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NRL XI - Stoner

domenica, settembre 28, 2014



Come sempre, se questa fosse una rubrica letteraria seria, bisognerebbe parlare di questo libro in altri termini. (Ad esempio facendo riferimento alla sua storia editoriale di libro scomparso, riapparso, divenuto un caso, letto, riletto e divenuto un cult, oppure ricordando che l'ha letto anche Buffon). Quello che invece mi sembra stupefacente, e raro, è il fatto di essere arrivato a questo libro quasi per caso – e di aver subodorato che altri rigattieri lo avevano letto, ma non mi avevano detto niente. Non stiamo certo parlando del nuovo Dostoevskij. Ma non mi pare nemmeno secondario il fatto che la vita dimessa di William Stoner abbia il potere di vincere tutte le sirene della contemporaneità che fagocitano la tua attenzione e riesca a ridarti il senso di che cos’è l’immersione in un romanzo. La voglia di leggerlo di continuo, anche camminando per strada. Non mi accadeva da tempo, dunque volevo dirvelo, e invitarvi a leggerlo. Volevo dirvi anche, per non tenere un discorso fino in fondo, che il libro è tradotto (molto bene) da Stefano Tummolini, che conoscevo come regista cinematografico; e che a pagina 257 c’è un errore bizzarro: i curatori dell’antologia Loomis e Willard passano per essere i suoi editori (evidente anglicismo di distrazione). Volevo anche dirvi che per uno di quegli strani casi della vita proprio ieri, prima di finire il libro, ho rivisto Il vangelo secondo Matteo; che ho pensato che non avevo mai fatto caso allo straordinario uso che Pasolini fa di alcune musiche in molte parti del film; che una di queste musiche si chiama Sometimes I Feel Like a Motherless Child (ed è molto famosa); e che proprio questa canzone in qualche modo farebbe da perfetta colonna sonora anche alla lettura di Stoner di John Williams. 

p.s.: se qualcuno si illudeva che questo blog fosse morto, trallallero trallallà.  

NRL X - Il conte di Montecristo (cap. LXXXVIII, "La notte")

venerdì, febbraio 07, 2014



Superata p. 700, i fili del labirintico progetto di Dantès vengono a restringersi sempre di più, fino ad incappare in un nodo imprevisto e terribile - tra i vari possibili esiti della sua vendetta implacabile -, il duello mortale contro il figlio di Fernando.
L'ira viziata, custodita, alimentata da quindici anni arriva a concepire un disegno sovrumano. Dantès si arroga il ruolo di incarnazione della Provvidenza, confliggendo contro un tabù prima di tutto umano: innalzare se stessi al di sopra della dimensione umana, attribuirsi il ruolo di mettere a segno l'imperscrutabile (reale?) volontà divina.
Prima che egli commetta un simile sopruso contro natura, riceve nel suo palazzo l'inattesa visita della signora de Morcerf, cioè di Mercedes: l'amore dalla cui privazione Dantès ha patito un dolore folle (che, per quanto si sforzi l'autore, non si avvicina mai all'intensità con cui viene resa l'altra perdita, quella del padre: l'infamante morte del genitore è vista più come un'aggravante della condotta dei suoi aguzzini; nella donna perduta stava invece la promessa della futura felicità).
In questo capitolo intriso di patetismo il personaggio di Mercedes ruba la scena e anticipa la rivelazione decisiva: pronuncia il nome di Edmondo. E' un nome che anche il lettore aveva dimenticato, tra le scorribande mediterranee, le avventure romane, le mirabilia parigine, smarrito nella ridda di personalità multiple interpretate da Dantès.
A sentire quel nome, il suo vero nome, l'identità leggendaria e paurosa del "conte di Montecristo" perde qualunque consistenza e si riduce a ciò che è nella realtà: la maschera di un fantasma. Ricondotto alla sua identità originaria, Dantès constata l'insufficienza del suo disegno di vendetta e la sua volontà demoniaca s'incrina irreparabilmente. Da questo punto in avanti, grazie all'intervento di Mercedes, il romanzo cessa di essere la storia di una vendetta per assumere i contorni di una storia di salvezza, quella dell'anima di Dantès.

(il romanzo è frutto della letteratura seriale del suo secolo. Prodotto di consumo, molto largo. Eppure ci ha consegnato una serie di accortezze narrative che sono ancora oggi utilissime per chi scrive grandi archi narrativi - in letteratura o per immagini. La critica postmoderna ha condannato senza pietà lo stile e ne ha fatto oggetto di affettuosa presa per il culo - una simpatica anticaglieria da osservare con la sostenuta puzzetta sotto il naso tipica dei postmodernisti: ma un giorno potremo dire che in quella massa di scritti che ci ha avvelenato le bibliografie e i pozzi artesiani degli studi umanistici c'è una quantità pazzesca di corbellerie... Perchè la trama era inverosimile. Sì, certo, è inverosimile. E' un'opera di finzione. Come se ancora oggi dovessimo analizzare in sede critica, e prendere sul serio, le giustificazioni di un re greco che, partito vent'anni prima per una guerra, torna a riprendersi il trono, come se niente fosse, adducendo come scusa per il ritardo dei mostri marini, un popolo di giganti con un occhio solo, una musa che s'è scopazzato per anni, un paio di naufragi inverosimili e una popolazione squisita, guarda davvero gentilissimi, che gli ha allungato del fumo veramente buono, ma così buono che non si ricordava più la strada di casa).

