Il lavoro - 1

venerdì, dicembre 31, 2010

io quando entro in un posto già si mettono a ridere. figuriamoci poi quando mi metto la faccia seria e chiedo un lavoro.
 
CAPO: buongiorno.

SIGNORA: buongiorno a Lei.

C: salve, volevo un'informazione.

S: mi dica.

C: non è che per caso state cercando camerieri, o un aiuto-cuoco? io sto cercando lavoro.

ora il problema dello scrittore è: come descrivere a parole l'espressione di stupore misto a commiserazione che compare sul volto della padrona del locale non appena si accorge che chi le sta davanti (proprio quel Capo lì che le sta davanti) le sta chiedendo un lavoro e non, ad esempio, se sono aperti a capodanno?

C: no, signora, cioè mica per forza... mi chiedevo solamente, siccome sa, passo sempre qui davanti e allora mi chiedevo... ma non seriamente, cioè: se non c'è niente non è un problema, era più che altro una curiosità, uno sfizio, diciamo...

S: guardi... (scuotendo ripetutamente la testa, come ad esprimere una certa sfiducia sull'efficacia del proprio sguardo) noi veramente non abbiamo proprio necessità, ma comunque...

C: no signora ma si figuri, ma mi ha preso sul serio? ma io scherzavo, ma le pare! ma si figuri se venivo a importunarla per queste sciocchezze... certo, avrei potuto mettere a frutto i miei studi... a proposito: lo sa che anche Marchionne è laureato in filosofia?

S: (continua a oscillare la testa. adesso mi rimprovera, lo so). ma Lei ha esperienza?

C: esperienza... signora, esperienza è una parola grossa, chi può dire oggigiorno di averne, in cuor suo? bisognerebbe essere ben presuntuosi ad affermare di avere esperienza in qualcosa. sì, qua e là, ho lavoricchiato, sia come aiuto-cuoco che come cameriere, ma insomma mooolto sporadicamente (no, glielo dico nel caso in cui Lei volesse confidarmi anche solo un minimo di credibilità)... ma comunque signora, non si preoccupi, era solo così, per sapere, mica volevo lavorare sul serio, pensi, a me mi fa schifo il lavoro! trovo che sia un falso mito, lo scoglio su cui si è arenato il barcone di un'intera tradizione politica di sinistra, la schiavitù eretta a modello di vita, bla bla bla...

S: (la smorfia di commiserazione tende ora chiaramente al disprezzo). mi scusi ma allora che è venuto a fare?

C: no, sa signora è che passo sempre qui davanti, ho visto la vetrina, volevo vedere come si vedeva da dentro, capisce? e poi, mi dica la verità: non ha mai la voglia irrefrenabile di dire qualcosa solo per sentire la sua voce che dice quella cosa? ha presente Gasparri, l'altro giorno, quando ha detto degli arresti preventivi? ecco secondo me era esattamente lo stesso: come mi sentirò a domandare di lavorare nel ristorante che vedo sempre sulla via di casa, mi chiedevo? e Gasparri si sarà detto: come si sentirà Gasparri a dire minchiate da fascista, come ai vecchi tempi? ecco è questo signora, lei non ha mai questa voglia irrefrenabile?

S: beh effettivamente, ora che mi ci fa pensare... io ho la voglia irrefrenabile di buttarla fuori a calci. ma di corsa, proprio.

C: senza nemmeno che le lasci il curriculum?

S: senza nemmeno.

C: signora, ma come è scortese! ma insomma, stavamo chiacchierando tanto amabilmente! e poi almeno il curriculum me lo deve fare lasciare, c'è la lista di tutti i post che ho fatto su Via Rigattieri, ma insomma, un po' di rispetto per il lavoro intellettuale!

S: fuori.

C: Lei crede che sia uno sfaticato, eh? Lei è una di quelli che dice di lavorare sempre e che gli altri non fanno un cazzo, eh? dica la verità!

S: f-u-o-r-i.

