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meditazioni notturne su spesa e diritti dei lavoratori

mercoledì, luglio 08, 2015


Pisa, 2001.

Ricordo nitidamente l’indignazione con cui la mia coinquilina toscana apprese la notizia dell’apertura domenicale della COOP sotto casa. Quella che a me, migrante siculo appena sbarcato nel continente, pareva essere essenzialmente una comodità, a lei sembrava ledere i diritti basilari del lavoratore, che aveva sacrosanto diritto al riposo domenicale. Ricordo che mi colpì molto la veemenza dell’argomentazione, e la profonda incazzatura provocata da un fatto per me neutro. Mi dissi con aria grave e compresa quanto profondamente il comunismo avesse inciso nelle coscienze dei cittadini toscani e notai con rammarico quanto fossi indietro io. Poi andai a fare la spesa, credo con senso di colpa. 


Palermo, 2015. 

L’apertura notturna h24 del supermercato sotto casa è per me motivo di vanto con la mia fidanzata toscana. “Solo a Londra negli anni Novanta ho visto cose così civili” (appena ho una minima possibilità ne approfitto per bullarmi di questa terra apparentemente periferica eppure evidentemente così in linea con le più avanzate esperienze europee). (A chi serva andare a fare la spesa alle 3 di notte resta una questione che preferisco non pormi). Ad ogni modo: questa sera sperimento finalmente l’apertura notturna. È quasi mezzanotte, fa un caldo bestiale. L’aria condizionata evidentemente non funziona. Un cliente lo fa notare alla cassiera, prendendo a cuore la causa di quei lavoratori costretti nella notte della calura sicula a lavorare in condizioni non degne. “Dovete avvisare l’ufficio di medicina del lavoro!”, dice lui. Appena se ne va, la cassiera commenta risentita coi suoi colleghi: “ci manca solo che questo qua ci fa chiudere e ce ne andiamo tutti a casa. Diceva mia nonna: io munnu cipudde e tu chianci. Ma perché non si fa i fatti suoi?”. Quando le chiedo se va bene l’apertura notturna, mi dice con sollievo che sì, viene molta gente, per fortuna.

[Chi volesse potrebbe leggere in questo breve apologo un confronto tra due parti del belpaese. Altri potrebbero paragonare l’Italia pre-crisi a quella della crisi. Per quanto mi riguarda ho comprato pizze surgelate, sofficini, ketchup, marmellata di more. E carta igienica, che non si sa mai]. 

il natale dei rigattieri

giovedì, dicembre 25, 2014

Ho fatto gli auguri di Natale a qualche rigattiere. L'ho fatto al modo dei rigattieri, e penso che anche le loro risposte dicano qualcosa di ciascuno di loro. Avevo deciso preventivamente che avrei inventato la risposta di almeno uno di loro, per giocare sull'effetto comico del post: non ce n'è stato bisogno.

SMS DI AUGURI DEL CAPO: 

Pesante


SMS DI RISPOSTA

Ciccì: E inzomma…

Lanz: Pesantissimo

Ferari: Vero.

Bezzina: Vero.

Mheo: Parecchio

Happy: Lo so. Ma Natale è Natale. Sò pesi che dobbiamo portare. Augurerrimi.

Maurinho: Eh già… sono raffreddato.

Genni: Cosa?


p.s.: non posso non riportare questo omaggio che la dice lunga (non solo) sulla mia militanza cinefila, e di cui ringrazio moltissimo l'omaggiatore 

"Ho trovato oggi un VHS con gli inizi di vari film. Penso fosse la tua azione di correzione culturale per i miei canonici 5 minuti di ritardo al cinema. Una testimonianza degli esordi. Buon Natale!
(il vhs non è "A spasso con Daisy")


the ghost writer

domenica, aprile 01, 2012

L'amica X mi combina un appuntamento con l'imprenditore Y, alla ricerca di nuove emozioni. Y vuole scrivere le sue memorie. Cerca un ghost writer. Si rivolge a X che gli dice di parlare con me. Io sono Z. Già mi vedo: barricato in un'isola misteriosa, ad ascoltare i segreti più reconditi di 70 anni di alta finanza, tra banchi di nebbia e navi gigantesche, nel tentativo di scoprire come mai i colleghi che mi hanno preceduto (W, J, K) siano morti in circostanze misteriose. Ma l'amica X non è Polanski, e l'isola è un po' più grande di Martha's Vineyard. (I più bacchettoni staranno lì a puntualizzare che io non sono Ewan McGregor: tutta invidia).
Arrivo. Mi fanno aspettare. In piedi. Per tre quarti d'ora. Dilettanti: io sono Z, lo so benissimo che è una prova. Mica ci casco. Aspetto. In piedi. Per tre quarti d'ora. Dopo mi siedo, che mi sono anche un po' rotto il cazzo. Neanche il tempo di rilassarmi e arriva Y, si presenta, sorride. Nessuno dei suoi sottoposti sa perché sono lì. I vietnamiti che sostengono sulle loro spalle i 70 anni di alta finanza mi scrutano con aria sospetta. Faccio finta di niente e seguo Y. Entriamo nella stanza ovale. Siamo in un bunker, sottoterra, nessuno ci può disturbare. Un tavolo, anch'esso ovale. Y da un lato, io dall'altro. Mi guarda. Lo guardo. Mi fissa. Lo fisso. Silenzio. (cut).
Y mi fa alcune domande di circostanza. "Forse non sa con chi ha a che fare", penso. (Io quando penso penso sempre tra virgolette; a volte anche quando parlo). Rispondo circostanziatamente. Lui prende un taccuino, e comincia a prendere appunti mentre parlo. Anche dopo che finisco di rispondere, lui continua a prendere appunti. E tace. Per dei minuti. Scrivendo, e sottolineando. Fa anche le smorfiette. Mi vuole mettere alla prova, di nuovo. Ora, io sarò anche un professionista, ma quando un uomo professionista incontra un uomo con taccuino, l'uomo professionista è un uomo morto, si sa. E lui mi sta mettendo sotto, diciamocela tutta. Devo fare qualcosa. Mentre rispondo riesco a pensare solo a questo: devo fare qualcosa. Ma lui ha il taccuino dalla parte del manico, cazzo. Ripesco nella memoria, un appiglio che mi tiri fuori da questa situazione. Ci sono: L'OTTO. Alla prossima domanda me lo gioco. Si sente furbo, eh? Nella sua posizione di potere. Sente di avermi in pugno. Ma io ho l'otto, e lui non lo sa. All'ennesima domanda per saggiare la mia psicologia contrattacco. "Veda", lo incalzo, "per lei è facile stare lì, fissarmi, fare tutte queste domande. Ma io so benissimo cosa sta facendo". Alza il sopracciglio. "L'ho fatto anch'io, sa? Lo conosco anch'io, l'otto". Rimane interdetto. "Lei adesso mi vuole costringere all'angolo, con questi strani quesiti, i silenzi, gli appunti. Ma io so dove vuole andare. Mi ha preso per uno da due cerchietti?". Finge di non capire. "Lei vuole portarmi ad ammettere di essere uno da due cerchietti, uno sopra l'altro. Ma io sono Z. Sono un uomo dal tratto unico, che si crede". Leggo il panico nei suoi occhi. La spavalderia di poco fa è improvvisamente scomparsa. Ora sono io che comando. "L'otto è un movimento sinuoso e soprattutto UNICO di una penna che mai si stacca dal foglio. E adesso la smetta, e stia un po' a sentire". Per poco non cade dalla sedia. Lo sobisso di domande, per fargli capire chi sono. Pubblico! Editore! Tiratura! Mole! Taglio! Tempi! Obiettivi!
No, soldi no. Figuriamoci. Ghost writer sì, ma gentiluomo. Per i soldi si vedrà: intanto l'ho rimesso al suo posto, Y. Gliel'ho fatta vedere. Vado via con l'aria di chi la sa lunga. Un unico dubbio irrisolto: quello sghignazzo dietro il rumore della porta che si chiudeva.

