Non solo

martedì, maggio 31, 2011



“Ieri in Italia sono finiti gli anni Ottanta”, scrive oggi il grandissimo Gramellini su La Stampa.
È stato un rito di passaggio collettivo, ora possiamo dirlo.
E al di là dei decimali e delle dichiarazioni, sono successe delle cose di cui sentiremo le conseguenze soltanto fra poco tempo.

Non solo a Napoli ha perso il centrodestra, ma è crollato anche un sistema di potere che teneva in piedi, in un circuito tumorale, il centrodestra colluso con ambienti camorristici e una generazione di centrosinistra morente, inutile, dannosa.

Non solo a Milano ha vinto una persona perbene, ma si è sciolto un legame perverso che da vent’anni legava costruttori, ciellini, affaristi e speculatori.
(Non solo la Moratti ha perso con la campagna più ridicola della storia, ma non ci sarà più il vicesindaco De Corato, lo sceriffo che amava mettere in riga i bimbi rom)

Non solo le amministrative hanno dato un segnale al Paese, ma hanno insegnato alla sinistra che la struggente retorica della sconfitta (ricordate, noi non ci saremo) è davvero una povera cosa in confronto a una strategia seria e rigorosa, che ti consente di vincere come e dove vuoi (a Gallarate, per esempio…).

Non solo Milano e Napoli cambiano la geografia politica, ma vedono salire due persone preparate, che dicono innanzi tutto “non faremo sconti a nessuno” (del centrosinistra, ovvio…).

Non solo c’è stato finalmente un ricambio vero di candidati, ma è spuntata una speranza nuova, un sindaco precario di trent’anni, che ha portato via Cagliari e tutte le nostre paure (Massimo Zedda, nella foto: è il nostro candidato; noi siamo anche un po’ lui…).

Non solo queste elezioni hanno portato il caos dall’altra parte (ieri un Berlusconi in versione Soprano’s minacciava “Ve ne pentirete”), ma ci hanno regalato l’infinita, fortificante, goduriosa soddisfazione di vedere il terrore e lo smarrimento nei loro occhi. Dopo diciassette anni.

La paura del ridicolo / Il ridicolo della paura

venerdì, maggio 27, 2011



Siamo quasi arrivati al traguardo. Forse, dico, forse ce la facciamo.
Nonostante nelle ultime due settimane la retorica elettorale abbia cavalcato più volte il registro surrealista.
Una modalità di linguaggio del tutto inadatta per le cose della politica.
E invece, anche questo è accaduto. La realtà ha spesso sovvertito la finzione. E non il contrario, come ci si aspetterebbe.
Un piccolo test, a dimostrazione dell'assunto.
Una delle due proposizioni seguenti è palesemente falsa. Sapreste dire quale?


1)




2) BALLOTTAGGI: CORSARO (PDL), CON PISAPIA BOOM VIADOS E STUPRI


   (ANSA) - ROMA, 25 MAG - ''Se vincesse Pisapia, ci sarebbe
meno controllo sulle strade e le condizioni di sicurezza e di
vivibilita' della citta' peggiorerebbero immediatamente,
favorendo la prostituzione trans e la tratta delle clandestine
nonche' il traffico di stupefacenti''. Lo ha dichiarato il
vicepresidente vicario del gruppo Pdl alla Camera, Massimo
Corsaro.


(grazie a Spinoza.it per l'immagine)

Strada provinciale delle anime

mercoledì, maggio 25, 2011


Le peripezie nel nulla di Gianni Celati. Dalla carta al cinema (?). Abbiamo seguito questa strada, forse per il suo nome o forse perché non porta da nessuna parte.

Milano, Italia

martedì, maggio 17, 2011



"Boia deh, m'han fatto un baugigi così!"

Conosci i Ticcù?

lunedì, maggio 09, 2011




Ci ho messo due settimane buone per decidermi se fare o non fare questo post. Ho meditato a lungo se nascesse da qualche luogo sbagliato della mia povera mente radical chic.
Pensavo: “Non stroncarla, è una nuova iniziativa. Fa solo del bene”.
Poi il mio inestirpabile rancore metafisico ha avuto la meglio. E ho deciso di scrivere e, quindi, di stroncare.
Avete presente i TQ? Ne hanno scritto in molti. Si tratta di un nuovo movimento (??) di scrittori, che si raccolgono dietro l’acronimo “Trenta-Quaranta”. Il gruppo si è riunito nella villa romana degli editori Laterza (che resta una Casa rispettabilissima, nonostante ciò…)
Il nome, asettico ed ellittico fino a rasentare l’assenza di contenuto, vuole racchiudere un insieme di autori che stanno cercando di raccogliere le forze e le idee. Per fare cosa?
Ed è qui che viene il bello.
Sì perché, in linea teorica, la nascita di movimenti letterari è sempre un’ottima cosa. Spesso si aprono dei territori nuovi, sopra cui possono nascere opere letteralmente memorabili.
Ricordo, giusto per fare due nomi, il New Italian Epic e il dibattito sul nuovo realismo, a partire da Gomorra (due forme degnissime di bilancio a posteriori).
Bene, ok. Ora, l’aspetto che mi sconvolge di più dei Ticcù non è tanto il malcelato, irritante e italico vittimismo (si lamentano di essere ai margini autori come Lagioia, Desiati, Scurati, etc.: in realtà, si tratta di scrittori le cui recensioni universalistiche sono inversamente proporzionali alle loro mediocri composizioni), quanto la precisa, denunciata volontà di costituire una lobby (intesa in senso anglosassone: e dunque perfettamente legale).
Prendete, ad esempio, qualche dichiarazione: “siamo alla ricerca di un pubblico, di spazi da occupare” (A. Cortellessa); “Basta alla lingua usata come promozione e battiamoci per il nostro salario” (C. Raimo, vabbè pazienza per l’italiano…); “Questa generazione non deve avere paura di portare avanti le proposte che ha, se riesce a occupare le posizioni di potere” (S. Salis).
Cose che finora, ammetterete, soltanto i Rigattieri si erano spinti a pensare (e a realizzare…).

