Il lavoro - 1

venerdì, dicembre 31, 2010

io quando entro in un posto già si mettono a ridere. figuriamoci poi quando mi metto la faccia seria e chiedo un lavoro.
 
CAPO: buongiorno.

SIGNORA: buongiorno a Lei.

C: salve, volevo un'informazione.

S: mi dica.

C: non è che per caso state cercando camerieri, o un aiuto-cuoco? io sto cercando lavoro.

ora il problema dello scrittore è: come descrivere a parole l'espressione di stupore misto a commiserazione che compare sul volto della padrona del locale non appena si accorge che chi le sta davanti (proprio quel Capo lì che le sta davanti) le sta chiedendo un lavoro e non, ad esempio, se sono aperti a capodanno?

C: no, signora, cioè mica per forza... mi chiedevo solamente, siccome sa, passo sempre qui davanti e allora mi chiedevo... ma non seriamente, cioè: se non c'è niente non è un problema, era più che altro una curiosità, uno sfizio, diciamo...

S: guardi... (scuotendo ripetutamente la testa, come ad esprimere una certa sfiducia sull'efficacia del proprio sguardo) noi veramente non abbiamo proprio necessità, ma comunque...

C: no signora ma si figuri, ma mi ha preso sul serio? ma io scherzavo, ma le pare! ma si figuri se venivo a importunarla per queste sciocchezze... certo, avrei potuto mettere a frutto i miei studi... a proposito: lo sa che anche Marchionne è laureato in filosofia?

S: (continua a oscillare la testa. adesso mi rimprovera, lo so). ma Lei ha esperienza?

C: esperienza... signora, esperienza è una parola grossa, chi può dire oggigiorno di averne, in cuor suo? bisognerebbe essere ben presuntuosi ad affermare di avere esperienza in qualcosa. sì, qua e là, ho lavoricchiato, sia come aiuto-cuoco che come cameriere, ma insomma mooolto sporadicamente (no, glielo dico nel caso in cui Lei volesse confidarmi anche solo un minimo di credibilità)... ma comunque signora, non si preoccupi, era solo così, per sapere, mica volevo lavorare sul serio, pensi, a me mi fa schifo il lavoro! trovo che sia un falso mito, lo scoglio su cui si è arenato il barcone di un'intera tradizione politica di sinistra, la schiavitù eretta a modello di vita, bla bla bla...

S: (la smorfia di commiserazione tende ora chiaramente al disprezzo). mi scusi ma allora che è venuto a fare?

C: no, sa signora è che passo sempre qui davanti, ho visto la vetrina, volevo vedere come si vedeva da dentro, capisce? e poi, mi dica la verità: non ha mai la voglia irrefrenabile di dire qualcosa solo per sentire la sua voce che dice quella cosa? ha presente Gasparri, l'altro giorno, quando ha detto degli arresti preventivi? ecco secondo me era esattamente lo stesso: come mi sentirò a domandare di lavorare nel ristorante che vedo sempre sulla via di casa, mi chiedevo? e Gasparri si sarà detto: come si sentirà Gasparri a dire minchiate da fascista, come ai vecchi tempi? ecco è questo signora, lei non ha mai questa voglia irrefrenabile?

S: beh effettivamente, ora che mi ci fa pensare... io ho la voglia irrefrenabile di buttarla fuori a calci. ma di corsa, proprio.

C: senza nemmeno che le lasci il curriculum?

S: senza nemmeno.

C: signora, ma come è scortese! ma insomma, stavamo chiacchierando tanto amabilmente! e poi almeno il curriculum me lo deve fare lasciare, c'è la lista di tutti i post che ho fatto su Via Rigattieri, ma insomma, un po' di rispetto per il lavoro intellettuale!

S: fuori.

C: Lei crede che sia uno sfaticato, eh? Lei è una di quelli che dice di lavorare sempre e che gli altri non fanno un cazzo, eh? dica la verità!

S: f-u-o-r-i.

C: Lei è una fascista! Lei non ha rispetto! il lavoro, il lavoro!


prende una mazza da baseball. (che cazzo ci fa una mazza da baseball in un ristorante?). scappo, o difendo i miei diritti e con essi quelli di un'intera generazione, categoria, umanità?


scappo.

banchetto divino

martedì, dicembre 28, 2010

 
Ebbe tutto inizio al solito banchetto del Re Fosco, mentre il Lambrusco, spumante, faceva il gaglioppo con il Dolcetto d’Alba che gli stava a fianco. Non che loro c’entrassero direttamente qualcosa, ma proprio tra l’uno e l’altro fece la sua comparsa un acino d’oro recante la scritta “al più bello”. Fu Moscato, sempre sul chi va là, a notarlo per primo e allungò le mani con fare grecanico.
“Moscato! –cannoneggiò autorevole Müller-Thurgau- Che stai cercando di nascondere? Cos’è che ti brilla fra le dita?”
“Nulla, nulla, cosa vuoi che sia…”
“Ah, non cercare di fare il sangiovesino con me”
“Già, di che si tratta?” aggiunse Lambrusco
“Sento puzza di tannino…”, chiosò stizzita Malvasia Rosé
Moscato capì subito di non essere in una botte di ferro e mostrò ai commensali il prezioso acino.
“Chardonnay! E a chi altri credete che possa essere destinato se non a me?” intervenne il Conte di Cabernet-Sauvignon, con la sua erre moscia e la nobile cadenza francese. Ma l’interruppe la risatina fruttata di Malvasia Rosé: “Ecco il solito zibibbo tronfio. È chiaro che quell’acino è destinato a me”. Stavolta fu Montepulciano d’Abruzzo, proprio accanto a lei, a prorompere in una risata corposa: “A te? Ah, buona questa! Tu vali poco più di una vernaccia!” “Vernaccia a me? Offendere così una signora? Sei un mosto insensibile!”
“Insolia, come osi?!”, disse quello per tutta risposta. E lì, fu la bagarre. Ah, se non lo date a me saranno lagrime e chianti per tutti! Trebbiano! Vecchio nebbiolo passito! Viscido vermentino! Barolo al metanol o! Madre dell’aceto! Californiano d’importazione!
“Basta!”. Rimasti in disparte, in tre, all’unisono, troncarono seccamente la lite. Brunello di Montalcino, Morellino di Scansano e Nero d’Avola, scuri in volto più del solito, lanciarono ai convitati un’occhiata severa. “Per tutti i vitigni! Che scene sono mai queste? Indegne del vostro lignaggio invero. Non è così che si risolvono le dispute. Faremo scegliere ad un arbitro al di sopra delle parti, un giudice imparziale”
“Non starai mica pensando ad un sommellier, vero?”
"Merlot, non riesci mai a tenere il becco chiuso. A decidere sarà il consumatore”
 
l'originale qui, particolarmente appropriato in giornate di banchetti natalizi. grazie si-culo per averci permesso di riproporlo in questa sede.
l'immagine di apertura risponde a criteri prettamente e(ste)ti(li)ci e non commerciali.