il capo va al lavoro un po' come M. Hulot va in vacanza

mercoledì, agosto 10, 2011

Mettiamola in questi termini.

Questi 28 euri guadagnati ieri sera, tra le 17 e le 24 (solo perché ero in prova), mi fanno sentire più felice, mi spingono a perseverare in questa diabolica strada del "lavoroquellovero"?

Ragioniamo insieme, collettivamente, generazionalmente, onestamente.

No.

Dalle 17 alle 24 sono 7 ore di lavoro. La paga prevista per la prova è di 25 euro (ma è anche la paga prevista per il contrattoquellovero, di sei giorni a settimana su sette, 150 euro a settimana uguale 600 euro al mese per 4 settimane di 24 giorni lavorativi su 28). Più le mance, che - mi assicurano - a volte sono anche di 12-13 euri! [A persona? No, complessivamente. Da dividere per: a) cucina (giusto); b) sala (giusto); c) bar (giusto); d) bicchieri rotti (perché - mi spiegano - i bicchieri si rompono, non i camerieri, non il barista, non la cucina: si rompono. E allora non paga il proprietario, paghiamo un po' tutti. Discutibile, tendente al meno giusto)]. La mancia di questa serata è di 3 euro (siamo intorno ai massimi storici, insomma).

E vabbé, uno dice in tempi di vacche magre certo che va bene, sono pur sempre 4 euro l'ora! Adesso uno si aspetterebbe quell'odioso ragionamento tanto caro ai lavoratori ("ma io ho studiato 10 anni per guadagnare 4 euro l'ora?"), ma noi invece lo lasciamo ad altri, intanto perché non ci pare un argomento inoppugnabile (metti che sei stato lento - e tutto sommato non è il mio caso -, oppure che hai scelto di studiare cazzate - ... -, insomma cazzi tuoi ciccio), e poi perché abbiamo argomenti ben più stringenti.

Poniamo che il locale - com'è il caso - sia di proprietà di ragazzi giovani. Anche simpatici, vi dirò. Passi il fatto che il cliente è veramente da uccidere, se ti fa scrivere 8 comande per una cena, e se non riesce a scegliere facendomi cambiare 4 volte i suoi cazzo di rigatoni all'amatriciana che poi diventano patatine fritte che poi diventa una macedonia che poi diventa un frullato. Passi. Ma il punto è: esiste un'etica del lavoratore? Quest'etica ha ancora qualcosa di prescrittivo, oppure no? E allora vogliamo veramente ragionare sui 4 euro, sugli anni di studio e sui lavori adatti o meno adatti, oppure dobbiamo cominciare a parlare delle decine di scarafaggini piccoli, dei ragni, degli scarafaggioni grossi che ho visto muoversi tra la cucina, la dispensa, il pacco di patatine (dentro), le sedie e così via?

[A questo post seguirà mail ai proprietari del locale con annesso caloroso invito a una disinfestazione. Non metto qui il nome del locale per ragioni minime di eleganza, e per non dare in pasto a internet un'onta cui, sono certo, porranno riparo. Nel frattempo, per maggiori info, scrivetemi in privato per sconsigliarvi questo pub-ristorante].

Aggiungere qualcosa sul collega cameriere proveniente dal terzo mondo che mi ha ripetuto nelle prime 8 frasi che i proprietari sono "bravibravibravi" e che lui lavora col cuore sarebbe politicamente scorretto, vero?

Insomma: a queste condizioni, tanto vale fare il professore universitario.

