita precedente.

Per fortuna  c’è De Rossi, e così come era successo nella prima partita trova un guizzo in mischia e costringe il suo marcatore ad un trattenuta, tanto veniale quanto fatale.

Rigore. Il calabrese di Cutro, al secolo Vincenzo Iaquinta, fa 1-1. Minuto 28, c’è ancora un’ora per vincere la partita. Con gli amici (e mezza Italia) invochiamo Di Natale, Lippi ci accontenta e aspettiamo solo che il golletto arrivi.

L’Italia ci prova, stavolta con meno vigore rispetto alla gara con il Paraguay, ma con buona determinazione. Il gol non arriva, Di Natale e soci ci provano come possono, ma a parte  qualche mischia nei 921 corner che battiamo non otteniamo nulla di più. Tanta confusione ed un po’ di scoramento. Finisce con il più classico del “clamoroso al cibali”, i campioni fermati dalla Nuova Zelanda (alcuni di loro di professione rappresentati di commercio, impiegati, etc..).

All whites in festa, i nostri vicini di tavolo nel bar dove ho visto la partita, 4 ragazzi magrebini che tifano brasile, si offrono l’ennesima birra per brindare l’evento.

A parte lo sdordimento per un risultato francamente imprevisto (per di più che la prima partita  dell’Italia mi era pure piaciuta), e per una classifica che si complica (anche se la Slovacchia son poca cosa pure loro) una domanda mi assale: ma con difese come queste, così fisiche e prestanti, non avrebbe fatto comodo uno come Cassano capace di inventare qualcosa anche nel nulla e in spazi evidentemente strettissimi, oppure uno come Balotelli che almeno fisicamente ha più impatto di Di Natale o di Pepe?

Mi risponde Lippi in persona da lì a pochi minuti: “ di fenomeni a casa non ce ne sono, fidatevi”.

Ci fideremo signor Lippi, quantomeno fino a giovedì, dopo saremo liberi di maledire le sue interviste post-partita almeno al pari delle vuvuzelas!
 
Brasile – Costa d’Avorio

Mi fermo a casa per cena dopo la non-giornata di mare, e prima di uscire, ho il tempo di vedere O’Fabuloso segnare due bellissime reti alla deludente squadra di Drogba (meriterebbe un’analisi più accurata il mondiale delle africane che poteva finalmente essere il loro per la 5-6 volta negli ultimi 30 anni!), Maicon spadroneggiare sulla fascia, Kakà farsi espellere per mettere pepe ad una partita che altrimenti avrebbe poco altro da dire.

Ad oggi, solo tre squadre sono a punteggio pieno Olanda, Argentina e Brasile.

Sarà una coincidenza che in ognuna di queste giochi almeno un giocatore che è stato determinante nella favolosa stagione della tripletta neroazzurra? Che i valori del campinato debbano avere il loro peso nelle scelte di un Ct?

Mi risponde ancora Lippi: “non per forza le mie scelte saranno condizionate dai risultati del campionato, fidatevi”.

Ci fideremo signor Lippi, almeno fino alla prossima conferenza stampa.

Un consiglio: non preveda nessuna gabbia per il numero 7 della Slovacchia, si marca da solo. Proviamo anche Qualgiarella(visto che nonsegna nessuno) non sia mai che cominci un altro mondiale!
Sperando che l’estate finalmente arrivi insieme ai gol degli attaccanti, buon solstizio .
Il vostro inviato a Sud di tunisi. alè!


p.s.: aggiorniamo la classifica, grandi sconvolgimenti con il crollo di Accaso, la vetta è invece sempre mantenuta da Mission Impossible che perde qualche posizione ma rimane ampiamente più in alto di Fidati che raggiunge il secondo posto; Enzomma sembra essersi affezionato alla maglia nera di noi (r)i gatti.