NRL VI - Sangue di cane

martedì, dicembre 21, 2010



Ho un’istintiva diffidenza verso le storie di donne raccontate da donne. Mica per altro, è che proprio non riesco a comprendere la loro lingua. È come se si parlassero fra loro. Credo che la stessa identica cosa succeda, a parti inverse, per i racconti d’avventura, da Verne a Clive Cussler (sì va bene, lo confesso, ho letto Clive Cussler): molto più maschili che femminili.
Ora, negli ultimi tempi mi sono posto il problema.
Sono una persona politicamente corretta nella vita e nelle opinioni, ma sessista nella lettura?
Così, sfoderando il mio bravo senso di colpa inculcatomi dalle suore immacolatine, ho cominciato a leggere questo primo romanzo di Veronica Tomassini, Sangue di cane.
Ho fatto opera di contrizione.
La lettura ha preso subito una piega inattesa. La consistenza della trama è roba forte: una ragazza siciliana si innamora di un mendicante polacco; alcolizzato cronico per di più. Nasce tra i due un amore assoluto, perfettamente corrisposto. Vissuto al limite; nei parchi pubblici, alla Caritas, nelle comunità di recupero… Raccontato in prima persona, questo inferno melò ti prende alle budella. Con una lingua raffinatissima, sostanzialmente nuova, l’autrice ripercorre le tappe autodistruttive dei due personaggi. A colpirmi è stata poi un’altra cosa: la voce narrante. La protagonista si rivolge esclusivamente al suo perduto amore polacco, ripercorrendo le tappe del loro rapporto impossibile. Il lettore cade giù, in basso, insieme a loro. Con un misto di insofferenza e attrazione per questo dolore immedicabile.

NRC VIII - American Life

domenica, dicembre 19, 2010


 
Siete un po' fricchettoni, dite la verità: si vede che siete un po' fricchettoni nell'anima. Predicate la libertà e amereste il libero amore (ma il vostro partner vi farebbe correre, piuttosto). Oppure no e anzi odiate le coppie libertine, libertarie, ma anche quelle sfasciallitte, quelle precisine, gli sposini perfetti e quelli che non fanno altro che dirsi cosa dovrebbero fare. (Oppure siete tra quelli che si danno i voti l'un l'altro? Vi fate i dispetti e collezionate punti? E poi vi premiate o vi punite? Viziosi...). Di certo tutti sanno sempre cosa è meglio per voi: ma perché non capiscono che voi siete speciali e siete i soli padroni del vostro destino? Che gentaglia. Quelli lì mica li sanno crescere i loro figli. Guarda quelli! Che cose ridicole che fanno! Noi non saremo così, amore, vero? Noi non faremo questo errore né quest'altro né quest'altro. No, questo no! Noi viaggeremo, e ci ameremo, e ci supporteremo e ci coccoleremo come nessuno al mondo. Bene: allora siete fortunati, perché Sam Mendes ha fatto (più di un anno e mezzo fa, ma in Italia siamo avanti, no?) un film per voi, che è un road movie intelligente, divertente, ben scritto e ben recitato. E noi che non solo li doppiamo, i film, ma ci piace adattarli alle nostre abitudini, ci siamo tolti pure lo sfizio di cambiare il titolo - ma lasciandolo in inglese che fa più figo. Che Away we go magari lo scambiavamo per una vacanza loucòst, non si sa mai.

mercoledì, dicembre 15, 2010

C’è un nuovo obelisco a Piazza del Popolo. Una colonna di fumo nero e denso che invade tutta Via del Corso e va a mischiarsi allo smog, ai lacrimogeni e ai fumogeni. Il clima è avvelenato. Aria di casa per la gente di Terzigno.

L’apocalisse all’ora di pranzo. I giapponesi sono tutto uno scatto a perdifiato, e non di fotografie. Una sudamericana, invece, conversa con un’amica al telefono dell’ultimo litigio col fidanzato. Roba già vista per lei.

Orchi da Signore degli Anelli infilano, vestiti come finanzieri, Via del Corso e si accompagnano battendo i manganelli sugli scudi. Fanno paura e lo sanno.

I passanti si ammassano e si spaccano ed è un fioccare di voci controverse.

“Buffoni!”

“Andate a difendere i mafiosi! Difendete un mafioso!”

“Bravi! Ammazzateli!”

“Voglio il morto! Voglio il morto! Li voglio tutti morti, rossi di merda! Questa è la mia città, è la mia!”

“Fascio di merda!”

“Ve la prendete coi sedicenni! Vergognatevi!”

“Fate bene! Sono degli incivili!”

“Loro stanno lì anche per i tuoi figli!”

Gli animi si infuocano tanto quanto le camionette. La gente discute. E’ una serie di accesi confronti, coi pugni pronti in tasca. Il gelo prenatalizio ha salvato molti nasi, tra cui il mio.
Una signora si lamenta delle sue piante rovinate dai manifestanti. Io le dico che non tutti i manifestanti ce l’hanno con le sue piante. Lei dice che ha ragione lei, perché lei è andata a lavorare alle sei del mattino mentre io non faccio un cazzo… La persona che era con me la manda a fanculo.
E’ meno di un secondo: un secchio che vola, il filippino eroico che tiene fermo un pugno pronto per la mia faccia. Lo trascinano nel portone. La signora delle piante sa che è meglio darsi una regolata quando non si ha il filippino in regola. Un operatore dice che ha ripreso tutto, per rassicurarmi. Io gli guardo il berretto rosso con una A nera incerchiata. Capisco che non andremo lontano.

La cosa a cui tutti pensano è di tenersi una via di fuga, per non rimanere accerchiati dalle camionette che bloccano tutte le vie di uscita. Dei finanzieri si ritirano e dei passanti li seguono a suon di “Via, via la polizia!”.

Ma la gente ha paura, si vede. E’ un andirivieni di camionette, ambulanze, di celerini, finanzieri a scudi battenti. E per strada c’è vernice, macchie di sangue, fumogeni sfiniti, cestini e pali divelti e tantissime scarpe. Decine e decine di scarpe, perse da ragazzini ammanettati e trascinati via, lasciate a evocare le peggiori deportazioni.

Fa davvero paura camminare. Fa paura anche solo guardare.

La gente ha paura di sbagliare strada.

Lo scontro vero è a molte centinaia di metri di distanza, a Flaminio, ma in realtà anche qui tutti ci sono dentro e la tensione è alta come quel fumo nero.

Non è che un secondo, solo un secondo. Basta la corsa frettolosa di una ragazzina, per qualche motivo che sa solo lei, a creare il panico tra i passanti che si danno alla fuga. I negozi aprono e chiudono le saracinesche a ogni boato. Fa paura esserci.

Qualcuno deve prendere la metro a Piazza del Popolo, ma viene invitato a scegliere un’altra stazione: “Poi se vuoi, puoi andà a Piazza del Popolo e farte portà in Questura, vedi tu se te conviene!”.

La gente protesta. Ma che modi sono? Qui vogliono arrestare tutti!

Un altro operatore, senza berretto rosso questa volta, conclude in un accento bergamasco: “Se non ti piace, allora stattene a casa e non venire a protestare!”

“Ma tornatene in Padania, imbecille!”

Un esempio di perfetto contraddittorio.

Sono le quattro e mezzo. A Flaminio continua la guerra. Dei ragazzi e degli adulti corrono via dalle manganellate verso l'Ara Pacis. Il lungotevere è deserto, desolato, tutto lacrime e limoni, e qua e là qualche giornalista che ricuce sul portatile le riprese per il pezzo, seduto al tavolino di un bar a ferragosto.

Via del Corso, invece, è ancora piena di spettatori. Tanti sostano davanti a Piazza Colonna, che è inaccessibile.

Il Parlamento è ancora blindato, pieno di fiducia.