Un colloquio a Milano

venerdì, marzo 04, 2011




I Rigattieri sono controcorrente. Rifuggono dalle statistiche, dalle tendenze, dai destini prestabiliti. Il tema, come ricordato qui più volte, non risparmia il mondo del lavoro.
L’ultimo, fulgido esempio è stato fornito naturalmente dal nostro Capo, che si è paracadutato un giorno di febbraio a Milano.
Posso raccontare io come sono andate le cose veramente.
Il Capo si precipitò a Milano per evitare una sciagura che pendeva sulla sua testa: un contratto di lavoro, 18 mesi, a tempo determinato.
(questa sì, una vergogna, che al giorno d’oggi ci siano ancora persone che propongono simili sconcezze ai colloqui di lavoro…).
Per fortuna, il Capo non si è fatto tentare dalle sirene della mesata fissa, come un’Olgettina qualsiasi, ma ha provato con tutte le sue forze a convincere i suoi interlocutori che l’Assunzione non è cosa per noi, che è cosa mortificante, che noi abbiamo ben di meglio da fare, leggere, organizzare, scrivere…

Ma il Capo ha potuto vedere coi suoi occhi anche gli altri mille pericoli che si nascondono nella vita milanese. E si è convinto, una volta di più, che da Milano ci si deve tenere alla larga.
Prendete per esempio il loro regime di mobilità. Ogni giorno un milanese si sveglia e sa che dovrà andare a incastrarsi nel suo piccolo spazio in coda, dentro un’utilitaria, (il viaggio, per il milanese, è un paradosso zenoniano al contrario) e lì attendere serenamente un cancro al polmone.
In proposito, il Capo ha pure constatato, con orrore, che i milanesi guidano peggio dei terroni. Vendicativi, incazzosi, egocentrici, commettono qualunque nefandezza contro il codice della strada. E senza nemmeno avvertire il prossimo con il clacson, come usano civilmente i palermitani
(te la mettono in culo e basta: tu devi morì, in tangenziale, cazzovuoi…).
Il metrò, poi, è un altro luogo singolare. In apparenza è un mezzo di trasporto collettivo, dove la socializzazione sarebbe facilitata. Non è così, almeno a Milano.
In metrò si sta muti, capo chino. In metrò parlano solo i terroni. E dunque, quel mercoledì mattina, parlavamo ad alta voce soltanto io e il Capo (io per solidarietà, il Capo invece noncurante della silenziosa usanza).
L’altro grave pericolo è la figa. Ce n’è in quantità industriali. Troppa, decisamente troppa, per un eterosessuale con la testa sul collo. Per di più, uno è cosciente del fatto che va in giro, tutti i giorni, rassegnato all’idea che non ne beccherà mai una. Un vero supplizio di Tantalo. Chi vorrebbe vivere in una simile città?

Ma per fortuna il sottoscritto ha traghettato il Capo in salvo nell’isola felice di Segrate, dentro il palazzo di vetro con il lago e le carpe grosse come pittbull. Lì, finalmente, siamo venuti in contatto con una realtà più serena, composta.
A contatto diretto col Potere, infatti, il Capo si è trovato a suo agio e ha iniziato a stabilire molteplici relazioni (come fece, a suo tempo, anche l’illustre Cofino). 
Tra le più memorabili, si vuole qui ricordare il “non-colloquio” di lavoro con il direttore di un mensile. Senza volerlo e senza darne la benché minima impressione, il Capo quasi riuscì a procacciarsi un posto. 
“Ma insomma, vuoi scrivere per me?” chiese il direttore. E noi due, in coro: “Mannò, figurati, si fa così, per parlare…”
Noi lavoriamo solo per caso, o per sfiga. 
Il lavoro sta ai Rigattieri come il superenalotto a una pensionata.

Il lavoro - 1

venerdì, dicembre 31, 2010

io quando entro in un posto già si mettono a ridere. figuriamoci poi quando mi metto la faccia seria e chiedo un lavoro.
 
CAPO: buongiorno.

SIGNORA: buongiorno a Lei.

C: salve, volevo un'informazione.

S: mi dica.

C: non è che per caso state cercando camerieri, o un aiuto-cuoco? io sto cercando lavoro.

ora il problema dello scrittore è: come descrivere a parole l'espressione di stupore misto a commiserazione che compare sul volto della padrona del locale non appena si accorge che chi le sta davanti (proprio quel Capo lì che le sta davanti) le sta chiedendo un lavoro e non, ad esempio, se sono aperti a capodanno?

C: no, signora, cioè mica per forza... mi chiedevo solamente, siccome sa, passo sempre qui davanti e allora mi chiedevo... ma non seriamente, cioè: se non c'è niente non è un problema, era più che altro una curiosità, uno sfizio, diciamo...

S: guardi... (scuotendo ripetutamente la testa, come ad esprimere una certa sfiducia sull'efficacia del proprio sguardo) noi veramente non abbiamo proprio necessità, ma comunque...

C: no signora ma si figuri, ma mi ha preso sul serio? ma io scherzavo, ma le pare! ma si figuri se venivo a importunarla per queste sciocchezze... certo, avrei potuto mettere a frutto i miei studi... a proposito: lo sa che anche Marchionne è laureato in filosofia?

S: (continua a oscillare la testa. adesso mi rimprovera, lo so). ma Lei ha esperienza?

C: esperienza... signora, esperienza è una parola grossa, chi può dire oggigiorno di averne, in cuor suo? bisognerebbe essere ben presuntuosi ad affermare di avere esperienza in qualcosa. sì, qua e là, ho lavoricchiato, sia come aiuto-cuoco che come cameriere, ma insomma mooolto sporadicamente (no, glielo dico nel caso in cui Lei volesse confidarmi anche solo un minimo di credibilità)... ma comunque signora, non si preoccupi, era solo così, per sapere, mica volevo lavorare sul serio, pensi, a me mi fa schifo il lavoro! trovo che sia un falso mito, lo scoglio su cui si è arenato il barcone di un'intera tradizione politica di sinistra, la schiavitù eretta a modello di vita, bla bla bla...

S: (la smorfia di commiserazione tende ora chiaramente al disprezzo). mi scusi ma allora che è venuto a fare?

C: no, sa signora è che passo sempre qui davanti, ho visto la vetrina, volevo vedere come si vedeva da dentro, capisce? e poi, mi dica la verità: non ha mai la voglia irrefrenabile di dire qualcosa solo per sentire la sua voce che dice quella cosa? ha presente Gasparri, l'altro giorno, quando ha detto degli arresti preventivi? ecco secondo me era esattamente lo stesso: come mi sentirò a domandare di lavorare nel ristorante che vedo sempre sulla via di casa, mi chiedevo? e Gasparri si sarà detto: come si sentirà Gasparri a dire minchiate da fascista, come ai vecchi tempi? ecco è questo signora, lei non ha mai questa voglia irrefrenabile?

S: beh effettivamente, ora che mi ci fa pensare... io ho la voglia irrefrenabile di buttarla fuori a calci. ma di corsa, proprio.

C: senza nemmeno che le lasci il curriculum?