NRL IX – La trama del matrimonio

lunedì, luglio 09, 2012




Aspettavo da parecchio tempo un nuovo romanzo di Eugenides. Ho letto Le vergini suicide e ne sono rimasto letteralmente “perturbato”. Difficile scrivere qualcosa di simile. E infatti poi ha concepito Middlesex che, mi dicono i più fidati amici, pare sia un capolavoro addirittura superiore al primo (lo so, lo so, devo ancora leggerlo, sono un cazzone!). Comunque sia, il genio di Eugenides risiede anche nella sua capacità metamorfica. Non sono libri comparabili. È un’opera che muta, di romanzo in romanzo.
Proprio per questa ragione, forse non è nemmeno un caso se passano così tanti anni fra un suo romanzo e quello successivo.
Ho letto La trama del matrimonio in un fiato. Non me lo sarei mai aspettato, considerata la mole del libro (oltre 400 pagine). Ho leggiucchiato in giro anche delle critiche piuttosto marcate al romanzo, proprio dal punto di vista della “lentezza” argomentativa. Bah, può essere che sia così. Ero partito anch'io molto scettico. E poi ho capito perché. In effetti il romanzo restringe molto il suo campo di potenziali lettori. Si rivolge a una società ristretta di persone colte che possono aver condiviso storie simili. E’ una resa dei conti con il passato, insomma, che pochi iniziati possono comprendere. La messa in scena dei seminari di letteratura è deliziosa ed esilarante insieme: un ritratto feroce dello strutturalismo e della critica letteraria francese (Barthes, Derrida) che invasero i campus statunitensi portandosi dietro i danni che ben conosciamo. E poi inizia una sequenza abituale e avvolgente insieme (almeno per il sottoscritto): l’amore ai tempi delle camere di collegio; la spinta al viaggio che ti porta lontano da tutto e da tutti; le coincidenze sfortunate, che ti inducono al silenzio proprio nel momento in cui dovresti parlare (le occasioni che rimpiangerai per anni, per cui ancora adesso ti mordi le mani); la presa di coscienza che tra l’epoca dello studio e la vita adulta c’è un salto mortale che nessuno ti ha insegnato a fare.

NRL VIII e NRC XVIII - Cosmopolis

mercoledì, maggio 23, 2012

Questa è una nuova rubrica condivisa e in fieri. Sto leggendo Cosmopolis di Don DeLillo, in attesa del nuovo film di Cronenberg in concorso a Cannes e in uscita nelle sale dopodomani, di cui si parla come di un vero capolavoro. (Secondo me, se è vero, tutti quelli che dicono che A Dangerous Method è un capolavoro potranno finalmente liberarsi e dire che sì, in fondo era un film minore di Cronenberg). (Ipotizzo, eh). Insomma questo Cosmopolis, al punto in cui sono (circa metà), è come una lunga carrellata in automobile nella contemporaneità, una contemporaneità continuamente dichiarata come obsoleta, anche se mai guardata in faccia. Ci si sente precisamente come su un tapis roulant, con questo protagonista che guarda il mondo stando fermo e attraverso la mediazione dei suoi schermi, come in 4:44 Last Day on Earth di Abel Ferrara. Una sorta di lungo monologo interiore che potrebbe quasi essere tutto un lungo carrello (laterale, se non fosse chiaro che invece dev'essere frontale), e davvero sono curioso di capire come Cronenberg trasformerà questa storia. Vediamo. Probabilmente aggiorno questo post, tanto va così di moda. Ciao ciao.