Ovviamente, la mia scelta di citazioni è stata volutamente tendenziosa. In realtà, nel mezzo sono passate anche proposte interessanti.
Tuttavia, la novità che ho registrato con personale raccapriccio è precisamente l’attenzione non al dato letterario, ma alla strategia di potere. Perché di ciò si sta parlando. Come contare di più non in termini letterari (aspetto ormai più che secondario), ma in termini di posti occupati?
Anche su questo punto non vorrei sembrarvi un idealista ottocentesco: certo, quando si parla di letteratura si può parlare anche di politica editoriale e di come questa viene fatta nel nostro Paese.
Quindi, niente di male: se ne può parlare apertamente.
Però, qui mi sembra che sia partito un corto circuito pazzesco. Non è un po’ strano che la nuova generazione di scrittori italiani lasci da parte il centro nevralgico del loro mestiere (la forma, lo stile, l’immagine del mondo) per dedicarsi alle strategie di potere?
È come se ci fossimo rassegnati al fatto che le opere non abbiano più nessun peso e che contino soltanto le alleanze para-editoriali.
Se così fosse, consiglierei ai Ticcù di diventare dei bravi manager e di farsi assumere ai vertici dei principali gruppi editoriali: solo così, insomma, avendo in mano i piccioli e la facoltà di scelta si può pensare di cambiare i pesi nel panorama italiano. Ma questa è una scelta ben precisa: o scrivi o fai il manager (nemmeno l’editor, proprio il manager tout court).
Sennò stiamo parlando di aria fritta e soprattutto rischiamo di mandare alcuni bravi giovani a bruciarsi, letteralmente, contro i baluardi infallibili del marketing: che nulla intende modificare. Certo, con la consapevolezza che, dopo aver sacrificato possibili nuovi germogli, Lagioia-Scurati&Co. continueranno come sempre ad avere le loro collane, i loro libri, le loro promozioni. 
E noi una pessima, nuova letteratura italiana.

NRC XII - Machete

domenica, maggio 01, 2011



Già laureato «Pellicola dell’anno duemiladieci» (da una giuria composta da me), Machete è un film che la critica internazionale si dovrebbe affrettare a dichiarare “semplicemente mitico”, e che finalmente, dopo avercelo fatto aspettare per mesi, arriva nelle sale della nostra periferia.
Ora, il film si può riassumere così: prendete un tizio con l’immaginario complessivo di un sedicenne messicano cresciuto a Stursky&Hutch, significativamente arrapato, sotto acidi e supergalvanizzato dall’idea che un giorno conquisterà gli Stati Uniti, guiderà una Harley e sparerà con un fucile a canne mozze, anzi due. Dite al suddetto sedicenne di realizzare un film a piacere dotandolo dei seguenti strumenti:
A. una quantità di fondi tale da far sembrare Il signore degli anelli il filmino della gita dell’oratorio,
B. l’impegno a non censurarsi, e dunque il dovere di mettere in scena tutte le sue fantasie (preti crocifissi all’altare, ragazze che fanno la guerriglia in bikini e con la benda da pirata sull’occhio, intestini usati come liane, e tanti, tanti, tanti arti che volano),
C. un tetto massimo di centocinquanta parole per scrivere la sceneggiatura,
D. Robert de Niro,
E. uno stuolo di fica tale per cui Jessica Alba rischia di non salire neanche sul podio.

Non bisogna essere dei geni, per capire che ne esce un capolavoro. Non solo: ne esce anche il miglior film politico di sempre, probabilmente.




[Consigli di visione: si preferisca un multisala, possibilmente uno spettacolo pomeridiano. Magari di domenica, per massimizzare le probabilità che la sala sia gremita di adolescenti rumorosi. Si accompagni dunque la visione con una confezione king-jumbo-supersize di popcorn (tanto la maggior parte voleranno via nelle prime scene mozzafiato) e una coca da litro. Vedrete che non sarà facile tornare a casa e non appendere sul caminetto, con entusiasmo fanciullesco, lo scalpo di vostra madre].