S: senza nemmeno.

C: signora, ma come è scortese! ma insomma, stavamo chiacchierando tanto amabilmente! e poi almeno il curriculum me lo deve fare lasciare, c'è la lista di tutti i post che ho fatto su Via Rigattieri, ma insomma, un po' di rispetto per il lavoro intellettuale!

S: fuori.

C: Lei crede che sia uno sfaticato, eh? Lei è una di quelli che dice di lavorare sempre e che gli altri non fanno un cazzo, eh? dica la verità!

S: f-u-o-r-i.

C: Lei è una fascista! Lei non ha rispetto! il lavoro, il lavoro!


prende una mazza da baseball. (che cazzo ci fa una mazza da baseball in un ristorante?). scappo, o difendo i miei diritti e con essi quelli di un'intera generazione, categoria, umanità?


scappo.

dialogo

mercoledì, giugno 02, 2010



capo: "... allora sartre disse a bergson: incosciente!" eh cofe? che te ne pare come barzelletta filosofica?

cofe: alla coferis! se tu avessi facebook spopoleresti con una battuta del genere!

capo: ehò. il mio problema è che sò modesto.

cofe: vero, capo.

sogni

giovedì, maggio 27, 2010

ho sognato mourinho, tutta la notte.
gli ho detto che comunque andassero le cose era stato un piacere avere a che fare con lui, e che io personalmente lo capivo se se ne voleva andare al real, che comunque avrebbe trovato in me un alleato.
certo capivo anche chi pensava che fosse un atto un po' vigliacco vincere tutto e scappare, e gliel'ho detto, ma lui giustamente mi ha detto che se se ne voleva andare al real che cazzo c'entrava il coraggio o la vigliaccheria?
e io gli ho dato ragione, a mourinho.
poi a un certo punto passeggiavamo per un paesino sconosciuto, certamente in portogallo, eravamo io, mourinho, franci, massimo (moratti). massimo mi chiedeva allora io da dove venivo, e quando gli dicevo palermo lui mi diceva "ma palermo padova, palermo venezia?", e io rispondevo "no palermo palermo".
e però mi chiedevo com'è che ancora non lo sapesse, dopo tutti gli anni che giocavo nell'inter.
mi consolavo pensando che magari pure di capitanza sa che è argentino ma mica sa esattamente se viene da buenos aires buenos aires o da buenos aires corrientes, per dire.
poi franci e mou facevano una gara in bicicletta in salita, arrivavano pari, mi sembra.
comunque josé era contento, rilassato, in fondo era una serata tra amici.
certo aveva un problema con la casa, che voleva risolvere: lo stato continuava a non volergliela vendere per intero. io non capivo. poi franci mi spiegava che josé aveva fatto casa sua tipo in un tempio egizio che c'era lì da quelle parti, e tutto attorno aveva costruito delle dependances, insomma una cosa fatta bene.
e giustamente diceva, josé: che ffà, non gliela devo lasciare una casa sistemata ai miei figli? si deve risolvere 'sta cosa, con lo stato.
e io gli ho dato ragione, a mourinho. che ffà, non aveva ragione?
e poi gli ho chiesto en donde era casa sua.
e lui mi ha risposto, con la faccia un po' da pesce: en catalao.
e io ho pensato che aveva senso, perchè in fondo lui aveva cominciato come vice di van gaal.

l'evento

giovedì, dicembre 10, 2009

già dall'inizio si annunciava come una delle tipiche trovate alla cofe. ma come smorzare il suo entusiasmo, la sua palpabile eccitazione? ho aderito senza esitazione alcuna. "ci dobbiamo prenotare!", mi dice quasi sussultando. va bene, prenotiamoci. "me l'ha detto quella, la deleuziana carina". benissimo cofe, andiamo, mi fido completamente: fammi solo sapere dove devo arrivare, a che ora, pensa a tutto tu. d'accordo, d'accordo. un'avvisaglia l'avevamo avuta, a dirla tutta, la sera prima: mail di avviso della prenotazione avvenuta all'evento (organizzato da chi? in cosa consiste? tutto ignoto), dice che dobbiamo portarci computer e casco. cofe, io il casco ce l'ho a palermo. non ti preoccupare còin ci penso io, scrivo una mail per chiedere che cazzo vuol dire. còin, apposto, vuol dire cuffie: ci dobbiamo portare computer e cuffie. va bene cofe, ci porteremo computer e cuffie. ma queste cose, se non le facciamo a parigi, ma dove le facciamo? vero cofe, vero, sono contento. apposto, apposto, ciao ciao.

l'indomani. skype. cofe: come ci organizziamo? cofe, dimmi tu, dimmi a che ora mi devo fare trovare e dove. ok, la cosa inizia alle 3, è un po' fuori parigi. come fuori parigi? no non fuori parigi, non ti preoccupare, appena sopra il boulevard peripherique, ci arriva la metro. ok, ok. ci troviamo alle 14.30 a Garibaldì. bene. mangio in fretta con F., che mi è venuto a trovare, pezzo di carne e patatine al ristorante di piggì a belleville, poi parto. bella la linea 2 di giorno, tutta sopra, si vede un sacco parigi, passa vicino al canale dell'ourq, barbés, poi a un certo punto si inabissa, passa anche da pigalle. cambio, arrivo a garibaldì. aspetto un po', arriva cofe. ci incamminiamo nella periferia parigina - ma st. ouen è quartiere simpatico.

arriviamo nel posto dell'evento. una sorta di centro sociale, enorme, c'è un ristorante, chiediamo informazioni. "siamo venuti per l'atelier sulla voce di Deleuze". L'atelier sulla voce di Deleuze? Cofe dove siamo finiti, qua non c'è niente. ma no, fidati, ora troviamo. scusa ma la tua amica? eh ma lei non viene. come non viene, cofe, prima ti invita e poi non viene? eh si se veniva mica ti portavo. ah ok. eh.