NRL VII - Io non ricordo

mercoledì, marzo 14, 2012



Epitaffio per la narrativa “ggiovane” americana


Pompato, recensito, osannato e chi più ne ha più ne metta, Stefan Merril Block sembra il nuovo figliol prodigo della narrativa americana. E io, come un pollo, ci sono cascato. Leggendo il romanzo di Block, mi sono invece imbattuto in un ottimo caso di marketing dell’industria editoriale americana. È curioso, perché ultimamente gli americani, quelli “ggiovani”, che piacciono un sacco, si sono organizzati per bene. Invece di farsi concorrenza fra loro, si spartiscono le tematiche: tu prendi gli omosessuali, io la famiglia, lui il sesso… e Block? L’Alzheimer, o le malattie neurodegenerative in senso più ampio.
Intendiamoci, il romanzo “Io non ricordo” si legge agevolmente, è piacevole, ti commuove quando deve commuoverti, è un tantino noiosetto per farti capire che sei davanti a un intellettuale, mica a un produttore seriale di thriller: insomma c’è tutto. Il problema, però, è proprio questo: ogni pagina, ogni trovata, sembra già “telefonata”; cade a puntino, insomma (troppo). Chissà, magari è uno dei tanti “ggiovani” usciti da una scuola di scrittura creativa (e vallo a trovare, adesso, uno che sappia scrivere in maniera sporca, sghemba, non levigata… li fanno fuori al test di ammissione...).
Ma il vero tarlo che mi sono portato dietro per tutta la lettura del libro è un altro.
È un dettaglio della trama. Una di quelle cose che ti saltano agli occhi e che, se te ne accorgi, ti turbano poi fino alla fine (sennò amen, leggi fino in fondo tranquillo come un pupo).
Si tratta di questo. Al protagonista capita un dramma: sua madre si scopre malata di Alzheimer a esordio precoce. Una malattia terribile e rapidissima. Lei non riesce più a esprimersi, ovvio. Il nostro eroe vorrebbe trovare l’origine familiare della malattia, ricostruire la storia genetica. Ma, poverino, non fa l’unica cosa sensata, che verrebbe in mente a ognuno di noi: chiedere lumi al padre (il quale, manco a dirlo, sta muto a massacrarsi di gin e documentari alla tv). No, il nostro affezionatissimo decide di fare tutto da solo.
Evitando, per esempio, di farsi una semplice domanda: “com’è che si chiama mia madre, di cognome”?
Maffigurati. Lo scimunito si procura – illegalmente – l’elenco di tutti i malati del Texas (che è una strada più breve, ammetterete) e li va a trovare uno alla volta (tipo Safran Foer, ricordate?).
E tu sei lì, in metropolitana, che parli da solo con il libro: “Il cognome… devi cercare il cognome…”. Poi il tizio, non contento, espone i suoi drammi alla più figa della classe: e tu dici “ma non farle ‘ste paranoie, cacciale la lingua in bocca e chiedi a tuo padre il cogn…”.
Poi, lo sciammannato, si riconcilia con il padre alcoolizzato, a p. 270. E tu, a questo punto, non ce la fai più. Il cretino si mette a sproloquiare del destino ineluttabile, dell’atroce mistero che aleggia nella loro casa…“Ma chiedigli il cognome, testa di cazzo!! Il cognome-da-nubile-di-tua-madre!!!”.

Haggard!! Si chiamava Haggard!!…Ma era così difficile, santiddio?!

NRL VI - Sangue di cane

martedì, dicembre 21, 2010



Ho un’istintiva diffidenza verso le storie di donne raccontate da donne. Mica per altro, è che proprio non riesco a comprendere la loro lingua. È come se si parlassero fra loro. Credo che la stessa identica cosa succeda, a parti inverse, per i racconti d’avventura, da Verne a Clive Cussler (sì va bene, lo confesso, ho letto Clive Cussler): molto più maschili che femminili.
Ora, negli ultimi tempi mi sono posto il problema.
Sono una persona politicamente corretta nella vita e nelle opinioni, ma sessista nella lettura?
Così, sfoderando il mio bravo senso di colpa inculcatomi dalle suore immacolatine, ho cominciato a leggere questo primo romanzo di Veronica Tomassini, Sangue di cane.
Ho fatto opera di contrizione.
La lettura ha preso subito una piega inattesa. La consistenza della trama è roba forte: una ragazza siciliana si innamora di un mendicante polacco; alcolizzato cronico per di più. Nasce tra i due un amore assoluto, perfettamente corrisposto. Vissuto al limite; nei parchi pubblici, alla Caritas, nelle comunità di recupero… Raccontato in prima persona, questo inferno melò ti prende alle budella. Con una lingua raffinatissima, sostanzialmente nuova, l’autrice ripercorre le tappe autodistruttive dei due personaggi. A colpirmi è stata poi un’altra cosa: la voce narrante. La protagonista si rivolge esclusivamente al suo perduto amore polacco, ripercorrendo le tappe del loro rapporto impossibile. Il lettore cade giù, in basso, insieme a loro. Con un misto di insofferenza e attrazione per questo dolore immedicabile.

NRL V - Infinite Jest

domenica, settembre 05, 2010

 
Infinite jest


Io volevo dire anche qualcosa sulla querelle di cui ai post precedenti di questo blog, quindi alla fine sto partorendo una cosa strana e sbilenca ma tant'è.


Sgomberiamo subito il campo da equivoci: jest non ha niente a che fare con il gesto. Significa scherzo, burla, presa in giro, battuta, spiritosaggine. Ma questo non è un libro comico.


Premesse:
Materiali utili alla lettura: un blocco per gli appunti; tanta memoria; una certa quantità di tempo libero.

Consigli:
Le note vanno lette tutte. È consigliabile leggere la nota 304 la prima volta che compare l'indicazione “v. nota 304”. Ma potete anche aspettare che compaia il richiamo apposito.
Fate un breve profilo per ogni personaggio e nome che viene fuori, oppure almeno segnatevi a che pagina viene citato, oppure in quali pagine se ne racconta la vita.
Vi serviranno almeno 5 segnalibri: uno fisso sulla cronologia, uno fisso sulla filmografia di James O. Incandenza (nota 24), uno fisso sulle note e uno alla pagina in cui siete. Il quinto per tornare indietro.