La gente guarda la schiera di poliziotti dall’altra parte della strada. Qualcuno li insulta, qualcuno li squadra con occhio torvo. Due si stanno misurando su chi dei due si fa di più il culo. Uno lavora al 118. L’altro avrà fatto una vita di sacrifici per mandare suo figlio a fare il soldato in missione internazionale. Quello che mi colpisce della loro discussione è che rivela come l’idea ricorrente in questo paese sia che , per avere diritto di parlare o semplicemente per poter rivendicare i tuoi diritti, “devi farti il culo”, cioè devi vivere al minimo dei tuoi diritti. Se hai un lavoro normale, pagato come si deve, con contributi cazzi e mazzi, cioè se godi dei tuoi diritti, devi tacere e vergognarti di parlare, perché a te il padrone ti tratta bene. Insomma prendi e scappa e non fiatare. Se ci pensate, è strana come idea di diritto. Ma i due non ci pensano e continuano una misurazione infinita dei tempi, modi, rischi del lavoro di ciascuno dei due. Io faccio l’unica foto della giornata.

La parola d’ordine ora è defluire. Bisogna defluire, defluire dove capita. Insomma non bisogna influire. “Defluire, defluire”. La gente defluisce verso casa, verso cena, verso i televisori accesi sugli speciali. Per defluire pian piano sulla poltrona, poi nel letto fino a defluire nel. No, non nella calma. Nel sonno.
Qui di calma ce n'è ben poca.

referendum del natale del pranzo - edizione 2010

giovedì, dicembre 09, 2010

Carecari, caricare,

è con immenso piacere che godo nell'annunciarvi  l'edizione numero sssèi dell'ormai classicissimo 

Pranzo di Natale di Via Rigattieri - 2010 edition

Un'edizione importante, capitale direi, per la quale - visti i tempi di crisi - abbiamo pensato di lanciare un grande call for participation, in vista di una riabitudine alla partecipazione e alla democrazia referendaria e al fine di sostenere ancora una volta, come solo noi sappiamo fare, il valore sacro della libertà, per mostrarne tutta la possanza ed essere ancora una volta di esempio ai giovani e ai meno giovani.


Il pranzo di natale, si sa, è un'istituzione tipicamente sabatizia, carecari e caricare; e la tradizione vorrebbe dunque che io lo annunciassi per Sabato 18 dicembre a partire dalle ore 13. Ma può forse, ancora oggi, la capitudine autorizzarmi a cotanta affrenza? E se un grande sommovimento popolare imponesse la data della Domenica 19, proprio per spezzare con la tradizione e provare una carica rivoluzionaria che ridesse forza e calore agli animi e ai corpi? Con che ardore potrei io, misero capo, oppormi a una così vitale impellenza? D'altro canto, come potrebbero costoro rifuggere dalla presenza di innumerevoli vips, impossibilitati alla partecipazione scissionistica?

Non è tutto, cariecari. I tempi di crisi coincidono anco con la spezzatura del dirigismo tecnocratico, e con la spartizione dei luoghi della location natalizia. Le offerte sono plurime, come diceva un tale (qualcuno lo avrà pur detto e ne sono certo). E dunque il quesito referendario riguarderà persino il luogo della manifestazione: la comodissima e innovativa via Cerboni perfettamente alla portata tanto degli arrivanti quanto dei partenti, o la più classica piazza sant'Omobono, patrocinata dai peegees? La scelta della location sarà direttamente proporzionale al numero dei partecipanti, che avranno modo di monetizzare nei commenti qui sotto anche la qualità del rispettivo apporto cibario e/o alcoolico.

Alle indicazioni tecniche non mi resta che aggiungere un vivo ringraziamento per le possibilità che tale appuntamento, vero e proprio must della pisanità latente e dichiarata, rappresenta per la città, la provincia e la regione tutta. Si vantano partecipazioni da più di sssèi paesi differenti sparsi per tutti e cinque i cinque continenti. La partecipazione aperta è caldamente consigliata, come sempre. La nostra costanza rappresenta più che una semplice occasione di ludibrio: una vera e propria forma di resistenza allo sfacelo della società. Vi aspettiamo, con l'ammore e il callore che nemmeno a mondello. 

Stay tuned.

anzi, toh!

giovedì, dicembre 02, 2010



L'altroieri ho fatto il frate in una tremenda fiction.


La capa delle comparse è passata e ha guardato il giornale e ha detto: "Porello Monicelli", poi gli ha appiccicato un bacio sulla foto: "Bello de mamma, bravo. Hai fatto bene!".

E' stata la scena più bella della giornata, ma non c'era nessuno a girarla.



Il cinema non è più quello di una volta.


manifestazione

domenica, novembre 28, 2010

c'è contentezza per questo ritorno di massa sulle piazze. sa di gioia, di vita, di voglia di partecipazione. è sempre bello quando accade e accade troppo poco spesso. anche noi, nel nostro piccolo, partecipiamo come possiamo a questo grande movimento.

"crani"
"croin"
"crani, c'è il corteo"
"croin, andiamo!"
"ma crani dobbiamo studiare"
"ma croin, ne va del nostro futuro! stanno smantellando l'università pubblica! tagliano i fondi all'università! tolgono borse di dottorato! aumentano le tasse! cacciano i cervelli! picchiano gli stomaci! massacrano le palle! dobbiamo manifestare!"
"ma crani, dobbiamo studiare"
"ma croin, ma non capisci, a pisa occupano gli aeroporti, i ponti, le torri, io ti odio, dobbiamo fare qualcosa, croin, facciamo il corteo, almeno facciamoci questo corteo!"
"ma crani, ma piove"
"ma croin, ma insomma, non possiamo stare a guardare, c'è la crisi, il governo sta per cadere, dobbiamo farci forza tutti assieme e buttare giù tutto, è ora!"
"ma crani... piove e dobbiamo studiare"
"..."
"e vabbene crani, hai ragione. facciamoci 'sto corteo. in fondo la ricerca va portata avanti, d'accordo, ma non dobbiamo mica chiuderci in questa biblioteca d'avorio, perché la ricerca deve avere un contatto con la realtà, ne va del nostro futuro o di quello dei nostri simili, insomma, fra quattro giorni devo consegnare la tesi di dottorato ma non importa, manifestiamo, sotto la pioggia, uniamoci al corteo!"
"bravo croin! così mi piaci! coscienza di classe, senso della situazione!"
"hai ragione crani, bisogna fare qualcosa! non possiamo stare qui a guardare! andiamo, uniamoci alla lotta!"
"grande croin, così mi piaci!!!"
"arriviamo fino a Massaro, cornetto alla ricotta, e torniamo?"
"in realtà pensavo ci fermassimo al bar precedente. ma vabbene, Massaro è anche meglio di quell'altro, ci sto, rivoluzione, rivoluzione!"

il giorno successivo, a casa. solite facce sveglie davanti al computer. voci dalla strada ("noi la crisi non la paghiamo!", "giù/lemàni/dall'ùnivèrsità!", e quant'altro).

"crani"
"croin"
"c'è la manifestazione!"
"scendiamo?"
"ma dobbiamo scrivere crani"
"e dai croin, sempre a rompere..."
"ma devo consegnare la tesi, crani"
"e io devo inventarmela, croin! ma se non c'è futuro, cui prodest?"

le voci aumentano. il latinorum di crani invoglia sempre più.

"crani"
"croin"
"ho un'idea"
"dimmela croin, non sto nella pelle"
"crani"
"croin"
"affacciamoci al balcone!"
"sei un genio croin"
"lo so"
"andiamo"

spinta lombare sullo schienale, ricerca simultanea dei piedi verso le tappine, spinta sulle braccia per farsi forza. tre passi, balcone.