arriva V., ci dà delle informazioni, ci fa vedere una mega installazione al semibuio su Deleuze, con dei video. su una parete grande è proiettato il video di due tizi in un bosco. "è il bosco di vincennes", ci dicono, con grande deferenza. ah. quello del primo maggio, ci ho giocato a calcio, ho capito. ci presentano S. parliamo un po' in francese, lei parla super sottovoce e in maniera suadente, forse, secondo lei. convenevoli, poi vedo su un tavolo l'immagine-tempo in italiano, le chiedo come mai? e lei mi dice che è italiana. ah, noi pure siamo italiani! ah oui? mais en fait nous on ... e continua a parlare in francese, come se niente fosse. bah.

insomma ci spiega un po': lei ha fatto un film, che ha proiettato anche a procida, riutilizzando i video che M. B. ha fatto dei corsi di Deleuze a Vincennes, e oggi l'atelier è proprio con M. B.: avremo occasione di parlare con lei, discutere ecc. cazzo cofe, questi ci fanno parlare. ma no dai, ora vediamo che succede. 7 prenotazioni, pare. io vedo che ci siamo io, cofe, S., arriva M. B., V. e altri 2 (ma gli organizzatori sarebbero esclusi dalla prenotazione, vabbè). mentre aspettiamo ancora, S. ci racconta ancora delle cose, sull'idea del progetto, su D&G, su di noi. ma noi chi, cofe? noi, noi. avrete presente sicuramente il danzatore buto masuka magrolino, ci dice, ecco lui è andato in questo ex manicomio in cui lavorava Guattari, è un posto stupendo, in cui i medici sono un po' malati e i malati sono un po' medici. lui è rimasto lì un po' di tempo, io ci sono andata col mio compagno e non volevo più andare via, ce ne sono rimasti pochi di posti così, ce li stanno togliendo tutti. cofe, che ci stanno togliendo? i posti così. dai ma ci dobbiamo andare pure noi. ehò. e anche l'atelier di oggi è una specie di cosa di contestazione verso l'università per come la stanno facendo diventare, ci dice. ma chi? ma loro! e noi chi siamo, cofe? noi, noi, ma stai tranquillo. il tavolo per esempio è tutto stondeggiato e coi buchi, ma fatti apposta, forse perché il rettangolo è una forma e noi non siamo formali, vogliamo rimanere nel manicomio. mah, io tutti i torti...

insomma, presentazione del posto: artisti ecc, autoprodotto belle storie. progetti culturali, tipo questo. bello. parla M.B.: sono anni che sto curando un progetto sulla voce di Deleuze, trascrizione dei testi e messa in linea dei corsi. bello, meritorio, il sito lo conosco anche. ecco, sono anni, il lavoro è molto duro, molto importante (aria compresa). si. cofe. si coin. ma. si. a che ci serve il computer? boh, è in linea. connetetevi al sito, dice M.B. . tié, il mio non si connette. prendete un file. cofe. aprite un file word. cofe. ascoltate l'audio e correggete le trascrizioni che hanno fatto altri volontari prima di voi. cofe ma che cazzo dice questa? ... cofe ma scusa cosa siamo venuti a fare? l'atelier è praticamente che noi stiamo qua a correggere e trascrivere i corsi di deleuze? cofe scusa siamo venuti a st. ouen in un garage freddo con un gruppo metallaro che prova di là portandoci computer e casco per perdere un pomeriggio appresso a questi quattro fricchettoni per correggere il lavoro che dovrebbe fare questa qua, o qualcuno che è pagato per farlo? ... cofe ma ti sei accorto che questi quattro fricchettoni HANNO TUTTI IL MAC? COFE MA TI RENDI CONTO CHE ABBIAMO TUTTI IL MAC? COFE MA COSA CI STA SUCCEDENDO, COFE, RISPONDIMI, COFE! ...

alle 18 siamo andati via, dopo aver letto e corretto una lezione di Deleuze sul cinema, al freddo, al buio, aggratis. ma se queste cose non le facciamo a parigi, dove?

dal vostro inviato a firenze

domenica, novembre 08, 2009

Finisce la 50esima edizione del Festival dei Popoli di Firenze, il secondo festival che seguo nella mia vita, grande soddisfazione. Quando ho deciso - non ho deciso niente, è successo - di occuparmi di cinema, la spinta era principalmente quella dell'unire l'utile al dilettevole: troppo difficile la filosofia, non avrei saputo contribuire significativamente né studiarla 12 ore al giorno come si dovrebbe. A me piaceva andare al cinema. Ma ho sempre vissuto il cinema come otium vero e proprio: quando la professoressa di latino mi diceva che non potevo arrivare impreparato a scuola perché ero andato al cinema il giorno prima, non ero mai d'accordo. Ero andato al cinema, appunto, mica a giocare con gli aquiloni. (Per quanto anche giocare con gli aquiloni possa avere le sue implicazioni importanti). Insomma, per me il cinema è, oltre a un grande divertimento, una cosa molto seria. Per fortuna non sono l'unico: tante altre persone la pensano così, le stesse che danno una giustificazione "sociale" al mio studio. E quindi mi sono trovato a fare del cinema una cosa anche più seria di quanto non volessi: oggetto di studio, per l'appunto. Mi ritrovo quindi periodicamente a scrivere di cinema, ma mica per un motivo troppo serio: scrivo di cinema per poter andare al cinema. Cioè per avere una giustificazione (economica e) sociale per andare al cinema. Quindi, nello specifico, per essere pagato e poter andare al cinema; o per esempio per poter andare ai festival di cinema gratis, e vedere un sacco di film. Per fare questo talvolta devo poi veramente scrivere (per ottenere l'accredito al Torino Film Festival, ad esempio); talaltra sono più fortunato, come per questo festival fiorentino, dove l'accredito me l'hanno dato senza nulla in cambio. Che bello. Un gran regalo (come Torino, che era il regalo di laurea che  mi sono fatto da solo). Ma insomma io non è che scrivo di cinema perchè ho cose intelligenti da dire, né perché ne capisca un granché: a me il cinema piace vederlo. Questo sì: sono un grande spettatore. Però - e non capisco perché - la società non ha ancora dato un ruolo allo spettatore disinteressato, quello che vorrebbe andare a vedere i film e poi tornare a casa, magari a vederne un altro. Lo spettatore che non contribuisce in nulla al progresso della società. Quello che, al limite, neanche ci ragiona troppo. That's entertainment!, o no?