Contenziosi: se riuscite a leggere il libro in meno di 30 giorni, potete restituirlo a Einaudi e, in effetti, dovreste farlo, vista la qualità. Ma DFW non ne ha colpa, sia chiaro. Né ne ha colpa il tris Nesi-Villoresi-Giua che l'ha tradotto [applauso]. Ora, Einaudi ha acquistato (?) il libro da Fandango. Ok, non funziona proprio così. È da un pezzo che non si capisce chi è che in Italia pubblica DFW. Prima Fandango, poi minimum fax, poi arriva Einaudi e fa un casino della madonna.
Permettetemi di fare polemica e rinvangare il recente passato: Einaudi ci lucra. E non me ne frega niente del fatto che “no, sì appartiene alla Mondadori ma no, alla fine è autonoma”. Niente. Einaudi lucra di brutto. Perché non puoi acquistare il libro da Fandango e pubblicarlo tale e quale. Anzi peggio. Il refuso, signora mia, il refuso. Io non ce l'ho col refuso, poverino, e neppure con Fandango. Però, caro Editore

a) se me lo ripubblichi – e mi fai anche 9 ristampe in 5 anni – sarebbe carino tu lo dessi a uno straccio di correttore di bozze. Un errore – mediamente – ogni 3 pagine è troppo. Un numero di nota sbagliato (e quale!) è insopportabile. Anzi è proprio da stronzi.
b) lo so, il lavoro costa. Anche il libro: 27 euro. Tesoro, Luigi, sono milletrecento pagine. Che fa, magari me lo rileghi? Te lo pago anche 29, tranquillo. Ma cazzo, incollato no... è da stronzi.
c) lo so, la carta costa. Ma Luigi, tesoro, sono milletrecento pagine. Francamente, risparmiare 120 pagine stampando le note in corpo 10 e le sotto-note in corpo 8 – costringendomi all'uso della lente d'ingrandimento – è al limite dell'accordo sottobanco con i medici oculisti e gli ottici. Insomma, se me ne stampavi millequattrocento e mi correggevi gli errori, te lo pagavo anche 30 euro. Fatto 27... faccio anche 30. Tanto, mica lo fotocopio. E poi ci fai una barca di soldi lo stesso. Infatti Fandango lo vendeva per meno di 25 euro. Che stronzata.


Il succo è che Fandango ha fatto una grande operazione culturale perché, signore e signori, siamo di fronte a una delle Cose Più Belle Mai Scritte. La partita di Eschaton a pagina trecento e rotti è, senza alcun ragionevole dubbio, La Cosa Più Bella Mai Scritta.

In breve:
L'azione si svolge prevalentemente nell'Anno del Pannolone per Adulti Depend, o APAD. Gran parte dei fatti narrati hanno luogo nel novembre APAD, anche se scene rilevanti si svolgono tra il 30 aprile e il 1 maggio APAD.
In sintesi, il libro narra di come gli AFR, un gruppo di spietati assassini su sedia a rotelle (v. nota 304) del Québec attenta all'Organizzazione delle Nazioni dell'America del Nord (Onan) cercando di far circolare un film clandestino che stermini gli statunitensi. Il film è, ovviamente, Infinite Jest.
Il finale del libro è scritto a pagina 20, ma non si nota ed è, invero, assai discreto. La cosa può essere intuita, in effetti, perché i fatti delle prime pagine si svolgono nell'Anno di Glad [no, non l'anno dei felici, proprio l'anno del deodorante per interni Glad, quello di un soffio di Glad], che corre dopo l'APAD.


Giusto per fare capire al Capo quanto è importante questo libro, diciamo che è in grado di sciogliere il suo personalissimo nodo gordiano sull'ironia, dal momento che restituisce a questa figura retorica tutto quello che la risata le ha scippato. [Capo, qui mi linki il post sulla tua lettera a Repubblica, grazie]. È altresì delittuoso che tutti 'sti qui che si riempiono la bocca di cinema e filosofia non l'abbiano letto.
Fondamentalmente il testo si caratterizza per una serie di cose scritte troppo divinamente e cortesemente giustapposte, con intuizioni che esibiscono genialità in vario grado (dalla banale ovvietà alla compulsione fino all'estasi) e modi scribendi rather impressive, da tuttotondi psicologici dostoevskiani a scimmie tondelliane (che non sai se è stato il Nesi o Wallace a metterci Tondelli) a giocatori di rugby che si innamorano di agenti segreti en travesti manco fosse il primo Austin Powers (per una lettura queer di Austin Powers si veda Judith Halberstam, In a Queer Time and Place, cap. 6, pp. 125-151, New York University Press, New York 2005). Il tutto mentre DFW fa un'articolata disamina delle dipendenze da sostanze e visioni e martella il lettore con l'idea ossessiva e sua personale e complicata fissazione che il cliché e l'ovvio esprimono, mediante lavorìo da tortura della goccia, una grande e terribile verità (cfr. Questa è l'acqua, del Nostro, 2005) assediata da cose che vi dovrebbero fare sbellicare dalle risate ma che in realtà siccome DFW dimostra che questa sua idea in fondo può essere vera allora non vi fanno ridere proprio per niente perché annichiliti da cotanta grandiosità e terribilità.