C: Lei è una fascista! Lei non ha rispetto! il lavoro, il lavoro!


prende una mazza da baseball. (che cazzo ci fa una mazza da baseball in un ristorante?). scappo, o difendo i miei diritti e con essi quelli di un'intera generazione, categoria, umanità?


scappo.

banchetto divino

martedì, dicembre 28, 2010

 
Ebbe tutto inizio al solito banchetto del Re Fosco, mentre il Lambrusco, spumante, faceva il gaglioppo con il Dolcetto d’Alba che gli stava a fianco. Non che loro c’entrassero direttamente qualcosa, ma proprio tra l’uno e l’altro fece la sua comparsa un acino d’oro recante la scritta “al più bello”. Fu Moscato, sempre sul chi va là, a notarlo per primo e allungò le mani con fare grecanico.
“Moscato! –cannoneggiò autorevole Müller-Thurgau- Che stai cercando di nascondere? Cos’è che ti brilla fra le dita?”
“Nulla, nulla, cosa vuoi che sia…”
“Ah, non cercare di fare il sangiovesino con me”
“Già, di che si tratta?” aggiunse Lambrusco
“Sento puzza di tannino…”, chiosò stizzita Malvasia Rosé
Moscato capì subito di non essere in una botte di ferro e mostrò ai commensali il prezioso acino.
“Chardonnay! E a chi altri credete che possa essere destinato se non a me?” intervenne il Conte di Cabernet-Sauvignon, con la sua erre moscia e la nobile cadenza francese. Ma l’interruppe la risatina fruttata di Malvasia Rosé: “Ecco il solito zibibbo tronfio. È chiaro che quell’acino è destinato a me”. Stavolta fu Montepulciano d’Abruzzo, proprio accanto a lei, a prorompere in una risata corposa: “A te? Ah, buona questa! Tu vali poco più di una vernaccia!” “Vernaccia a me? Offendere così una signora? Sei un mosto insensibile!”
“Insolia, come osi?!”, disse quello per tutta risposta. E lì, fu la bagarre. Ah, se non lo date a me saranno lagrime e chianti per tutti! Trebbiano! Vecchio nebbiolo passito! Viscido vermentino! Barolo al metanol o! Madre dell’aceto! Californiano d’importazione!
“Basta!”. Rimasti in disparte, in tre, all’unisono, troncarono seccamente la lite. Brunello di Montalcino, Morellino di Scansano e Nero d’Avola, scuri in volto più del solito, lanciarono ai convitati un’occhiata severa. “Per tutti i vitigni! Che scene sono mai queste? Indegne del vostro lignaggio invero. Non è così che si risolvono le dispute. Faremo scegliere ad un arbitro al di sopra delle parti, un giudice imparziale”
“Non starai mica pensando ad un sommellier, vero?”
"Merlot, non riesci mai a tenere il becco chiuso. A decidere sarà il consumatore”
 
l'originale qui, particolarmente appropriato in giornate di banchetti natalizi. grazie si-culo per averci permesso di riproporlo in questa sede.
l'immagine di apertura risponde a criteri prettamente e(ste)ti(li)ci e non commerciali.