"guarda, crani!"

corteo degli studenti medi, festanti e urlanti. dall'alto sembrano formichine che fanno di noi una piccola vedetta al safari. Sorridiamo, rientriamo felici e pieni di orgoglio.

"crani"
"croin"
"non sei contenta?"
"sono molto contenta, croin"
"e anche oggi la nostra manifestazione ce la siamo fatta"
"come starei male a non dare il mio apporto, croin. come mi sentirei inutile"
"anch'io crani. ma per fortuna non siamo come gli altri, meno male che abbiamo questa coscienza, noi non siamo come quelli che fanno finta di niente"
"quanta ragione nelle tue parole, croin. ragione e saggezza"
"crani"
"croin"
"lo buttiamo giù questo governo, vero?"
"se continuiamo così lo buttiamo giù, croin. ce la faremo"
"facciamocela, crani, sennò tutti i nostri sforzi saranno stati inutili"
"facciamocela, croin. che si mangia per pranzo?"

la sostenibile stupidità dell'essere

giovedì, novembre 25, 2010

La Zeit mi arriva a casa, silenziosa si apposta sugli scalini all’ingresso, poco lontano dal posto della spazzatura. È una delle cose che mi mancherà di più dopo dicembre. Anche se non la leggi tutta, anche se non la capisci tutta, ti rimane sempre qualcosa e, soprattutto, impari sempre qualcosa. Anche il 18 novembre era lì, un po' bagnaticcia, tanto che ho pensato, ma se ne rendono conto quelli che la consegnano della responsabilità che hanno?

La riprendo in mano durante la settimana, fino al giovedì dopo. Di solito la mattina quando bevo il caffè. Nella Zeit del 18 novembre, con mia sorpresa, nel numero dedicato a Tolstoj nell’anniversario della sua morte, trovo un contributo di P. Flores D’Arcais dal titolo “Die Dummheit der Linken” (http://www.zeit.de/2010/47/P-Berlusconi). Ecco, io sono sempre stato un sostenitore della stupidità della sinistra. Immaginate la contentezza nel trovare questo articolo. Allora ho pensato che forse possiamo leggerlo insieme. Poi lui è una persona intelligente, un grande intellettuale. Non solo per quel nome che ha, che sicuramente non è semplice e quindi affascinante, ma anche perché dirige una grande rivista come MicroMega ed è anche giornalista, professore e filosofo, come la didascalia del giornale ci ricorda.

Si parla della questione Silvio e si comincia una una tesi in pieno spirito illuministico: le spiegazioni più semplici sono le meno affascinanti. Per questo ricevono meno attenzione. Vero? Falso? Io penso che sia abbastanza vero. Certo, sono contrario a questi inizi generali. E poi penso anche che una cosa sia prima affascinante e poi semplice o complessa. Ad ogni modo, il Nostro ci parla della stupidità della sinistra, sostiene la mia tesi. Possiamo dunque procedere.

La posizione di P. Flores D’Arcais emerge subito: nessuno pensa alla risposta più semplice, ossia che la forza di Silvio, seine ganze Kraft, si spiega con la debolezza della sinistra e con gli errori dei suoi leader. Ecco il punto, anche io lo penso. Molti lo pensano, non è una scoperta. È inconfutabile che i vari leader della sinistra abbiamo fatto disastri. Ricordo solo le varie bicamerali di D’Alema, le strategie domenicali di Veltroni, l’autodistruzione della sinistra radicale (non vi fa ridere l’espressione sinistra radicale?) etc.

Però mi viene anche da dire che questa tesi è un po’ fortina. ‘Seine ganze Kraf’... ma veramente tutta la sua forza è spiegabile con gli errori dei vari sventurati che in Italia hanno distrutto quella che era una buona tradizione politica? Io fino a questo non mi ero spinto, pensavo invece che oltre all’incapacità dei leader della sinistra, ci dovesse essere qualcosa altro. Però io sono pronto ad accogliere la tesi forte e allora andiamo avanti nella lettura.

Il primo errore, secondo la ricostruzione storica del Nostro, l’ha compiuto, con narcisistico slancio e stupidità, A. Occhetto quando si è candidato rifiutando il candidato della società civile nel 1994. Assolutamente d’accordo, Occhetto è narcisista un po’ stupido. Precisiamo, non è che io a dieci anni le capivo bene queste cose, però un paio di anni fa l’ho visto a Roma, in via del Governo Vecchio. Molto invecchiato rispetto a quando lo vedevo in televisione. Però sembrava abbastanza narcisista, tanto che mi chiesi come mai poi scomparve dalla circolazione? Forse avrà pagato per qualche errore e allora i conti tornano. Si può sbagliare e poi pagare per gli errori, è umano. Poi con Occhetto si chiude un ciclo, si tagliano i ponti con il passato comunista. La cosa coincide però anche con l’innesco di un processo molto berlusconiano, di cui ora viviamo le conseguenze. I titoli di questo processo sono: antipartitismo, commercializzazione di politica e istituzioni, banalizzazione delle realtà di fatto. E il nostro infatti, tra un errore e l’altro, fa riferimento anche a questo.

Però, come ricorda PFd’A, il governo di Silvio dura solo otto mesi. Poi un governo tecnico. Poi nel 96, un cattolico progressista di nome Romano Prodi. A quel punto silvio se la vede brutta, quasi lo fanno fuori, anzi hanno tutti i mezzi per farlo fuori. Succede però che D’Alema, che intanto aveva fatto le scarpe a prodi, invita silvio a riscrivere insieme la costituzione. Allora berlusconi riacquista credibilità e rivince nel 2001 (pensiamo un po, contro rutelli). D’Alema capo dell’opposizione, prodi lo mandano a Brussel e silvio è il capo di due governi disastrosi: berlusconi II (2001- aprile 2005) e berlusconi III (aprile 2005-maggio 2006). Nel 2002, siccome massimo non oppone, ci sono i girotondini. Come scordarli i girotondini. Mi rimane il dubbio se anche loro fanno parte della stupidità generale oppure no. Però riflettendoci no, infatti la stupidità in questione è quella dei leader. Invece questi sono artisti e intellettuali che combattono silvio ma anche l’opposizione che non oppone.

Nel 2006 si ripropone prodi. Silvio è indietro nei sondaggi e bisognerebbe solo aspettare le elezioni per estrometterlo. Invece errori su errori e i leader della sinistra gli offrono un dialogo e si rivolgono contro la protesta della società civile. Il risultato è la vittora di prodi che tutti ricordiamo, tanto instabile che due anni dopo il buon mastella fa cadere il governo. Silvio rivince nel 2008.

Ora questa lettura generale è condivisibile. Anzi integrabile con ulteriori elementi di flagrante stupidità. Infatti non viene menzionato il paladino della stupidità della sinistra con le sue diverse sconfitte: governo, roma, sardegna e pure il suo stesso partito. Non sono stati menzionati altri movimenti popolari come quelli di grillo. Non è stato menzionato di pietro. E così via. Comunque la lettura rimane in larga misura condivisibile. Alla fine dell’articolo la mazzata: oggi siamo allo stesso punto, ossia al punto in cui la possibilità di sconfiggere berlusconi verrà cancellata dalla stupidità dei leader del partito democratico. Ecco ora mi è tutto chiaro, gli stupidi sono quelli del partito democratico e della loro tradizione. Oppure, malignamente, mi viene il sospetto da condividere con l’autore, che anche loro facciano parte della Casta. Caspita, questa si che è un ipotesi interessante, l’ho sempre pensato che D’Alema potesse fare parte della casta!