Inoltre:
Dopo questo libro, anche le forme più alte di fantascienza sono da considerarsi completamente superate sotto ogni punto di vista (fra l'altro la parte sulle dipendenza sembra la riscrittura di Un oscuro scrutare, mentre le “cartucce” al posto dei DVD o del Blu-ray risultano decisamente steampunk).
Da qualche parte esiste una linea che collega direttamente il minimalismo di Carver con il massimalismo radicale e metodico di DFW. Ma questo è solo un sospetto e la mia tariffa come investigatore prevede una diaria di 100 euro.
Oltre ad aiutare e incrementare le competenze linguistiche, il testo è una grande palestra di logica e memoria. E vi fa sudare meno sangue e sentire meno scemi che un Calasso.
Prende sia di pancia che di testa. Anche quando avete i canali empatici occlusi come me. E li stura anche un po', vi dirò.

 cc si-culo

(quest'ultima immagine è un'aggiunta di molto posteriore - dicembre 2011 -, ed è Fritz Lang dal set di Metropolis). 

NRL IV - Yeti

venerdì, giugno 11, 2010



Ho letto da qualche parte - forse su anobii - che finalmente si inizia a parlare della generazione nata negli anni '80, la nostra, quella che appunto non è che ci sia stato gran motivo di parlarne finora. Mi sa che Paolo Nori nel suo ultimo romanzo fa un'analisi delle ragioni per cui le generazioni sono famose o hanno un senso, ma credo anche che si fermi alla sua, quella degli anni '60. E allora se già quella è impietosa figuriamoci la nostra: perchè loro sono cresciuti nei famigerati anni '80, e noi che ci siamo nati, che cosa siamo?

Questo fumetto di Alessandro Tota racconta un po' come siamo, per lo meno come è gente come me o vicina a me, e cioè quella generazione che si ritrova spesso lontana dal posto in cui è nata ma senza una ragione particolare, non perchè ce ne fosse una vera necessità, così, spesso per avere più chance. Si dice che siamo una generazione di emigranti di lusso. Beh, sì, finché uno sceglie di partire (e la maggiorparte sceglie di partire), un po' meno quando poi non scegli di dover rimanere fuori perchè da noi non c'è che fare.

La nostra generazione di emigranti di lusso si inventa un po' cosa fare, cazzeggia, vivacchia (anche bene, per carità), gira, non si ferma, non ci pensa, poi si vedrà. Mica c'è la pressione di quelli che cercavano qualunque lavoro perché dovevano alimentare la famiglia. Noi siamo cool, la famiglia non ce la facciamo, non ci pensiamo, ci troviamo un lavoro temporaneo che tanto non è che abbiamo tante pretese e viviamo anche con abbastanza poco (di lusso sì ma insomma con criterio), abbiamo le crisi, prima crisi, seconda crisi, sono in crisi, oddio che faccio, boh, cambio città. 

Che sì, per carità, è meglio degli emigranti delle valigie di cartone, ci mancherebbe altro, fai cose vedi gente (noi Moretti lo sappiamo a memoria), però un po' ogni tanto fai 2+2 e ti senti un po' sperso, e non ci pensi: andiamo avanti! E io non la cambierei mai l'emigrazione di lusso con l'emigrazione di poveracci, ma mai, e infatti che palle quelli che si lamentano (e infatti noi ci abbiamo le crisi psicologiche mica quelle di appetito; però alla fine dai, mica le crisi psicologiche sono tanto meglio), però effettivamente se ci pensi un attimo - al di là dell'ottimismo che rivolgi alla tua vita, alle scelte che hai fatto, a come e dove vuoi vivere al di là di qualunque modello prestabilito (magari fosse contro, i nostri contro sono sempre molto blandi) - il rischio è un po' quello di svegliarsi tra qualche tempo e dire: e mò? e mò sò cazzi, per molti.
 
Mica per tutti, ci mancherebbe. Per noi no (ottimismo rivolto alla propria vita: sempre! è la nostra forza). Però non è manco detto. Ma alla fine, nonostante tutto, quanto ci piace sguazzare nel precariato di lusso?

NRL III - Caino

venerdì, giugno 04, 2010



Oh, non c’è mica nulla di male, ci mancherebbe, ma l’ultimo libro di Saramago è proprio brutto. Anche se le nonne solitamente dicono che se non si può dire nulla di buono su qualcuno è meglio non dire niente, io di cose buone da dire su Saramago ne ho un sacco, però su quest’ultimo libro, per quanto mi impegni, no.
Sembra come quando certi autori, passata una certa età (e mica gliene vogliamo fare una colpa, anzi, è un’attenuante, ma Saramago ormai cià novantanni), cominciano ad andare in automatico, senza ispirazione, ma con un vago residuo dell’idea di come scrivevano prima, quando l’ispirazione era feroce. E così escono delle involontarie (e involontariamente comiche) autoparodie (se venisse fuori che Caino l’ha scritto l’arcivescovo di Lisbona per screditare Saramago non mi stupirei).