NRL VI - Sangue di cane

martedì, dicembre 21, 2010



Ho un’istintiva diffidenza verso le storie di donne raccontate da donne. Mica per altro, è che proprio non riesco a comprendere la loro lingua. È come se si parlassero fra loro. Credo che la stessa identica cosa succeda, a parti inverse, per i racconti d’avventura, da Verne a Clive Cussler (sì va bene, lo confesso, ho letto Clive Cussler): molto più maschili che femminili.
Ora, negli ultimi tempi mi sono posto il problema.
Sono una persona politicamente corretta nella vita e nelle opinioni, ma sessista nella lettura?
Così, sfoderando il mio bravo senso di colpa inculcatomi dalle suore immacolatine, ho cominciato a leggere questo primo romanzo di Veronica Tomassini, Sangue di cane.
Ho fatto opera di contrizione.
La lettura ha preso subito una piega inattesa. La consistenza della trama è roba forte: una ragazza siciliana si innamora di un mendicante polacco; alcolizzato cronico per di più. Nasce tra i due un amore assoluto, perfettamente corrisposto. Vissuto al limite; nei parchi pubblici, alla Caritas, nelle comunità di recupero… Raccontato in prima persona, questo inferno melò ti prende alle budella. Con una lingua raffinatissima, sostanzialmente nuova, l’autrice ripercorre le tappe autodistruttive dei due personaggi. A colpirmi è stata poi un’altra cosa: la voce narrante. La protagonista si rivolge esclusivamente al suo perduto amore polacco, ripercorrendo le tappe del loro rapporto impossibile. Il lettore cade giù, in basso, insieme a loro. Con un misto di insofferenza e attrazione per questo dolore immedicabile.

NRC VIII - American Life

domenica, dicembre 19, 2010


 
Siete un po' fricchettoni, dite la verità: si vede che siete un po' fricchettoni nell'anima. Predicate la libertà e amereste il libero amore (ma il vostro partner vi farebbe correre, piuttosto). Oppure no e anzi odiate le coppie libertine, libertarie, ma anche quelle sfasciallitte, quelle precisine, gli sposini perfetti e quelli che non fanno altro che dirsi cosa dovrebbero fare. (Oppure siete tra quelli che si danno i voti l'un l'altro? Vi fate i dispetti e collezionate punti? E poi vi premiate o vi punite? Viziosi...). Di certo tutti sanno sempre cosa è meglio per voi: ma perché non capiscono che voi siete speciali e siete i soli padroni del vostro destino? Che gentaglia. Quelli lì mica li sanno crescere i loro figli. Guarda quelli! Che cose ridicole che fanno! Noi non saremo così, amore, vero? Noi non faremo questo errore né quest'altro né quest'altro. No, questo no! Noi viaggeremo, e ci ameremo, e ci supporteremo e ci coccoleremo come nessuno al mondo. Bene: allora siete fortunati, perché Sam Mendes ha fatto (più di un anno e mezzo fa, ma in Italia siamo avanti, no?) un film per voi, che è un road movie intelligente, divertente, ben scritto e ben recitato. E noi che non solo li doppiamo, i film, ma ci piace adattarli alle nostre abitudini, ci siamo tolti pure lo sfizio di cambiare il titolo - ma lasciandolo in inglese che fa più figo. Che Away we go magari lo scambiavamo per una vacanza loucòst, non si sa mai.

mercoledì, dicembre 15, 2010

C’è un nuovo obelisco a Piazza del Popolo. Una colonna di fumo nero e denso che invade tutta Via del Corso e va a mischiarsi allo smog, ai lacrimogeni e ai fumogeni. Il clima è avvelenato. Aria di casa per la gente di Terzigno.

L’apocalisse all’ora di pranzo. I giapponesi sono tutto uno scatto a perdifiato, e non di fotografie. Una sudamericana, invece, conversa con un’amica al telefono dell’ultimo litigio col fidanzato. Roba già vista per lei.

Orchi da Signore degli Anelli infilano, vestiti come finanzieri, Via del Corso e si accompagnano battendo i manganelli sugli scudi. Fanno paura e lo sanno.

I passanti si ammassano e si spaccano ed è un fioccare di voci controverse.

“Buffoni!”

“Andate a difendere i mafiosi! Difendete un mafioso!”

“Bravi! Ammazzateli!”

“Voglio il morto! Voglio il morto! Li voglio tutti morti, rossi di merda! Questa è la mia città, è la mia!”

“Fascio di merda!”

“Ve la prendete coi sedicenni! Vergognatevi!”

“Fate bene! Sono degli incivili!”

“Loro stanno lì anche per i tuoi figli!”