Però bisogna anche essere onesti e fare delle riflessioni. Per prima cosa mi pare che questa sia una tesi molto meno semplice e molto più complottista di quello che il nostro cerca all’inizio. O meglio, è una tesi semplice sono tutti d’accordo, sono tutti dei parassiti privilegiati... Però è una tesi di una semplicità qualunquista e un po’ inutile, non certo di una semplicità illuministica. Infatti, o la si dimostra seriamente e allora non vale la tesi iniziale del nostro, perché vorrebbe dire che il potere di berlusconi non deriva dalla stupidità dei leader ma da una complessa e articolata, tutt’altro che semplice rete di rapporti. Oppure, se la tesi finale rimane indimostrata nei dettagli è semplice, ma anche essa stupida. In altre parole, il dilemma o sono stupidi o sono d’accordo è stupido anche esso.

In realtà, è anche possibile che tutte e due le cose siano vere. Infatti in politica non ci sono vere contraddizioni. Può essere che a sinistra ci siano degli infiltrati berlusconiani che sfruttano la stupidità di compagni di partito per fare un favore a silvio. Bisogna però riflettere anche su un’altra cosa. Su qualcosa che nell’articolo si pone al margine come bistrattato e incompreso barlume di speranza: I girotondini, i grillini etc... Questi sono gli intellettuali che hanno cercato di contrastare la stupidità della sinistra. Ancora però nessuno mi spiega come sia possibile che la sinistra sia diventata quello che è. Che una scuola politica seria e una tradizione solida si sia schiantata completamente. Certo mica il comunismo cade al livello internazionale senza creare disagio. Però la domanda da fare è: è stato silvio che ha distrutto i partiti e la cultura politica italiana, oppure nella distruzione generale della cultura della sinistra italiana quel genio di silvio ha trovato una via maestra per costruire un impero?

In entrambi i casi non può essere che il suo potere si spiega con la stupidità della sinistra. E se anche questo fosse vero, bisogna chiedersi da dove questa stupidità provenga e bisogna anche caratterizzarla. Non tutte le stupidità sono uguali. Ed è certo che in un partito possano convivere disonesti, stupidi, arrivisti, complottisti, berlusconisti. La forza di un partito sarebbe quella della maggioranza dei componenti 'educati’ da una certa cultura che possa contrastare i disonesti, gli stupidi etc. Se questa parte manca vuol dire che manca una cultura di base, oppure che la cultura di base è essa stessa stupida. Come la mettiamo con questa ulteriore riflessione? Insomma qualcuno mi dice anche perché questi capi sono così stupidi?

lo dicevo io...

domenica, novembre 21, 2010

che ci fosse qualcosa di strano, lo si era capito. basta andare sul sito francese per capire come nei nostri cuori sarebbe stato difficilissimo sostituire Mou (e vedere con quale attenzione il povero Betty ascolta le parole livornesi del piccolo Allegri fa tenerezza, oltre a confermare la distanza abissale che separa questo calcio da quello degli anni passati - la prostituzione intellettuale è ormai solo un lontano ricordo, oggi che persino il papa dice che si può usare il preservativo). 

ma il problema non è solo nostalgico, bensì rigorosamente politico, come spiega Luigi Cavallaro sul manifesto di ieri: e noi, in qualità di militanti di fede dichiarata, non possiamo continuare a far finta di ignorarlo. 



Presidente Moratti, Capitan Zanetti: volete schierarvi con la rivoluzione o tradirne il senso continuando a dirci che va tutto bene? 

A modest proposal, edizione 2010

martedì, novembre 16, 2010


Credere, come comunemente si fa, che una macchina senza autoradio sia come una donna che non pratica fellatio (ovvero una cosa di cui disfarsi entro breve), è un errore: al contrario del suddetto modello fallato di femmina, la macchina senza autoradio può dare delle soddisfazioni. Io, per esempio, quando sono in macchina senza autoradio (sempre), spesso mi ripeto a voce alta le poesie che conosco a memoria, col vantaggio di rinfrescarle, e un giorno poterle recitare in pubblico. Però c’è il problema che se le sbaglio non c’è nessuno a correggermi, e non posso neanche controllare, quindi finisce che persevero nell’errore, il che è notoriamente diabolico. Allora ultimamente ho preso l’abitudine di darmi un argomento di conversazione da svolgere da solo, in un teso dialogo interiore, non necessariamente silenzioso (tanto ormai se la gente ti vede parlare o ridere da solo pensa che tu stia conversando al cellulare con l’auricolare impiantato in un’otturazione, e non più, come un tempo, che tu sia matto).

E niente, qualche tempo fa ero in macchina, da solo, senza autoradio. Allora mi sono detto: «Parliamo?», e mi sono risposto: «Prima rinfreschiamo A Silvia». Allora ho insistito: «A Silvia, tutte le volte partiamo bene e poi finisce che dopo la man veloce che percorrea la faticosa tela non sappiamo come andare avanti. È frustrante», «A Zacinto?», «Noiosa», «La Lettera di Egisto Malfatti?», «Già fatta. E poi la facciamo tutte le volte. Perché invece non parliamo un po’? Non parliamo mai, io e te», «Vorrà dire che non abbiamo niente da dirci», «Te ne pentirai, quando non ci sarò più», «Può darsi».
«…», «…».
«Eddai, va bene: non tenermi il muso. Di cosa vuoi parlare?», «Non so», «Letto il giornale?», «Sì, le stesse cose che hai letto tu», «Vedi? Ora sei tu che fai il difficile», «Hai ragione. Ho avuto una giornataccia», «A chi lo dici», «…», «…». «Dai, facciamo così: peschiamo un argomento random dal cervello, una cosa a caso, tanto non è che ce ne siano troppe, là dentro, e poi ne discutiamo. Eh? Ti va?», «Tipo l’aborto?», «Ecco, tipo l’aborto, ma non l’aborto», «Facciamo l’estrazione random?», «Random», «Vado?», «Tra un po’ è finito il post e non abbiamo ancora detto niente», «Hai ragione. Vado», «Vai», «Uh, che bello!», «Cos’è uscito?», «Risorgimento», «Risorgimento?», «Eh, risorgimento. Hai detto random e io ho fatto random», «Ma noi che ne sappiamo del risorgimento?», «Mi sa pochino», «Eh. Mi sa anche a me».

Insomma abbiamo parlato di Risorgimento. E queste sono le cose che ne abbiamo tratto.
-       Che ne sappiamo pochino.
-       Che non ci dispiace troppo di saperne pochino.
-       Che un tempo ci stava sul cazzo perché eravamo internazionalisti.
-       Che oggi ci sta simpa perché c’è la Lega, e essere risorgimentali è diventato di sinistra.
-       Che c’erano Garibaldi, Mazzini e Cavour.
-       Che c’era anche Biperio (spesso abbreviato in Bixio), ma era uno stronzo.
-       Che la toponomastica risorgimentale ha ammorbato tutte le piazze e le vie d’Italia, e che se le strade le avessero chiamate tipo Largo Mazinga o Piazzale Eather Brooks ci saremmo orientati meglio.
-       Che l’anno prossimo è il centocinquantenario della quasi unità d’Italia, e infatti si parla un sacco di festeggiamenti, e l’esercito, e le parate, e il sentimento nazionale, e cetera.
-       Che sarebbe carino che viarigattieri si impegnasse – tramite il suo peso civile e politico – a promuovere un’iniziativa pro-risorgimento, in vista dei festeggiamenti.