Insomma, in attesa che venga riconosciuta una certa dignità anche a questa serie di persone di cui mi vanto di far parte, mi adeguo alle regole della stampa/studio/critica cinematografica. E allora, anche se non devo, per senso di colpa do un miniresoconto di questo festival, veramente strepitoso, con l'augurio che qualcuno di questi film possa circolare al di là dei circuiti specialistici.

Vince Defamation, dell'israeliano Yoav Shamir: un film molto potente, che prende spunto da una semplice domanda: che cos'è l'antisemitismo? La tesi del film - perché di film a tesi si tratta, per quanto coraggioso e più problematico di molti altri - è che oggi l'antisemitismo è innescato da, e funzionale a, l'establishment israeliano, lo stato di Israele e le lobby ebraiche, soprattutto negli USA. Vedere dal di dentro il funzionamento della statunitense Anti-Defamation League, potentissima organizzazione che si occupa di denunciare per l'appunto tutti i presunti casi di antisemitismo che succedono nel mondo, è agghiacciante. Ed è agghiacciante anche l'etichetta di negazionismo che viene affibbiata a chiunque osi contestare queste lobby e il loro legame con lo stato di Israele. La shoah usata come scudo, il senso di colpa come arma per difendere qualunque tipo di operazione militare e criminale dello stato di Israele vengono così denunciate con molta forza. Chi segue la storia del conflitto arabo-israeliano troverà confermate convinzioni che già gli appartengono, o si indignerà per l'utilizzo irriverente della macchina da presa che questo regista ebreo non allineato rivolge contro gli interessi del suo paese. Chi si interessa più nello specifico alla questione cinematografica, ritroverà echi alla Michael Moore che, al di là di ogni contenuto, di per sé possono risultare urtanti.

Petropolis di Peter Mettler è una splendida videoinchiesta sugli sfruttamenti delle sabbie bituminose nella zona intorno alla città di Alberta, in Canada; il film, quasi privo di commento, si compone di una serie di inquadrature aeree su queste vaste zone da cui sono stati estirpati gli alberi e dalle quali, tramite il pompaggio di acqua calda, viene separato il bitume dalla sabbia. L'effetto è visivamente straordinario: basti pensare che per 40 minuti il solo raccordo di queste immagini crea una storia appassionante, allarmata e coinvolgente. Siamo solo all'inizio dello sfruttamento delle sabbie bituminose in Canada; Greenpeace ha lanciato una campagna a livello mondiale perché il rischio è quello di trasformare in maniera irreversibile il suolo canadese e alterare così l'ecosistema mondiale.

To shoot an elephant di Alberto Arce è il secondo film che parla del bombardamento israeliano a Gaza tra il dicembre 2008 e il gennaio del 2009, l'operazione Piombo fuso che è già stata trattata dall'omonimo film di Stefano Savona (col quale questo film entra in qualche modo in polemica: polemiche che, sia detto una volta per tutte, non ci interessano minimamente). Il regista spagnolo ha seguito con la sua telecamera tutto il periodo del bombardamento israeliano che ha devastato case, ospedali, centri di rifornimento di cibo e medicine della striscia di Gaza. Piovono missili, bombe, proiettili, letteralmente, attorno alla telecamera di Arce: e il film è una denuncia fortissima di un'insopportabile occupazione che è tollerata dai paesi occidentali e di cui scontano le sorti principalmente gli inermi abitanti della striscia di Gaza. Il film è copyleft e può essere visto, scaricato, diffuso e anzi questo è l'intento principale del regista, affinché nessuno possa dire di non averne saputo niente.

Sahman di Harutyun Khachatryan è il film che più di tutti mette in questione il rapporto tra fiction e documentario; la macchina da presa segue la storia di una bufala, al confine tra Armenia e Azerbaijan, per mettere in discussione ogni legittimità, ogni valore (politico, storico, geografico) che si suole dare ai confini tra i paesi, ai rapporti tra popoli separati da piccole strisce di terra. Il film è senza dialoghi per 82 minuti: ed è impossibile dire a parole quello che Khachatryan fa con le immagini. Tutto è vero, ma non ha nessuna importanza: le immagini che documentano le fughe di questa bufala creano una storia bellissima, struggente e l'assenza di dialoghi non pesa affatto sull'equilibrio del film. Ahimé temo che non avrà una grossa diffusione, per cui se vi capita, correte.

Drottningen och Jag (The Queen and I) è il film che Nahid Persson Sarvestani, regista iraniana che ormai da anni vive in Svezia, ha realizzato sulla regina Farah, moglie dello Shah di Persia cacciato via dalla rivoluzione che mise al potere Khomeini. La regista stessa, comunista, prese parte alla rivoluzione, e dovette scappare dopo che il regime di Khomeini si rivelò amaramente come peggiore addirittura di quello dello Shah. Il fascino che l'imperatrice esercitava sulla regista adolescente rimane intatto, nel corso di questo rapporto tra due donne, esiliate, di opposte fazioni, che a trent'anni di distanza si scoprono più vicine di quanto non pensassero nell'amore per il loro paese. Film delicatissimo, che indaga al di là del gioco delle parti nell'intimo delle persone, e mette in gioco, pur nella distanza, due grandi umanità.


Chiudo qui il miniresoconto: aggiungendo solo che all'interno della rassegna The feeling of being there che raccoglieva sette anni di cinema documentario, dal 1958 al 1965, ho avuto modo di vedere l'incantevole ...A Valparaiso di Joris Ivens, e che durante la notte di venerdì è stato proiettato in anteprima assoluta La faccia della terra, film scritto e interpretato da Vinicio Capossela, che era anche presente in sala. Il film sarebbe anche visivamente interessante, se non fosse per Capossela,  portato in trionfo sotto ogni aspetto, e davvero troppo ingombrante (come dire: fai il cantautore, non il romanziere o il cineasta).


Io comunque mi sono molto divertito, e ho avuto un'ulteriore conferma che non basta una macchina fotografica a fare un fotografo.