1. Mission impossible, 35° posto
2. Fidati, 315° posto
3. Viarigattieri 1, 425° posto
4. Nazionale senza filtro, 426° posto
5. Ricordandovianiosiequandovincevamoimondiali, 471° posto
6. Tutubo, 518° posto
7. Raffioprovinciadimodica, 590° posto
8. Ilvolpi, 664° posto
9. Viarigattieri 2, 808° posto
10. Accaso, 905° posto
11. Bettongi, 1002° posto
12. Bettolo, 1204° posto
13. Cracabum, 1249° posto
14. Fantostico dell'Ocamuccata, 1284° posto
15. Enzomma, 1432° posto

(r)i gatti ruzzi - III

domenica, giugno 20, 2010

Io questo mondo non lo capisco. E vabbè, sarò pure cretino, ma non lo capisco. Ora, lo so che mi verrete a dire che scopiazzo malamente lo stile degli altri, ma ho già detto che sono cretino, quindi via con le domande:

DOMANDA N° A: com’è che esistono persone che non odiano le vuvuzelas? (Per chi ancora non la conoscesse: http://it.wikipedia.org/wiki/Vuvuzela) Oh, qui in Italia non si parla d’altro eh! Cioè, nel senso, forse io, a cui dà fastidio qualsiasi tipo di rumore più forte dello sfogliare del giornale, non sono un soggetto imparziale, ma rimane il fatto che oh, porca miseria, dà veramente fastidio guardarsi una partita con sto barrito di sottofondo... eppure, guardate un po’, il telegiornale ci racconta di file chilometriche, a Milano – dove notoriamente quando non lavorano non sanno che fare – per acquistare questo insopportabile oggetto del desiderio, manco fosse un’i-pad (consigliatissimo come regalo di compleanno per il sottoscritto, a cui peraltro, non avendogli voi mai fatto un regalo di compleanno, risulterebbe quanto mai gradito!). 

DOMANDA N° B: Perché in Italia non si vedono le partite del mondiale? Cioè, l’italiano vive il calcio tutto l’anno, parla il calcio tutto l’anno, respira il calcio tutto l’anno, però non può vedere il calcio più importante dell’anno… anche perché il mondiale non è solo calcio, lo sanno pure i bambini, è una cosa che unisce i popoli: pensate, ad esempio, che per la prima volta dopo chissà quanto tempo, 23 koreani del nord e 23 koreani del sud si ritrovano all’interno dei confini di uno stesso Stato senza minacciare una guerra atomica. Vi sembra cosa da poco?  

DOMANDA N° C: com’è che vengo in Sardegna per andare al mare, e piove? Cioè, si, va bene, c’è anche il sole, ma piove, porca miseria… che, si fa così? Dov’è il mio sabato pomeriggio estivo pieno di sole abbronzante e partite a racchettoni sulle rive del Mare Nostrum (ma soprattutto Mium)? O forse è tutta una tattica (ovviamente inutile) per farmi studiare?

Ora, continuo a ripeterlo, sarò cretino eh, ma secondo me il ruzzino è una grande risposta a queste domande! Il ruzzino, che grande gioco... il ruzzino ti fa ritornare la voglia di vedere le partite nonostante le vuvuzelas – perché infatti che ti frega delle vuvuzelas quando la Nuova Zelanda segna al 93esimo contro la Slovacchia regalandoti il risultato scommesso, ché anzi correresti subito a Milano a fare la coda per comprarne una? Il ruzzino ti costringe a cercare disperatamente un programma di streaming su internet per vedere come finirà Ghana-Australia – partita inutile, che mai ti saresti sognato di vedere se non avessi scommesso sul pareggio per 1-1 fra due nazioni che non hai mai cagato di striscio ma che adesso ami da impazzire perché in effetti hanno pareggiato 1 a 1, capendo che chi s’accontenta gode (e fa gode Ciccì). Il ruzzino, infine, ti fa dimenticare e anzi quasi apprezzare di non essere andato al mare nel tuo primo sabato estivo, regalandoti la gioia di un balzo in avanti di 207 posizioni in classifica… perché oh, diciamolo, il mare è bello eh, ma che soddisfazione sarebbe raggiungere Incostanza?

Ora, anche se il post sarebbe finito qui, mi permetto di aggiungere un’ultima domanda, che non c’entra niente ma mi ci sto arrovellando da un’oretta.