Poi se ne può discutere, ma l’iniziativa che abbiamo pensato noi è la seguente: che il 17 marzo dell’anno prossimo l’Italia proceda all’invasione congiunta di città del Vaticano e di San Marino. Ora, San Marino non so neanche tanto bene cosa sia o dove sia, ma l’invasione del Vaticano sono certo che sarà uno spettacolo, sbaionettando qua e là le natiche avvizzite delle loro imporporate eccellenze[1], e liberando finalmente l’Italia dal foruncolo pontificio che invade spietatamente l’amato suolo patrio. (La natura foruncolare matura[2] è per altro testimoniata da quel capoccione bianco).
Non è per anticlericalismo, per carità, ma come potremmo noi cantare, con il porporato piede straniero sopra il cuore?

La cosa avrebbe per di più una serie di vantaggi collaterali, quali:
  1. Giustificare l’esistenza di un esercito italiano.
  2. Fare incazzare la Svizzera.
  3. Essere espulsi dalla NATO (finalmente potremo aprire un mega-acquapark a Camp Darby).
  4. Vincere una guerra, una volta tanto.

Pensateci:
1861-2011. Facciamo felice Cavour. Riprendiamo il Vaticano”.
O anche:
2011. Garibaldi Vs Benedikt. Lo scontro finale”.


Oppure facciamo una bella colletta per comprarmi un’autoradio.

[1] Che poi, insomma, mica siam bestie. Insegneremo ai nostri ragazzi a dire sempre “scusi padre”, prima di far incontrare il cranio del prelato col manganello educatore.
[2] Bubbonitas, secondo il diritto canonico.

cade?

martedì, novembre 09, 2010

Qualche tempo fa, in biblioteca, un tizio davanti a me leggeva un libro blu: Precetti Coniugali di Plutarco (a cura di G. Martano e A. Tirelli, M. d'Auria Editore, Napoli 1990, oggi esaurito e disponibile solo in cd-rom). A un certo punto lo ha porto a una sua amica e le ha detto: "leggi qua, il § 43: ecco quello che Berlusconi non ha capito".

Ho dovuto aspettare che se ne andassero per scoprirlo, che cosa Berlusconi non avesse capito. Scrive Plutarco:
 
Quando il retore Gorgia lesse ai Greci ad Olimpia un discorso sulla concordia, Melanzio esclamò: "Eccolo qui, ci dà consigli sulla concordia, lui che nella vita privata non ha saputo convincere sé, la moglie e la serva ad andare d'accordo: ed erano in tre!". A quanto sembra, infatti, Gorgia aveva un debole per la servetta, e la moglie ne era gelosa. Deve pertanto tenere in buona armonia la sua casa chi si accinge a mettere armonia nella città, nell'assemblea del popolo, tra gli amici, poiché sembra che agli occhi della gente passino inosservate più le manchevolezze delle donne che quelle verso le donne.

L'amica ha commentato: sei troppo buono.

Io ho ricominciato a studiare.


soci

martedì, novembre 02, 2010

Care compagne, cari compagni,

il comitato centrale del collettivo Via Rigattieri, riunitosi a Pisa addì 16 settembre 2010 in sessione plenaria davanti a un piatto di spaghetti alle arselle, ha deliberato quanto segue:

"In funzione di una comprovata e pluriennale fede nerazzura, e in ragione della più recente attività politico-informativa svolta dal blog di cui ci onoriamo di essere espressione, con riferimento segnatamente al post del 22/6/2010 dal titolo "(r)i gatti ruzzi V - L'ipotesi leninista", ci autoproclamiamo meritevoli di diventare soci onorari del rinomato consiglio popolare Interisti Leninisti, e procediamo a inoltrare richiesta di riconoscimento pubblico al comitato centrale dello stesso. Qualora i compagni ravennati dovessero avanzare dubbi sulla nostra onorata e indefessa militanza, con umiltà, senso della causa e fede risolutamente rivoluzionaria non ci sottrarremo al questionario che i compagni vorranno correttamente sottoporci".

Saluti leninisti
a nome del collettivo,
il compagno capo




Il soviet supremo, riunitosi nella serata di venerdì 17 settembre, ha così deliberato:

La vostra richiesta appare ben motivata e quindi meritevole di essere presa in seria considerazione. In casi importanti come questi noi procediamo direttamente alla somministrazione del questionario con sopralluogo sul posto che prevede espressamente la messa a disposizione da parte del comitato locale ospitante di 2 litri di vino per ogni componenete la segreteria e di una quantità di cibo che deve essere da noi ritenuta congrua... (spese del viaggio a nostro carico).

ci rendiamo altresì conto che causa impegni (sia di lavoro che di scazzo) non ci è possibile raggiungervi entro un ragionevole lasso di tempo, per cui ci vediamo costretti ad inviarvi il questionario con mezzo elettronico.
il segretario
Claudio Notturni



Abbiamo questionato. Siamo stati promossi. Siamo soci!



NRC SPECIAL HALLOWEEN - L'aldilà (...e tu vivrai nel terrore)

domenica, ottobre 31, 2010





Avete presente i B movies, quelli che mandano in sollucchero Quentin? Avete presente i film di genere che più di genere non si può? Avete presente Lucio Fulci, uno dei capostipiti[1] dell’horror italiano ambientato in America? Avete presente uno di quei film che vedi solo per fare l’intellettuale sghignazzante in un cineforum prehalloweenesco? Avete presente gli effetti speciali grossolani? I cliché del film genere? Lo splatter ostentato e meccanico? I fulmini, il sangue rosso-finto che schizza a profusione, le decomposzioni, la casa costruita sulla porta dell’inferno, gli scricchiolii, un vecchio libro di profezie nere, le voci demoniache in cantina, le tarantole, le bambine con le trecce possedute[2], la bionda niuiorchese che si ostina a non credere ai fantasmi, le mani di zombi che escono dal nulla, la cieca che sugli occhi sembra che le abbiano messo delle lenti a contatto fatte di cetriolo? Avete presente l’assenza totale di rigore nel plot? L’onirismo e il freudismo a casaccio?
Ci credereste che ne viene fuori un capolavoro? Ci credereste che non vi dà tregua? Ci credereste che siete scappati a metà dalla proiezione? E che non avete chiuso occhio tutta la notte? E che anche ora avete i brividi lungo la schiena, mentre ne scrivete sperando di esorcizzarlo?


[1] (e non “capistipite”, come credevo)
[2] le bambine con le trecce possedute, e non le bambine con le trecce possedute.