Comunque non è un morbo che ha attanagliato la sola mente del Nobel portoghese, e anzi, una marea di grandi sono incorsi nello stesso tranello. Tre esempi, dalla mia top ten.
-       Non è credibile, e qualsiasi lettore alfabetizzato lo confermerebbe, pensare che il Borges di Finzioni sia lo stesso Borges del Libro di Sabbia. È come se quest’ultimo (ammesso e non concesso che non si tratti di un caso di omonimia) fosse stato scritto da uno che si chiede a ogni riga “e qui cosa scriverebbe, Borges?”.
-       Vasco. Come Deng Xiaoping e Fidel Castro, una volta morti, furono sostituiti da statue di cera per questioni politiche, e come Giovanni Paolo II fu sostituito da un robottino mal funzionante dopo essere stato assassinato in un attentato, anche Vasco dà l’impressione di aver subito un trattamento simile, il che spiega come si possa essere passati dal Vasco che traduceva coraggiosamente “This party is over” con “Gli spari sopra” al Vasco che traduce non meno coraggiosamente “When I’m not around” con “Na na nà”.
-       San Giovanni è un altro caso simile. La sua celebrata opera prima, il Vangelo, è giustamente osannata come masterpiece: erudita e tesa, classicheggiante e lirica, un vero capolavoro nel genere della biografia immaginaria. Preso poi da una megalomania alla Vasco, si mise a vomitarci addosso lingue infuocate in technicolor, cavalieri volanti e teste d’agnello, in un’opera minore intitolata Apocalisse, e che niente ha a che vedere con la grandezza della precedente.
(e qui mi devo impegnare, perché me lo sono imposto: non devo scrivere che l’apocalisse è kitsch, non devo, e non perché non lo sia, ma perché, ormai, dire che qualcosa è kitsch è kitschissimo).

Detto questo, mica ce la prendiamo con loro. È chiaro che restano tutti dei grandi. Io ci sono certi cd di San Giovanni che non smetto mai di ascoltarli. Ma poi se una cosa è brutta, è brutta, e va detto. E anche se a saramago gli dobbiamo alcuni dei nostri godimenti letterari più intensi, e anche se saramago se la prende con dio, che a noi poveri di spirito ci piace sempre, e anche se l’abbiamo comprato col trenta percento di sconto, quindi formalmente si meritava di essere il trenta percento meno bello, anche se tutte queste cose, bisogna dirglielo, a saramago, che se vede che un libro non gli è venuto bene, o ci rimette mano (certo, lo capiamo, che il tempo stringe, che vuole pubblicare tutto il prima possibile) o lo lascia perdere, che tanto lui resta mitico uguale.

NRL II - La caccia al tesoro

lunedì, maggio 31, 2010


Provo un piacere molto particolare nel leggere i romanzi di Camilleri, dovuto in gran parte al riscontro con le riduzioni televisive in cui Luca Zingaretti interpreta il commissario Montalbano. Io leggo Montalbano pensando a Zingaretti (checché ne voglia Camilleri medesimo). E leggo solo Montalbano, non mi interessano i romanzi storici di Camilleri. 

Ora: da qualche tempo a questa parte guardare le riduzioni televisive di Montalbano mi fa incazzare. Perché se i primi Montalbano televisivi erano appassionanti, ben girati, ben recitati e così via, gli ultimi (sarà cambiato il regista; la produzione investirà meno; la riduzione sarà meno accurata: non lo so) mi sembrano molto inferiori rispetto ai romanzi. Perdono tempo. Ci sono minuti e minuti completamente superflui. Per non dire della progressiva francofranchizzazione di Catarella che perde di genuinità per diventare macchietta di se stesso. E tanti piccoli altri problemucci.

I Montalbano di Camilleri mi riportano ai tempi in cui leggevo Topolino; li leggo con la stessa serenità, e penso che siano alta letteratura di consumo. Senza pretese intellettualistiche, senza vette giallistiche che trovo in altri scrittori, sono dei bei lavori, accurati, piacevoli. Topolino. Il problema è se Topolino tende a diventare Topo Gigio.

In quest'ultimo romanzo, che tutto sommato non è male, ho trovato diverse parti deboli. Al di là di quelle che anche Camilleri si sarà stancato di scrivere (quelle ripetizioni certo necessarie a una saga, che gli appassionati conoscono benissimo ma che l'autore deve ripetere perché magari uno comincia da questo romanzo e deve potersi ritrovare anche negli altri, tipo chi è e che rapporto ha Salvo con Livia, che Mimì è un fimminaro, che Catarella è Catarella, e così via), mi pare che ci siano minuti e minuti completamente superflui, come nelle ultime riduzioni televisive. Si capisce la facilità di scrittura di Camilleri: ma non deve gigioneggiare troppo, altrimenti ci fa incazzare come in tv, o mi sbaglio?

Il risvolto di copertina è affidato, come sempre, a Salvatore Silvano Nigro. Il quale è studioso competente ed erudito e non si esime dal mostrarlo. Fa quasi paura, fa. Nelle poche righe di presentazione del romanzo cita nientepopòdimenoché, nell'ordine: Gadda, Hannibal Lecter (sì, The Cannibal), Brancati, Kokoschka, Gogol, Landolfi, Hans Bellmer, Cindy Sherman. Ora ci mancherebbe solo che io vi rovini il romanzo, che è giallo e tale deve rimanere; però mi sembra che manchi un nome fondamentale, che sarei curioso di incontrare Camilleri per chiedergli se è un caso o se invece è proprio fonte di ispirazione diretta. Mi riferisco ovviamente a Dexter Morgan: il perchè però non ve lo posso spiegare, ché sarebbe veramente troppo.

Ah: c'è pure Ingrid, per gli appassionati. E odora sempre di albicocca.