Perché ieri muore Saramago – vorrei fermarmi qui – e oggi l’unica voce che lo ricorda di cui si parla è quella dell’Osservatore Romano? Il quale prima lo definisce “un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica”, come se non fosse un complimento, per dargli poi del “populista estremistico”, che definirebbe piuttosto Bossi, ovvero l’italiano medio. Ora, sarò cretino come dicevo, ma temo che, a quest’ultima domanda, risposta non ce ne sia punta.

 

(r)i gatti ruzzi II - teaser

sabato, giugno 19, 2010

Perché Lippi non ha portato Cassano in Nazionale? Perché Maradona lascia in panchina Milito, sapendo che potrebbe essere il primo e ultimo mondiale che gioca? Perché, anche se non ne ha bisogno, non lo lascia fare l’uomo in più? Come ha fatto la Svizzera a vincere contro la Spagna? E perché, dopo decenni di irrisione, le squadre asiatiche, riescono a mettere i bastoni tra le ruote a quelle sudamericane (e non solo)? Perché –come ha detto Julio Cesar al termine di Brasile-Corea del Nord-, per un buon primo tempo la partita è stata dominata dalla difesa nordcoreana che ha chiuso tutti gli spazi agli avversari, un po’ come in Barcellona-Inter al Camp Nou? Mourinho, ha cambiato davvero il volto al calcio mondiale? E come mai, Messi è poco incisivo con la maglia dell’Argentina? E’ troppo basso o troppo marcato, o tutte e due? Perché Cristiano Ronaldo è stato atterrato senza che nessuno fischiasse il fallo? Non converrà avere attaccanti di basso profilo e poco conosciuti, così nessuno li marca? Da questo punto di vista, Lippi docet? Spiazzeremo gli avversari con la tecnica dell’anonimato? Lippi rules? O Lippi sucks? Guarirà l’ernia del disco di Buffon entro domani? E la sciatica di Pirlo? Queste tegole sono frutto del caso o della Provvidenza? Ci ha pensato la Provvidenza, a imporre una ventata di rinnovamento alla nostra squadra? O ci ha pensato De Rossi, facendosi crescere la barba e segnando il gol del pareggio? Ci si può fidare di un portiere come Marchetti che, secondo le consuete indiscrezioni di Repubblica, ha l’Ave Maria tatuata non mi ricordo dove? Se il Sudafrica avesse come allenatore Clint Eastwood, rischierebbe oggi di uscire ai gironi? O non sarebbe forse rimasto INVITTO? E cosa turbava, in quel poco afoso inizio d’estate del lontano 2010, gli umori di A.I.? E soprattutto, dove si nascondeva? Come mai, tra i bigliettai dei maggiori cinematografi d’essai di Parigi, si era sparso, nel giro di una settimana, un panico simile a quello che colse i cittadini di Königsberg il 12 febbraio 1804, giorno in cui Kant saltò la sua rituale passeggiata pomeridiana? Quel 18 giugno, come alcuni di loro ebbero a convenire dopo un allarmato scambio di telefonate, era davvero già una settimana che il loro beniamino non si recava a vedere un film? Era forse rimpatriato senza preavviso? Era stato rapito da qualcuno? O si era perso nel vuoto senza lasciare traccia? E l’indomani, il Giappone, dopo aver lasciato la settimana precedente con un palmo di naso il Camerun di Eto’o, avrebbe battuto anche l’Olanda di Sneijder? Tutto ciò non sembrava forse possibile, ora che anche l’Algeria aveva messo sotto scacco l’Inghilterra? Si stava davvero avverando, quel flashforward a cartoni animati che li aveva tormentati durante tutto il lungo blackout  della loro infanzia?



1, 2,3… Sigla




Queste ed altre più turpi domande si facevano i bigliettai e i proprietari dei cinema parigini, mentre contavano il magro incasso della settimana appena trascorsa. Senza sapere che le loro mogli, già stanche di fare vita grama appresso alle temute recinzioni di A.I. (che criticava i film proiettati da loro determinando clamorosi cali di pubblico, e ora era sparito persino), avevano trovato una più efficace fonte di reddito nel mondo delle scommesse sportive. E come loro, molte altre donne sparse in altri paesi europei. Sovversiva e precaria era l’aria in quei giorni, appesa a un filo, anzi, a una classifica che, nelle ore centrali del giorno, sembrava ribaltare finalmente i rapporti di potere  tra le nazioni e tra i sessi, oltra a costringere i matematici ad elaborare nuove teorie statistiche della probabilità.