NRC VII - The Social Network.

giovedì, ottobre 28, 2010




Di chi è l’idea? Di chi ce l’ha? Di chi la sviluppa? O semplicemente di chi ci fa i soldi? Se non avete un’opinione a riguardo, The Social Network non vi aiuta certo a farvene una. In questo film sentimenti, amori, desideri (di sesso, soldi e rivalsa), nonché presunti furti, tradimenti e colpi bassi si sostituiscono ai fatti – e a me, francamente, non piacciono troppo né gli uni né gli altri. Cosicché la forza di questo film potenzialmente noioso – basare il racconto sulle due principali vicende giudiziarie che hanno coinvolto il fondatore Zuckerberg riguardo la proprietà intellettuale di Facebook è, va detto, un po’ azzardato – è tutta nel ritmo molto alto in cui le vicende pubbliche si affiancano a e si confondono con quelle private. Non è dato sapere quante di queste ultime siano vere – qui parla l’amante di gossip – e, d’altra parte, vero e falso non sono qui particolarmente interessanti. Fincher, che si ricorda di essere un regista solo durante i titoli di testa e nella scena della regata, quando non può ottenere di più dal montaggio da action movie punta tutto sui dialoghi, spesso lunghi e talvolta prevedibili (soprattutto quelli con Justin Timberlake, dal quale ci si poteva aspettare comunque molto peggio). La storia è quella di un adolescente con i sandali, che vuole a tutti costi. Cosa voglia, però, non si sa: riconquistare l’amore perduto o farsi le groupies? Diventare ricco e famoso, o dare un bel calcio nel culo ai ricchi bellocci tradizionali e tradizionalisti? Eliminare scientificamente uno per uno i propri amici per essere il capo assoluto di facebook, o avere semplicemente ragione? Non si capisce, e forse questo rende il film un po’ meno stupido di quanto il finale potrebbe far credere. L’unico dubbio che mi sembra risolto è che, in un mondo dove le idee sono soldi, non è detto che le idee facciano la felicità. Ma questo, in fondo, lo sapevamo già.

NRC VI - Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

domenica, ottobre 24, 2010


 
Gli animali vanno molto quest’anno. Ma c’è animale e animale, ovviamente. Una bufala, una corda, un nodo. Uno scimmione con gli occhi rossi, un fantasma, una capanna, terre coltivate, gente che lavora. Una sacca per la dialisi, cerotti, un cuoco, un laotiano (mai fidarsi dei laotiani), un cane. Altri scimmioni con gli occhi rossi. Acqua, rocce, terra, caverne, liane, soldi, televisori. Un telefono cellulare, un bonzo. Una torta nuziale fatta di neon come altare per un funerale. Un pesce gatto (un pesce gatto) nella fica (nella fica) di una principessa (prima vecchia, poi giovane, poi scompare). Il pesce parla, ma non mi sembra la cosa più grave. Un racchettone ammazzazanzare enorme, rosso a forma di farfalla, da far impallidire Alì, Modu, Moisà e tutti i senegalesi di Pisa. Monaci vari. Una zoppa e una bambina. Altri soldi che si chiamano Bath. Fotografie. Una camera d’albergo. Un’automobile, all’inizio, un po’ di sbieco. Istantanee di soldati in assetto di guerra; insetti e comunisti. Occhi rossi senza scimmioni, nel buio. Altre grotte, diversi fiotti d’acqua. Alberi, tanti alberi. L’ultimo capolavoro di Apichatpong Weerasethakul, regista che si può solo copincollare. Il film premiato con la Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes. Presidente della giuria: Tim Burton. Aaaaaaaaaaaaaaahhhh, ora comincio a capire: Tim Burton…

QUAESTIO II. DE IUXTA POSICIONE DOMINI DIEI.

mercoledì, ottobre 20, 2010





Praesentatio
Sciascia, nella postfazione al suo Candido,ovvero un sogno fatto in Sicilia, dice che ci sono libri che ne generano centinaia di altri, e questo è il caso del Candide del grande filosofo illuminista Voltaire (che tra gli altri ha generato appunto pure il Candido di Sciascia). Allo stesso modo, a mio avviso, ci sono post che ne generano altri, e questo è il caso di “Sisì e l’America 2.0” del grande filosofo illuminista Cc (che tra gli altri ha generato appunto pure il presente post).
In particolare, il grande Cc ci sfida a pensare una grande alternativa: la domenica dovrebbe essere all’inizio o alla fine della settimana? All’inizio, come vorrebbero gli americani (in questo, temo, più biblicamente corretti di noi, visto che pare che il Signore si sia riposato di Sabato), o alla fine, come vorremmo nel vecchio mondo (in questo, rivendico, più filologicamente corretti di loro, visto che domenica è il giorno del signore e dio si è riposato alla fine del lavoro, e non prima di cominciarlo)[1]?

Digressio
[Prima di porre il problema in modo da offrirne la soluzione, vorrei fare una breve considerazione antropologica, sottolineando come i due modelli si adattino perfettamente alle diverse culture che li esprimono: qui prima esci con una e poi (dopo lunghe e meditate riflessioni) vede se te la dà o meno, là tanto per cominciare ti fanno un blowjob[2], e poi si vede se uscire (almeno così dicono)].

Disputatio
A favore della domenica a fine settimana si può dire che:
- sembra una giusta ricompensa per una dura settimana di lavoro (e sembra anche che, in ultimo, si giustifichi l'intera settimana: visione cattolica della settimana).
- Inoltre, sembrerebbe stupido riposarsi prima di aver lavorato (sarebbe come pulirsi prima di farla[3]).
- Se infine ti giochi subito la domenica, con che spirito la prosegui, poi, la settimana? Lavori pensando costantemente che non ti riposerai fino alla prossima settimana: un tempo gigantesco, a pensarci, il che toglie oggettivamente ogni slancio.

Ma, d’altro canto, la domenica come primo giorno della settimana ha non di meno i suoi vantaggi.
-       Se muori di venerdì sera, per esempio, non hai di che rammaricarti: ormai la domenica te la sei goduta, nessuno te la toglie più. È come mangiare le cose buone all’inizio del pasto, così se poi ti passa la fame ormai quelle sono in saccoccia. O meglio, è come se ti dessero la pensione tra i 20 e i 35 anni, e poi ti facessero lavorare finché non tiri le cuoia.
-       Ma soprattutto: se la domenica è a fine settimana, ci arrivi senz'altro molto stanco, e finisce che non te la godi, mentre se ce l'hai a inizio settimana sei bello fresco (e diventa un giorno di piacere e non di riposo: la domenica non è più in funzione della settimana lavorativa, ma diventa domenica in sé).
-       Il giorno di riposo a fine settimana ha un repellente odore di finalismo.


Determinatio
A questo punto, l’ago della bilancia non pendendo da nessuna delle due parti, credo che l'unica soluzione sia mettere la domenica all'inizio e alla fine della settimana, il che risolverebbe tutti i problemi.
Be', quasi tutti: per esempio, dovremo fare due domeniche coincidenti nello stesso giorno, o due giorni separati, uno all'inizio e uno alla fine della settimana? Se ne può discutere, ma la prima ipotesi temo che tenderebbe a creare confusione (come lo spieghi, ai poveri di spirito, che due giorni coincidenti non sono lo stesso giorno?), e dunque bisognerà optare per la seconda: due domeniche per settimana (ciò che è per altro sancito chiaramente dalle Sacre Scritture).
Ma ancora: faremo dunque settimane di otto giorni? Non credo proprio, visto che sarebbe una contraddizione in termini!
Dunque bisognerà sacrificare un giorno della settimana per trasformarlo nella seconda domenica.
Io direi il martedì.


[1] Certo, loro la chiamano Sunday, ma noi non accettiamo filologie pagane.
[2] Un signore di una certa età mi disse che una volta in Italia non si facevano pompini, che era una roba d’esportazione dagli Stati Uniti, come le patate e le chewing-gum, e che erano il corrispettivo erotico del fast food.
[3] Cfr. R. Benigni, L’inno del corpo sciolto: “Quindi cacate, perché è dimostrato/ ci si pulisce il culo dopo aver cacato”.

... e sono tre...

lunedì, ottobre 18, 2010


Dì la verità, Maciste, come hai deciso di festeggiare il tuo terzo compleanno? A casa coi tuoi, o li molli e te ne vai da qualche parte con le amiche? A noi lo puoi dire, che tanto non lo diciamo ai genitori...