NRL I - Grande romanzo europeo

venerdì, maggio 21, 2010


Reisender. Commesso viaggiatore, no? Gregor Samsa war Reisender, mi ricordo. Uno potrebbe pensare che è un accostamento esagerato, in realtà no, per diverse ragioni. Le lingue straniere. Gli animali. I viaggi, certo (che Samsa non fa però). La stranezza di un mestiere - un mestiere che diventa il centro di un'epopea, che per contratto si svolgerà in Europa. Cos'è l'Europa?

Il romanzo di questa prima puntata di NRL è l'ispiratore della rubrica stessa, mentre lo leggevo pensavo continuamente a diverse cose che mi facevano puntare a una rubrica agile, snella, leggera. Il che va anche bene, ma il romanzo di Peeters non è solo questo. E la sua bellezza ne risulta ancora più accresciuta, forse.

36 capitòli, 36 capitàli, dunque. Così va letto: perché altrimenti potrebbe sembrare una trovata. Una forzatura stilistica. Come farà? Farà, farà: Peeters, questo belga che scrive in neerlandese (?), prende il protagonista di Futurama (è chiaro, è lui), lo chiama Robin per non pagare i diritti d'autore, gli fa fare un lavoro assurdo (che uno pensa: ma può esserci lavoro meno interessante di cui raccontare la storia? No, sulla carta no. Ma la carta è geografica, ed è quella dell'Europa...), e lo fa viaggiare. A volte sul serio, a volte da fermo. 

Non si capisce bene per quale motivo dovremmo interessarci ai viaggi di Robin. Intendo: non sono un pretesto, un cammino verso l'incontro con la Storia con la S maiuscola, che avviene senza smottamenti, in maniera diretta e travolgente, e che ai più marxistici di voi sembrerà il vero fulcro d'interesse del romanzo. Non si capisce eppure non riusciamo a staccare gli occhi già dalle prime pagine che siamo a metà del libro. Certo: qualche capitòlo è più riuscito di altri, dirà qualcuno (si sente aria di seduzione in Parigi; passione, in Riga; intrigo, in Varsavia), ma nessuno sembra fuori posto, da ognuno ti aspetti qualcosa che non si riduca a cartolina. A me sembra che ci riesca molto bene.

E oltre Robin, c'è Theo, l'altro grande protagonista. Theo che ha il volto di Armin Mueller-Stahl, è chiaro, ed è la voce su cui l'Europa può costruirsi, il legame costante con la Storia da cui l'economia non può separarsi. Il baritono di questo romanzo, insomma.

E le donne. Le donne europee, che sono le più belle del mondo, insieme alle americane, le asiatiche e le africane. E pure le oceaniche, và.

Devo concludere? Ma questa è una rubrica di recensioni alternative, mica c'è bisogno.

NRL O - una premessa

martedì, maggio 18, 2010

volevo inaugurare una nuova rubrica letteraria per questo blog.
nella mia mente c'è già un nome mitico: Nuova Rubrica Letteraria (NRL).
l'idea è che uno legge un libro e ne parla qui, secondo criteri che non potrebbero essere accettati da nessun'altra parte.
il titolo di ogni post dovrà seguire una numerazione crescente (per facilitare il lavoro di archivio, in futuro).
per cui il primo post si chiamerà: NRL I - e magari il titolo del libro, se uno vuole.
mi sembra giusto che questo si chiami NRL  O - una premessa.
forse rimarrà una promessa.
ma anche le promesse non rispettate fanno parte della nostra tradizione, quindi...
ognuno adatterà NRL ai suoi gusti, ci mancherebbe, ma io ho in mente per quel che mi riguarda (e per ora) di lavorare per analogie.
analogie private, inutili, incomprensibili.
e che però dicono più di tante definizioni e parole ricercate, almeno a una o due persone nel mondo.
una dimensione privatissima del resoconto letterario: ecco la sfida di NRL.
NRL: prossimamente, su questi schermi.

Stay tuned.