Per rendere un’idea, pubblichiamo qui il bollettino di guerra di quel lontano 18 giugno 2010* :

1. Al primo posto, alla posizione 26° l'azzardata Mission Impossible
2. Al secondo posto, alla posizione 122° la pisanissima Accaso
3. Al terzo posto, alla posizione 355° il furbissimo  IlVolpi
4. Al quarto posto, alla posizione 405° la titubante Tutubo
5. Al quinto posto, alla posizione 436° il collettivo-individuale Viarigattieri
6. Al sesto posto, alla posizione 481° il nicotinico Nazionale senza filtro
7. Al settimo posto, alla posizione 520° il fideistico-irrazionalista Fidati
8. All'ottavo posto, alla posizione 530° il chilometrico Ricordandovianosiequandovincevamoimondiali
9. Al nono posto, alla posizione 560° l'arbitro  Raffioprovinciadimodica 
10. Al decimo posto, alla posizione 774° il giovane Bettongi
11. All'undicesimo posto, alla posizione 858° il radical chic Viarigattieri2
12. Al dodicesimo posto, alla posizione 941° l'esplosiva  Cracabum
13. Al tredicesimo posto, alla posizione 978° l'ostico Fantostico dell'Ocamuccata
14. Al quattordicesimo posto, alla posizione 1092° il quattordicesimo nano Bettolo 
15. Al quindicesimo posto, alla posizione 1451° la maglia nera Enzomma


*classifica valida fino alle 13.30 di oggi, il successivo aggiornamento sarà pubblicato dopo le 22.30 (N.d.A.)

(r)i gatti ruzzi - I

venerdì, giugno 18, 2010

Bisognava decidere: sacrificare l'epica al comfort, o scegliere un luogo all'altezza della situazione. Bastille sembrava il più adatto per assistere allo scontro tra Zapata e Robespierre. Un bar, ché di tv qua si è sprovvisti, e non è l'unico degli accorgimenti necessari alla sopravvivenza in tempi mondiali. Non vi sembri cosa da nulla affrontare simili eventi in tempi di crisi. Non vi paia sussiego la dolorosa selezione che si è costretti ad operare malgrado le regola princeps che ci è imposti fin dai primi rudimenti di latino (fac quod vis). Mettetevici voi a seguire un mondiale dalla biblioteca nazionale di francia, tra una tesi da concepire e un libro da tradurre. Tsé. Vi pare facile, vi pare.

Il tempo sta per finire, e Parigi è agli sgoccioli. Il che non aiuta. Bisogna creare un equilibrio tra il lavoro, lo studio, i divertimenti e il relax. Gli allenamenti li abbiamo dovuti sacrificare, d'accordo. Ma lo studio no, questo i miei genitori me l'hanno ripetuto cento e cento volte: bisogna studiare. Non si può arrivare agli ottavi senza capire chi merita e chi invece approfitta dei demeriti altrui. Sull'Italia è facile, campi di rendita; ma le altre squadre le devi guardare, ci devi ragionare, ci devi pensare. Anche nonostante i tuoi desideri. Anche nonostante quelli che al momento sono i tuoi desideri più irrefrenabili, legati a un pomeriggio qualunque di qualche settimana fa nel quale, senza pensarci troppo, ti sei fregato irrimediabilmente, e hai deciso di partecipare a un gioco. E non sapevi che i tuoi mondiali non sarebbero stati più gli stessi.