SÉI

venerdì, ottobre 15, 2010


mi dicono che è ora di imparare a scrivere

Sisì e l'America 2.0


Mi si chiede come sto qua in America. Per carità, mica me l’avete chiesto tutti, però molti di voi sì, quindi mi sembra carino rispondere, no?
Io, in America, non ci sto male. Strano a dirsi, vista l’ultima tragica esperienza chicagona. Eppure è così, non ci sto male. D’altra parte, se mi diceste “Ma allora stai bene!”, beh, dovrei rispondervi di no, perché non è che ci sto proprio male, e non è neanche che ci sto proprio bene.
Il problema è che io, ‘sti americani, mica li capisco. Ma non che non li capisco perché non li capisco, no! Non li capisco perché qui la vita quotidiana è diversa, e questo tende ad annullare i miei sforzi per vivere quella vita serena e tranquilla che tanto desidero. Un esempio? Un esempio: domenica scorsa (il capo già lo sa.. il capo sa sempre tutto!) volevo andare a vedere “Gilda” (da pronunciare rigorosamente Ghilda, altrimenti so’ ccazzi) all’Arsenale de noantri, il DocFilms. E siccome ci tenevo proprio tanto ad andare, sia perché volevo vedere Ghilda, sia perché dicevo a me stesso “No, non passerai tutta la domenica a casa a leggere Harry Potter” (poi forse parleremo anche di questo, o forse no..), allora ho controllato e ricontrollato l’orario più volte, così da evitare, che ne so, di andare alle 9 invece che alle 7, per uno stupido errore. Arrivo così perfettamente in orario – anzi, un po’ in anticipo – mi siedo, si apre il sipario (sì, qui al cinema c’è il sipario), e.. comincia un film muto del 1913 a tema biblico, di una noia veramente fuori dal comune, e di cui mi ricordo solamente che c’erano un sacco di pavoni. Io ero arrabbiatissimo! Perché, mi chiedevo, cambiare il film senza neanche avvertire? Che ci state a prendere per il culo?! Ma, d’altra parte, nessuno vicino a me sembra sorpreso.. Il trucco si è poi svelato quando ho ricontrollato il calendario, e mi sono reso conto che qui le settimane non cominciano col lunedì, ma con la domenica, e quindi l’ultima colonna a destra, in cui cercavo la programmazione della domenica, riportava invece quella del sabato. Ecco, ora capite cosa intendo?
Altro esempio? Altro esempio: mi serviva un cellulare. Ora datemi pure del pirla quanto vi pare – e, alla luce dei fatti, avreste ragione – ma sono tornato alla at&t, pensando: hanno fatto tanto casino l’altra volta, stavolta non può succedere nulla. Il fatto è che la politica aziendale della at&t è evidentemente quella di assumere personale che parla inglese in maniera incomprensibile, così da raggirare i clienti a piacer loro. E infatti così è successo. Il baldo giovane che cercava di vendermi il cellulare continuava a propormi questa offerta fantastica secondo cui per soli 16 sonanti dollaroni avrei avuto chiamate e messaggi gratuiti per un mese. A me suonava troppo strana, però oh, alla fine dico: è l’America, la terra delle possibilità.. ma sì, facciamo quest’offerta! Ecco però che nello scontrino l’atteso il 16 (sixteen) si trasforma magicamente in 60 (sixty). Io, basito, chiedo spiegazioni. L’altro ride. Ci siamo capiti male, dice. Io m’incazzo. Dico no, un momento, ci siamo capiti male una cippa, ora tu mi cambi immediatamente l’offerta! E lui chiama il servizio assistenza, fa correggere il nome che aveva inserito male (stavolta ero Carlo Condu.. ma stavolta niente di grave, e d’altra parte succede sempre anche in Italia che capiscano Condu) e poi chiede di cambiare l’offerta. Dopo mezz’ora, cambiano l’offerta, ma io il giorno dopo mi ritrovo con 75 dollari di credito sul cellulare e un messaggio che dice che fra un mese pagherò altri 60 euro. Stavolta dico: BASTA, ora glielo riporto, mi faccio restituire i soldi e non se ne parla più. E glielo riporto. E parlo con un’altra tipa. Che mi dice che per avere diritto al diritto di recesso devo pagare 35 dollari. Rispondo: scusa, ma il telefono ne costava 29. Fa lo stesso. 35 dollari. E, naturalmente, non c’è modo di restituire il credito.
Ecco, ora, capite cosa voglio dire? È che quando ti cambiano la quotidianità, il modo in cui sei abituato a organizzare il tempo, e a gestire i rapporti con gli altri e le piccole disavventure, ecco, così ti cambiano tutto! Così l’imbustatore personale alla cassa, il documento in vista ogni volta che compri alcolici, gli alcolici che non si comprano al supermercato ma al negozio di liquori, dove puoi comprare anche le sigarette che, altrimenti, trovi anche in farmacia – ecco, tutte queste cose diventano lo specchio di un modo di vivere che non è il tuo, e di una quotidianità di cui è difficile appropriarsi, ma senza condividere la quale la comunicazione diventa difficile. E allora da superare non c’è più solo la timidezza, o la paura di sbagliare ogni singola parola, ma anche e soprattutto la consapevolezza che l’altro, spesso, ha proprio altro per la testa.

L'infiltrato

venerdì, ottobre 08, 2010



Headline news:
Ignoto viareggino si introduce alla Mondadori a Segrate

Oggi, venerdì 8 ottobre, la sicurezza di Palazzo Mondadori a Segrate è entrata in fibrillazione. 

Dalle prime ricostruzioni pare che una persona non identificata abbia passato le maglie dei controlli all’ingresso. Secondo fonti attendibili, dovrebbe trattarsi di un individuo di nazionalità viareggina. Ignote al momento le reali intenzioni dell’infiltrato. 

NRC V - La pecora nera

giovedì, ottobre 07, 2010

 
Se i poeti pœtassero, gli imbianchini imbiancassero, i treni viaggiassero e i fiori fiorissero, sarebbe necessariamente un mondo migliore? Non ne sarei così sicuro. Certo è un po’ strano quando un fiore si mette a viaggiare e un imbianchino si mette a pœtare. Non che non ne possa uscire qualcosa di buono, anzi: dalle contaminazioni più azzardate nascono spesso opere memorabili (penso al mélange tra musica, fumetto e cinema in The Wall di Alan Parker). Altre volte si tratta invece di incontri mancati, perché per far scattare la scintilla e rendere il suo gesto significativo l’imbianchino non può mica pœtare come tutti gli altri, come dire: dovrebbe mettere tutta la sua pittura nella sua pœta. Altrimenti la cosa perde un po’ di senso. Così mi pareva in quel Persepolis a cui sembrava mancare un’anima: cosa aggiungeva il film al fumetto di Marjane Satrapi, se non una (mera) maggior diffusione? Speravo in qualcosa di più: altrimenti, conoscendo già il fumetto, non sarei andato. E lo stesso devo dire di questa pecora nera di Celestini, teoricamente impreziosita dalla fotografia di Ciprì. A questo punto si poteva pure mettere a pœtare, e sarebbe stato lo stesso. È chiaro che mica si può esigere da tutti una sperimentazione come quella che Carmelo Bene ha fatto con il cinema, ok. Ma di qui a riporre in Celestini le speranze per le sorti del cinema italiano, mi sembra che ce ne passi. Bisognerebbe saper distinguere, insomma: altrimenti toccherà arrivare alla triste conclusione che i teatranti, alla fine, è meglio che teàtrino.