la doppia seduzione di Francesco Orlando

mercoledì, marzo 17, 2010


Questo romanzo, per alcuni di noi, era un mito. Ho sognato a lungo che Orlando mi invitasse a casa sua per leggerlo ad alta voce tutto d'un fiato, una giornata intera, com'era solito fare con pochi eletti. Non è mai successo. Non escluderei che sia successo con qualcuno di noi, sarei anzi pronto a giurarci. Ho sognato a lungo del momento in cui, adulto conclamato, avrei scritto una recensione di questo libro, su una rivista, raccontandone la storia nascosta. Ma non posso farlo: Orlando non ha rispettato i patti che riguardavano la pubblicazione del suo romanzo - diceva che lo avrebbe fatto solo post mortem -, e io non sono dunque un adulto conclamato. La pubblicazione del romanzo sarebbe dovuta avvenire, secondo i miei calcoli, non prima del 2034. 24 anni di anticipo mi trovano un po' impreparato. Ne parlo qui, mi sembra già assai e persino troppo pubblico. So che a molti questa cosa della lettura ad alta voce del romanzo sembrava ridicola (e oltremodo narcisistica, è evidente). So che le attenzioni di Orlando nei confronti di pochi studenti sono oggetto di ironia da parte di molti. Ciononostante, per diverso tempo, io non desideravo altro. I corsi di Francesco Orlando, chi li ha seguiti lo sa, non erano comuni. Nulla di paragonabile in sei anni di studio all'Università di Pisa. E questo romanzo, questo romanzo segreto della cui esistenza si vociferava, di cui talvolta si parlava in classe, esisteva e non esisteva: e io non volevo altro che leggerlo. Sin dal primo anno di Università, quando G. mi parlava di questo professore, palermitano, straordinario. Lo avevo incrociato una volta: c'era una conferenza di Sanguineti-figlio su Dante, e lui lo aveva cacciato, dall'aula di palazzo Quaratesi, perché doveva fare lezione - mica poteva cominciare con 5 minuti di ritardo, come li avrebbe recuperati? Da allora cominciammo a parlarne con G., da allora mi interessai a questa storia, recuperando gradualmente lacune - Il gattopardo -, leggendo gli scritti del curtigghio che mi rendevano ancora più affascinante questa figura - Ricordo di Lampedusa -, e così via. Solo due anni dopo avrei seguito il suo corso su "L'uomo e l'opera". Ci sarà un motivo se tra tutti quelli che ho seguito questo è forse l'unico corso di cui ricordi qualcosa. L'uomo e l'opera: contro Sainte-Beuve, con Proust, da distinguere radicalmente. Guai a fare confusione! Era una delle tre cose da sapere a memoria, insieme al fatto che Sainte-Beuve è un nome formato da 4 sillabe, sa-nt-be-vv-, quindi per favore non venite a dirmi sanbèv perchè non è un santo. La terza riguardava complicatissime regole di applicazione di freud alla letteratura, passo. Mi stupisce allora che l'intervista che Repubblica dedica all'uscita di questo romanzo sia così personale, come se si trattasse di un outing di Francesco Orlando; mi stupisce che Orlando non protesti con veemenza alla domanda: "Fernando vive tragicamente la sua omosessualità. Per lei è un problema altrettanto drammatico?". L'importante, comunque, è che ora sia uscito. E tuttavia c'è una sorpresa. Di questo libro, di cui Einaudi da tempo aveva comprato i diritti, l'interesse consisteva, al di là del romanzo in sé, in questo famoso inedito di Tomasi di Lampedusa nel quale l'autore del Gattopardo si esprimeva favorevolmente sul romanzo giudicandolo persino (cito a memoria da una leggenda consolidata) "migliore del mio Gattopardo". Ora, questo inedito non c'è: e il libro viene presentato di per sé, schitto schitto, senza il famoso "manoscritto del principe" che ha dato il titolo al film di Roberto Andò. Questa è una grande sorpresa per chi conosce la storia che sta dietro alla pubblicazione di questo libro - ne parlavo con Happy, recentemente. C'è la questione delle plurime versioni dello stesso: il giudizio di Lampedusa si riferisce a una stesura ormai inesistente, visto che il romanzo è stato riscritto a più riprese nel corso degli anni. E tuttavia rimane la curiosità, l'interesse nei confronti di un giudizio che, al di là delle costanti e delle varianti (eco orlandiana), riguarda il romanzo nel suo complesso. Tanto più che, ed è l'ora di fare una piccola confessione, questo inedito era stato annesso al romanzo, in una sua versione a stampa di carattere privato, altrettanto rimaneggiata rispetto a quella letta da Lampedusa. L'inedito era annesso ma solo in alcune copie. Non c'era per esempio nella copia di G., che lessi con curiosità mista all'eccitazione di un "classico proibito" (da diversi punti di vista) nel 2002. Orlando lo dichiarava in un'introduzione che non compare in questa versione einaudiana del romanzo: disse che alcune delle copie sarebbero state impreziosite da questo inedito. G. possedeva una copia del romanzo, perché era uno di quelli che era stato invitato a casa di Orlando, anche se negli anni si era allontanato, pur continuando a riconoscere un debito enorme nei suoi confronti. Io che devo riconoscere un debito enorme nei confronti di G. promisi (e scrissi) di non rivelare mai a nessuno di questa piccola infrazione alle regole, per rispetto nei confronti di Orlando - che evidentemente non aveva voluto che leggessi il suo romanzo -, nei confronti di G. - che mi aveva permesso di farlo pregandomi di mantenere il segreto. Ora che il romanzo è pubblico, finalmente, posso liberarmi di questo piccolo segreto, di questo libro sottratto temporaneamente alla libreria di G. col piacere di un bambino che ruba la marmellata. A 8 anni di distanza (8 anni!), dopo averlo riletto, non posso che rallegrarmi della pubblicazione, ed essere curioso delle reazioni ufficiali e ufficiose. Conoscendo la maniacalità di Orlando, immagino quanto ci possa tenere lui, e la nuova vita che questa veste da romanziere deve dargli a 75 anni. Non sono in grado di esprimere un giudizio critico, perché questa storia che tenevo segreta non mi consente una giusta distanza. Non so se sia un capolavoro, probabilmente no. Io devo dire di averlo riletto con grande piacere e col trasporto di un romanzo che ti tiene incollato alle pagine. Ma non so in che misura questo dipenda dal valore in sé del romanzo o dal piccolo mito che gli ho costruito attorno. Ci sarebbero tante altre cose da dire, mi fermo qui. Voi?