Teoria del post

martedì, ottobre 27, 2009

5 anni di esperienza mi confermano una teoria, che è più che altro una prassi, semplice semplice semplice - come tutte le teorie degne di questo nome:

più il post è scarso, più esso è commentato.

scolio: con 'scarso' si intende qui una varietà di cose volutamente non meglio identificate; per contemplarne solo alcune, e immaginare lo spettro delle restanti (e infinite) possibilità, si pensi a "poco accurato", "frettoloso", "di getto (ma non di genio)", "non troppo intelligente", e così via e così via.

l'opposto di scarso è la frequente e ripetuta frustrazione occasionata da quelli che riteniamo grandi post, e che spesso i commentatori disertano - o commentano scarsamente (anche nell'accezione dello scolio suddetto).

la teoria si applica ai blog di piccola e media frequentazione e grandezza (e forse ambizione) - chinaski per esempio è escluso, perché in Lui, per Lui e con Lui le cose vanno come dovrebbero andare: grande post, grande entusiasmo. e infatti spesso non consente di commentare, tanto è grande.

altro che omelette, homeless

martedì, ottobre 20, 2009

ok, non volevo arrivare a tanto, ma mi ci avete portato voi.
non pensavo fosse così difficile. non pensavo di dover subire tante minacce. ma insomma la questione casa-per-il-capo, a parigi, si fa sempre più seria.
dopo che lionello il fricchettone m'ha dato buca, dopo che persino elòdia la oste, che pareva più disperata di me, ha preferito un altro ospite piuttosto che dare un riparo al povero capo, qua stiamo al 20 ottobre e ancora di case nemmeno l'ombra. ci sarebbero gli architetti cool: ma a parte che sono un po' troppo cool, e che sono tre amici e rischierei di essere il gemello Natali di turno (ma vabbé), la casa è da gennaio, e io devo trovare una soluzione alternativa per novembre e dicembre.
c'est pas du tout facile.
non volevo ricorrere a questo: so che ora sarò sommerso di mail di ammiratori, fans, supporters, tra le quali dovrò fare un'adeguata cernia per scegliere quale casa si addice meglio al capo. volevo evitarmelo. ma vi rendete conto che il tempo stringe, a parigi fa sempre più freddo e masuka ha proposto a me e a cofe di fare un pacs per adottarlo e fargli ottenere il passaporto europeo.
qua si rischia persino di andare a vivere col povero ciccì.
chista è 'a zita. al vostro buon cuore.

per un'interpretazione globale dell'ultimo arbu di capossela

martedì, settembre 15, 2009

capo: Io credo che, a distanza di un anno circa, possiamo dire tranquillamente che "Da solo" è un disco minore di Capossela. Ti sentiresti di smentirmi?

cofe: beh, minore...
da un certo punto di vista è chiaro che è minore. Per esempio non è paragonabile alla risposta di pubblico di Ovunque proteggi, che ha affermato per un minuto Capossela come leader della scena musicale italiana (titolo ora saggiamente ritronato nelle mani del Blasco). Minore come temi, minore perché intimista, minore perché da solo. Insomma la scelta di una minorità come sorta di digressione, come détour stilistico, come minimalizzazione rispetto alla scorpacciata di echi che aveva fatto dei precedenti arbu dei proteiformi capolavori. Sì, una minorità voluta, con perle cantate sottovoce, che non possono che arricchire la sua sorpendente galleria. E anche, diciamolo senza paura di mancare al caposselismo, con degli scivoloni imbarazzanti (Orfani ora, In clandestinità, qualche altra), dovuti naturalmente al fatto di aver voluto cedere a quella stupida volontà di soggettivizzare l'arte, cosa che ha due esiti possibili (vedi: Per un'interpretazione globale della musica italiana): Eros Ramazzotti e Francesco De Gregori. Ovvero, il nulla messo in strofe o i capolavori inaccessibili, meravigliosi solo a costo di essere adombrati (quindi, capisci bene che con il soggettivismo di De Gregori bisogna stare attenti, è un post-soggettivismo, alla Archiloco, se intendi quello che voglio dire, e sennò vediti la Nascita della Tragedia). A Capossela non riesce di essere soggettivista (o almeno non sempre, o almeno solo a costo che la sua canzone resti a manovella, ovvero entro il meccanismo musicale dell'impersonale oggettivo), e questo è il grosso limite di (alcuni brani di) Da solo.

o no?

capo: è mai possibile che debba sempre gabbarti pur di farti scrivere dei post?

pranzo di natale, edizione 2008

giovedì, dicembre 11, 2008

CARI SUBORDINATI,
utenti con password o meri lettori,
salute!


è a voi che mi rivolgo, in qualità di capo magno, suprema entità metà fisica di questo onoratissimo blog, per effettuare finalmente la comunicazione ufficiale di quello che da quattro anni a questa parte è uno degli eventi più importanti della città di pisa e d'europa tutta: il PRANZO DI NATALE DI VIARIGATTIERI.

Celebrazione la cui storia è rintracciabile nell'archivio stesso di queste pagine, e che dunque non ha bisogno di essere illustrata altrimenti: bando alle ciance, si giunga al sodo di alcune rilevanti novità.


2008, ANNO DI CAMBIAMENTI diceva Nostradamus: e in effetti, qualche cambiamento c'è, c'è stato, e ad altri cambiamenti prelude questo pranzo di natale, che riveste dunque particolare importanza all'interno della storia ultima recente.


COMUNICAZIONE PRIMARIA: IL PRANZO DI NATALE DI VIARIGATTIERI NON AVRA' LUOGO IN VIARIGATTIERI, pur mantenendo lo spirito e le lucine dell'iniziativa. La dimostrazione che un luogo fisico non è altro che ricettacolo di polvere e calcinacci, e che lo spirito non è riconducibile ad essi, sarà data dalla massiccia affluenza di voi subordinati, già annunciata da happy su queste pagine, che vedrà a questo pranzo di natale partecipazioni da all over the world, da parigi a chicago, da roma a berlino, da lizzano ad arese (e non escludiamo sorprese: za-zà!).


COMUNICAZIONE SECONDARIA: IL PRANZO DI NATALE DI VIARIGATTIERI AVRA' LUOGO IN CASA DI VON TROTTA IN VIA CORRIDONI, che essendo una rigattiera ad honorem ha pensato già da tempo di mettere a disposizione la sua casa per non interrompere la tradizione di una manifestazione che è andata crescendo negli anni, contro ogni vento di crisi, contro le aspettative della politica, per una sana e onesta gestione delle risorse. ONORE E GLORIA A VON TROTTA E COMPAGNO.