Questo solo per dire che quando vedi che quei contadini dei messicani, che sulla carta non dovrebbero valere una ceppa, stanno massacrando quei borghesi dei francesi, e in condizioni normali non vedresti l'ora che li riempissero di pallonate in tutti i punti di quella loro porta finalmente sguarnita di quella faccia di pelato di Barthes, solo per dire che siccome un pomeriggio qualunque di qualche settimana fa in condizioni normali hai pensato che fosse normale che la Francia li battesse agilmente per 2 a 0, a quelli del Messico, ora tu a causa di quel gioco, a causa di quel pomeriggio, ora tu ti mangeresti il fegato per non aver dato abbastanza peso al fatto che (e lo sapevi pure, perché lo sapevi) el pueblo, unido, jamàs serà vencido. E quanto dovresti essere illuminato per gioire della vittoria del bel calcio e non pensare che la tua vittoria, quella che è così lontana ma che non riesci a pensare ad altro, sì, la vittoria di quel gioco che ti trasforma la percezione dei mondiali, si sta allontanando sempre di più? Tanto, troppo. Maledetti messicani.


Questo per farla finita col silenzio assordante di questo blog dall'inizio dei mondiali, e per inaugurare una nuova rubrica plurìvoca: (r)i gatti ruzzi.

NRL IV - Yeti

venerdì, giugno 11, 2010



Ho letto da qualche parte - forse su anobii - che finalmente si inizia a parlare della generazione nata negli anni '80, la nostra, quella che appunto non è che ci sia stato gran motivo di parlarne finora. Mi sa che Paolo Nori nel suo ultimo romanzo fa un'analisi delle ragioni per cui le generazioni sono famose o hanno un senso, ma credo anche che si fermi alla sua, quella degli anni '60. E allora se già quella è impietosa figuriamoci la nostra: perchè loro sono cresciuti nei famigerati anni '80, e noi che ci siamo nati, che cosa siamo?

Questo fumetto di Alessandro Tota racconta un po' come siamo, per lo meno come è gente come me o vicina a me, e cioè quella generazione che si ritrova spesso lontana dal posto in cui è nata ma senza una ragione particolare, non perchè ce ne fosse una vera necessità, così, spesso per avere più chance. Si dice che siamo una generazione di emigranti di lusso. Beh, sì, finché uno sceglie di partire (e la maggiorparte sceglie di partire), un po' meno quando poi non scegli di dover rimanere fuori perchè da noi non c'è che fare.

La nostra generazione di emigranti di lusso si inventa un po' cosa fare, cazzeggia, vivacchia (anche bene, per carità), gira, non si ferma, non ci pensa, poi si vedrà. Mica c'è la pressione di quelli che cercavano qualunque lavoro perché dovevano alimentare la famiglia. Noi siamo cool, la famiglia non ce la facciamo, non ci pensiamo, ci troviamo un lavoro temporaneo che tanto non è che abbiamo tante pretese e viviamo anche con abbastanza poco (di lusso sì ma insomma con criterio), abbiamo le crisi, prima crisi, seconda crisi, sono in crisi, oddio che faccio, boh, cambio città. 

Che sì, per carità, è meglio degli emigranti delle valigie di cartone, ci mancherebbe altro, fai cose vedi gente (noi Moretti lo sappiamo a memoria), però un po' ogni tanto fai 2+2 e ti senti un po' sperso, e non ci pensi: andiamo avanti! E io non la cambierei mai l'emigrazione di lusso con l'emigrazione di poveracci, ma mai, e infatti che palle quelli che si lamentano (e infatti noi ci abbiamo le crisi psicologiche mica quelle di appetito; però alla fine dai, mica le crisi psicologiche sono tanto meglio), però effettivamente se ci pensi un attimo - al di là dell'ottimismo che rivolgi alla tua vita, alle scelte che hai fatto, a come e dove vuoi vivere al di là di qualunque modello prestabilito (magari fosse contro, i nostri contro sono sempre molto blandi) - il rischio è un po' quello di svegliarsi tra qualche tempo e dire: e mò? e mò sò cazzi, per molti.
 
Mica per tutti, ci mancherebbe. Per noi no (ottimismo rivolto alla propria vita: sempre! è la nostra forza). Però non è manco detto. Ma alla fine, nonostante tutto, quanto ci piace sguazzare nel precariato di lusso?

appunti per un film che forse non si farà mai

martedì, giugno 08, 2010

Questo post potrebbe scomparire; ma nel frattempo non possiamo non condividerlo, rendendo così omaggio contemporaneamente al grande Tonino Cavallo, che ci ha fatto passare una bellissima serata. 