Gli animi si infuocano tanto quanto le camionette. La gente discute. E’ una serie di accesi confronti, coi pugni pronti in tasca. Il gelo prenatalizio ha salvato molti nasi, tra cui il mio.
Una signora si lamenta delle sue piante rovinate dai manifestanti. Io le dico che non tutti i manifestanti ce l’hanno con le sue piante. Lei dice che ha ragione lei, perché lei è andata a lavorare alle sei del mattino mentre io non faccio un cazzo… La persona che era con me la manda a fanculo.
E’ meno di un secondo: un secchio che vola, il filippino eroico che tiene fermo un pugno pronto per la mia faccia. Lo trascinano nel portone. La signora delle piante sa che è meglio darsi una regolata quando non si ha il filippino in regola. Un operatore dice che ha ripreso tutto, per rassicurarmi. Io gli guardo il berretto rosso con una A nera incerchiata. Capisco che non andremo lontano.

La cosa a cui tutti pensano è di tenersi una via di fuga, per non rimanere accerchiati dalle camionette che bloccano tutte le vie di uscita. Dei finanzieri si ritirano e dei passanti li seguono a suon di “Via, via la polizia!”.

Ma la gente ha paura, si vede. E’ un andirivieni di camionette, ambulanze, di celerini, finanzieri a scudi battenti. E per strada c’è vernice, macchie di sangue, fumogeni sfiniti, cestini e pali divelti e tantissime scarpe. Decine e decine di scarpe, perse da ragazzini ammanettati e trascinati via, lasciate a evocare le peggiori deportazioni.

Fa davvero paura camminare. Fa paura anche solo guardare.

La gente ha paura di sbagliare strada.

Lo scontro vero è a molte centinaia di metri di distanza, a Flaminio, ma in realtà anche qui tutti ci sono dentro e la tensione è alta come quel fumo nero.

Non è che un secondo, solo un secondo. Basta la corsa frettolosa di una ragazzina, per qualche motivo che sa solo lei, a creare il panico tra i passanti che si danno alla fuga. I negozi aprono e chiudono le saracinesche a ogni boato. Fa paura esserci.

Qualcuno deve prendere la metro a Piazza del Popolo, ma viene invitato a scegliere un’altra stazione: “Poi se vuoi, puoi andà a Piazza del Popolo e farte portà in Questura, vedi tu se te conviene!”.

La gente protesta. Ma che modi sono? Qui vogliono arrestare tutti!

Un altro operatore, senza berretto rosso questa volta, conclude in un accento bergamasco: “Se non ti piace, allora stattene a casa e non venire a protestare!”

“Ma tornatene in Padania, imbecille!”

Un esempio di perfetto contraddittorio.

Sono le quattro e mezzo. A Flaminio continua la guerra. Dei ragazzi e degli adulti corrono via dalle manganellate verso l'Ara Pacis. Il lungotevere è deserto, desolato, tutto lacrime e limoni, e qua e là qualche giornalista che ricuce sul portatile le riprese per il pezzo, seduto al tavolino di un bar a ferragosto.

Via del Corso, invece, è ancora piena di spettatori. Tanti sostano davanti a Piazza Colonna, che è inaccessibile.

Il Parlamento è ancora blindato, pieno di fiducia.

La gente guarda la schiera di poliziotti dall’altra parte della strada. Qualcuno li insulta, qualcuno li squadra con occhio torvo. Due si stanno misurando su chi dei due si fa di più il culo. Uno lavora al 118. L’altro avrà fatto una vita di sacrifici per mandare suo figlio a fare il soldato in missione internazionale. Quello che mi colpisce della loro discussione è che rivela come l’idea ricorrente in questo paese sia che , per avere diritto di parlare o semplicemente per poter rivendicare i tuoi diritti, “devi farti il culo”, cioè devi vivere al minimo dei tuoi diritti. Se hai un lavoro normale, pagato come si deve, con contributi cazzi e mazzi, cioè se godi dei tuoi diritti, devi tacere e vergognarti di parlare, perché a te il padrone ti tratta bene. Insomma prendi e scappa e non fiatare. Se ci pensate, è strana come idea di diritto. Ma i due non ci pensano e continuano una misurazione infinita dei tempi, modi, rischi del lavoro di ciascuno dei due. Io faccio l’unica foto della giornata.