COMUNICAZIONE TERZIARIA (e qui mi fermo, perchè non so come si vada avanti: quartiaria?): IL PRANZO DI NATALE DI VIARIGATTIERI EDIZIONE 2008 INTRODUCE GRANDI NOVITA', in termini musicali a noi più propri potremmo dire variazioni sul tema, a partire dalla grande TOMBOLA DI NATALE 2008, con in premio reliquie, polvere e calcinacci dell'autentica viarigattieri! per non parlare di una serie di altre iniziative che potrete scoprire solo con i vostri occhi. accorrete subordinati, accorrete!


Il regolamento è quello di sempre: ognuno per sé e dio per tutti. no, non proprio: ogn'invitato avrà il piacere di offrire agli altri invitati un saggio della sua sapienza culinaria (pena il rischio di nomea d'insipido), o della sua passione etilica, e di consumare insieme a tutti gli altri in una grande atmosfera di festa. pare che sia atteso anche il famoso tacchino che ha mangiato l'anatra che ha mangiato un cardellino, IN QUALITA' DI INVITATO PERO', fate attenzione. ragioni di ordine pratico, al fine di organizzare le masse, impongono che sia cosa graziosa e gradita comunicare la propria adesione al PRANZO DI NATALE DI VIARIGATTIERI 2008 al solito indirizzo e-mail del nostro blog (rigattierivia@libero.it), per indicare quanti siete e cosa portate (no fiorini). CHE NESSUNO ATTENDA INVITI PERSONALI, QUESTO E' L'INVITO UFFICIALE AL GRANDE PRANZO DI NATALE DI VIARIGATTIERI: se stai leggendo vuol dire che probabilmente sei il benvenuto.

aggiungo solo che il TEMA del pranzo di natale di quest'anno, sulla base del quale ogni invitato potrà sbizzarrirsi come meglio crede, sarà l'ESILIO.

IL 19 DICEMBRE 2008, INTORNO ALLE ORE 13, VIENI ANCHE TU AL GRANDE PRANZO DI NATALE DI VIARIGATTIERI "IN ESILIO" 2008!

cordialità,

il capo

listo

mercoledì, agosto 13, 2008

capo... del piddì

domenica, giugno 22, 2008


scusate ragazzi, io rimango qua, sofri m'ha investito. spero solo di non essermi fatto troppo male.

ringrazio fran-tes-to per la segnalazione e l'impaginazione ecc.

aiuto sono vicino alla malattia o forse no: sono malato

mercoledì, marzo 05, 2008

Ariel ha deciso di rendere pubblica la sua personale battaglia contro la internet dipendenza aprendo un blog nel quale racconta, come in un conto alla rovescia verso la rinascita, le sue serate disconnesse.

Ognuno ha la sua sedia, che qui è rappresentata da una pagina web nella quale accanto ad una foto ed a una breve descrizione di se stessi, si deve rispondere a tre domande: qual è il sintomo più preoccupante della tua dipendenza tecnologica, perché vuoi staccare la spina e quali sono i tuoi progetti per le tue cinquantadue notti libere? Le risposte lasciano senza parole. Elise da San Francisco crede di aver toccato il fondo giocando ad una partita di solitario con il cellulare mentre ascoltava musica dal lettore mp3 e guidava, Lawrence ammette di non riuscire a percorrere serenamente il tragitto da casa al lavoro perché sente di star perdendo di vista le notizie del web e le mail nella sua casella. E ancora. Lily riconosce di tenere d'occhio in maniera compulsiva i social network ai quali è iscritta per controllare eventuali risposte.

Quasi per tutti la decisione di allentare il rapporto ossessivo con gli apparecchi tecnologici nasce dal desiderio di trascorre il tempo libero rimasto dopo il lavoro facendo qualcosa di diverso dal mirare ottusamente uno schermo. Per quanto riguarda poi i buoni propositi per occupare il ritrovato tempo libero settimanale ce n'è per tutti i gusti. Dal gettonatissimo leggere un libro al preoccupante fare sesso, dal romantico scrivere lettere a mano al modaiolo fare la maglia.

Il meccanismo del sito si basa proprio sul confronto delle esperienze e gli utenti, dopo essersi presentati, possono lasciare dei commenti sulle pagine altrui o conoscersi discutendo sul forum. Gli argomenti più seguiti sono le brevi descrizioni delle notti senza spina. Eddie racconta che per la sua prima "nigth unplugged" ha scelto di leggere un libro ma dopo solo poche pagine si è ritrovato davanti al computer, non senza provare un enorme senso si colpa. Nel testo era citata una frase in francese e doveva assolutamente chiedere a Google cosa significasse (aiuto sono malato). Altri racconti, più di successo, sono quelli che fa l'ideatrice Ariel. Alla sua seconda notte di fioretto ha riscoperto il piacere di una cena con un vecchio amico e alla terza ha ritrovato la passione per la danza che aveva abbandonato da tempo.

Insomma il sito sembra proprio funzionare come un corso per tabagisti che vogliono smettere di fumare. I benefici si iniziano a vedere dopo alcune settimane ma per tutti c'è l'euforia di fare un sacrificio che fa bene al corpo e alla mente.

Anche il dottor David Levy, professore presso l'Information School dell'Università di Washington, lo ricorda: "Bisogna fare attenzione. Quello che stiamo vivendo in questi ultimi anni non è sano e non fa bene all'uomo. Condurre una vita qualitativamente soddisfacente significa trovare una forma di equilibrio e un po' di tranquillità. Bisogna domandarsi quali sono i limiti tra mente e corpo e tenere presente i danni che l'inquinamento informatico può causare".

en plein DOCTOR HOUSE

venerdì, novembre 16, 2007


Onore al Capo, e al suo cappello e al suo capo,

che veste per noi da oggi i panni del


Dottor Stranamore



Palermino, Palermino,

sei piu bello di Torino


NUOVO POST

domenica, luglio 08, 2007

venerdì, marzo 30, 2007

Io l-avevo detto al capo che l-ambasciatore aveva fatto qualcosa...