Il bell'uomo del video è chiaramente Johnny.


NRL III - Caino

venerdì, giugno 04, 2010



Oh, non c’è mica nulla di male, ci mancherebbe, ma l’ultimo libro di Saramago è proprio brutto. Anche se le nonne solitamente dicono che se non si può dire nulla di buono su qualcuno è meglio non dire niente, io di cose buone da dire su Saramago ne ho un sacco, però su quest’ultimo libro, per quanto mi impegni, no.
Sembra come quando certi autori, passata una certa età (e mica gliene vogliamo fare una colpa, anzi, è un’attenuante, ma Saramago ormai cià novantanni), cominciano ad andare in automatico, senza ispirazione, ma con un vago residuo dell’idea di come scrivevano prima, quando l’ispirazione era feroce. E così escono delle involontarie (e involontariamente comiche) autoparodie (se venisse fuori che Caino l’ha scritto l’arcivescovo di Lisbona per screditare Saramago non mi stupirei).

Comunque non è un morbo che ha attanagliato la sola mente del Nobel portoghese, e anzi, una marea di grandi sono incorsi nello stesso tranello. Tre esempi, dalla mia top ten.
-       Non è credibile, e qualsiasi lettore alfabetizzato lo confermerebbe, pensare che il Borges di Finzioni sia lo stesso Borges del Libro di Sabbia. È come se quest’ultimo (ammesso e non concesso che non si tratti di un caso di omonimia) fosse stato scritto da uno che si chiede a ogni riga “e qui cosa scriverebbe, Borges?”.
-       Vasco. Come Deng Xiaoping e Fidel Castro, una volta morti, furono sostituiti da statue di cera per questioni politiche, e come Giovanni Paolo II fu sostituito da un robottino mal funzionante dopo essere stato assassinato in un attentato, anche Vasco dà l’impressione di aver subito un trattamento simile, il che spiega come si possa essere passati dal Vasco che traduceva coraggiosamente “This party is over” con “Gli spari sopra” al Vasco che traduce non meno coraggiosamente “When I’m not around” con “Na na nà”.
-       San Giovanni è un altro caso simile. La sua celebrata opera prima, il Vangelo, è giustamente osannata come masterpiece: erudita e tesa, classicheggiante e lirica, un vero capolavoro nel genere della biografia immaginaria. Preso poi da una megalomania alla Vasco, si mise a vomitarci addosso lingue infuocate in technicolor, cavalieri volanti e teste d’agnello, in un’opera minore intitolata Apocalisse, e che niente ha a che vedere con la grandezza della precedente.
(e qui mi devo impegnare, perché me lo sono imposto: non devo scrivere che l’apocalisse è kitsch, non devo, e non perché non lo sia, ma perché, ormai, dire che qualcosa è kitsch è kitschissimo).

Detto questo, mica ce la prendiamo con loro. È chiaro che restano tutti dei grandi. Io ci sono certi cd di San Giovanni che non smetto mai di ascoltarli. Ma poi se una cosa è brutta, è brutta, e va detto. E anche se a saramago gli dobbiamo alcuni dei nostri godimenti letterari più intensi, e anche se saramago se la prende con dio, che a noi poveri di spirito ci piace sempre, e anche se l’abbiamo comprato col trenta percento di sconto, quindi formalmente si meritava di essere il trenta percento meno bello, anche se tutte queste cose, bisogna dirglielo, a saramago, che se vede che un libro non gli è venuto bene, o ci rimette mano (certo, lo capiamo, che il tempo stringe, che vuole pubblicare tutto il prima possibile) o lo lascia perdere, che tanto lui resta mitico uguale.

dialogo

mercoledì, giugno 02, 2010



capo: "... allora sartre disse a bergson: incosciente!" eh cofe? che te ne pare come barzelletta filosofica?

cofe: alla coferis! se tu avessi facebook spopoleresti con una battuta del genere!

capo: ehò. il mio problema è che sò modesto.

cofe: vero, capo.