La parola d’ordine ora è defluire. Bisogna defluire, defluire dove capita. Insomma non bisogna influire. “Defluire, defluire”. La gente defluisce verso casa, verso cena, verso i televisori accesi sugli speciali. Per defluire pian piano sulla poltrona, poi nel letto fino a defluire nel. No, non nella calma. Nel sonno.
Qui di calma ce n'è ben poca.

referendum del natale del pranzo - edizione 2010

giovedì, dicembre 09, 2010

Carecari, caricare,

è con immenso piacere che godo nell'annunciarvi  l'edizione numero sssèi dell'ormai classicissimo 

Pranzo di Natale di Via Rigattieri - 2010 edition

Un'edizione importante, capitale direi, per la quale - visti i tempi di crisi - abbiamo pensato di lanciare un grande call for participation, in vista di una riabitudine alla partecipazione e alla democrazia referendaria e al fine di sostenere ancora una volta, come solo noi sappiamo fare, il valore sacro della libertà, per mostrarne tutta la possanza ed essere ancora una volta di esempio ai giovani e ai meno giovani.


Il pranzo di natale, si sa, è un'istituzione tipicamente sabatizia, carecari e caricare; e la tradizione vorrebbe dunque che io lo annunciassi per Sabato 18 dicembre a partire dalle ore 13. Ma può forse, ancora oggi, la capitudine autorizzarmi a cotanta affrenza? E se un grande sommovimento popolare imponesse la data della Domenica 19, proprio per spezzare con la tradizione e provare una carica rivoluzionaria che ridesse forza e calore agli animi e ai corpi? Con che ardore potrei io, misero capo, oppormi a una così vitale impellenza? D'altro canto, come potrebbero costoro rifuggere dalla presenza di innumerevoli vips, impossibilitati alla partecipazione scissionistica?

Non è tutto, cariecari. I tempi di crisi coincidono anco con la spezzatura del dirigismo tecnocratico, e con la spartizione dei luoghi della location natalizia. Le offerte sono plurime, come diceva un tale (qualcuno lo avrà pur detto e ne sono certo). E dunque il quesito referendario riguarderà persino il luogo della manifestazione: la comodissima e innovativa via Cerboni perfettamente alla portata tanto degli arrivanti quanto dei partenti, o la più classica piazza sant'Omobono, patrocinata dai peegees? La scelta della location sarà direttamente proporzionale al numero dei partecipanti, che avranno modo di monetizzare nei commenti qui sotto anche la qualità del rispettivo apporto cibario e/o alcoolico.

Alle indicazioni tecniche non mi resta che aggiungere un vivo ringraziamento per le possibilità che tale appuntamento, vero e proprio must della pisanità latente e dichiarata, rappresenta per la città, la provincia e la regione tutta. Si vantano partecipazioni da più di sssèi paesi differenti sparsi per tutti e cinque i cinque continenti. La partecipazione aperta è caldamente consigliata, come sempre. La nostra costanza rappresenta più che una semplice occasione di ludibrio: una vera e propria forma di resistenza allo sfacelo della società. Vi aspettiamo, con l'ammore e il callore che nemmeno a mondello. 

Stay tuned.

anzi, toh!

giovedì, dicembre 02, 2010



L'altroieri ho fatto il frate in una tremenda fiction.


La capa delle comparse è passata e ha guardato il giornale e ha detto: "Porello Monicelli", poi gli ha appiccicato un bacio sulla foto: "Bello de mamma, bravo. Hai fatto bene!".

E' stata la scena più bella della giornata, ma non c'era nessuno a girarla.



Il cinema non è più quello di una volta.