Sputacchi

mercoledì, gennaio 25, 2012



Esiste un progetto segreto e dimenticato negli archivi dei Rigattieri. Giace là, sotto le pile di piani di espansione nei paesi dell’Est, offerte pubbliche d’acquisto per società quotate in borsa, strategie di guerrilla marketing contro l’intero ecosistema culturale.
È il progetto, mai del tutto tramontato, di mettere i Rigattieri davanti a un microfono. Un programma alla radio. Su chi? Su di noi, ovvio, perduta gente delle humanities, rinnegati e disoccupati delle belles lettres.
Avevamo pensato, all’epoca, di proporlo a Radio3, l’unica emittente nazionale che sostanzialmente ragiona ancora in perdita: e infatti legge ancora i classici e manda in onda Kurt Weill.
E poi lo stile, soprattutto, ci piaceva un sacco: quel tono mellifluo, da conversare amichevole e riparato dal casino insopportabile del mondo… Insomma, era l’ideale.
Sul programma c’è poco da dire: era una sceneggiatura semplice, ma poteva funzionare. Un giorno, quando il Capo toglierà il segreto di Stato all’archivio rigattierico, potremmo anche pubblicarlo (sempre che freghi a qualcuno…).
Nonostante i casi della vita e gli anni, comunque, io mi sono tenuto ligio al compito di monitorare Radio3, con l’idea fissa di capire a che giorno e a che ora saremmo potuti andare in onda con il nostro mitico programma.
Ebbene, alla fine il programma è ancora sulla carta, mentre io sono diventato un esperto di comparatistica della terza rete.
Se potessi trarre una morale da questa storia, direi questo: a Radio 3 non c’è n’è uno che parli normale.
Ora, non dico la mitica dizione Rai degli anni ’50-’60, quella realizzata collazionando i Promessi Sposi, il Battaglia e la Crusca. No, mi basterebbe una dizione pulita, comprensibile.
C’è chi mastica fagioli. Chi spara le esse triple o quadruple, sibilando come Sir Hiss di Robin Hood. Il meridionale che accentua la cadenza meridionale, il romano quella romana (veneti, piemontesi, lombardi non risultano). Ma perché?
Perché fa fico, quando parli di cultura. Ognuno, per distinguersi, c’ha il suo difetto.
Per dire, una mattina quello di “Radio 3 Mondo” scatarrava tranquillamente al microfono: tanto erano le 7 del mattino e sintonizzati c’eravamo solo io e lui. No ma prego, continui pure…
Quelli che odio violentemente però sono i ganzi del pomeriggio, tipo quelli di "Fahreneit": anche se non hanno l’erre moscia o arrotata, se la inventano.
Sennò non li mandano in onda, pare.
Infine, e non scherzo, ci sono quelli che sputacchiano. Sputacchiano. Maddavero. Io gli darei tanti di quei sganassoni.

Storia di una laurea – cap. II (… telefona il Pezzo da Novanta)

venerdì, gennaio 20, 2012



Milano, pomeriggio di sole, fine ottobre. La disperazione porta a inventarsi strade alternative.
E quindi, euforico e disperato per la disavventura del piano di studi, concordo un incontro carbonaro con la mia prof., donna di passioni e intelligenza da vendere. Le racconto la disavventura, che lei opportunamente sintetizza così: “Ma quelli della segreteria non capiscono un cxxxo (testuale, ndA)! Mandi una mail a XX (il Pezzo da Novanta, d’ora in poi PN, ndA) e mi metta in copia. Ci pensiamo noi”.
E qui scatta interiormente la sensazione di chi viene miracolato quando è toccato dal contro-potere: le tue preoccupazioni si sciolgono, la tua vita trasla, magicamente, nelle mani delle persone giuste.
Ovvero, per riassumere, tu sei in regola, un uomo probo, ma finisci ingiustamente nella rete di Grigi Burocrati senza scrupoli. Per tirarti fuori dall’abisso, però, non ti servono i documenti, le carte, le domande regolari… No, serve che “ci pensino loro”. Se la burocrazia è un tiranno cieco, serve un’autorità più grande per evitare di restare stritolato dal meccanismo.
Dunque, entrato nel loop del contro-potere accademico (ma sarà poi ‘contro’ davvero? Forse è soltanto l'unico…), preparo una lettera strappalacrime per il PN (tengo famiglia, sono un ragazzo padre, devo ancora piazzare tutti i Rigattieri, etc.).
Allego tutti i documenti e invio.
Nel pomeriggio, magicamente, il PN chiama sul mio cellulare (ma vi rendete conto??!!).
“Senta, mr. Happy, ho letto la sua mail. Ma, mi scusi, dalla segreteria non si sono accorti che ci sono state modifiche al piano di studi?”.
Ecco, adesso le lacrime bussano copiose alle mie palpebre: “Professore, eccoci, proprio qua la volevo: sono quindici giorni che cerco di spiegarglielo”.
PN risponde, gagliardo: “Ho capito, va bene. Senta, mi mandi tutta la documentazione (già fatto, ma pazienza, ndA) e porterò in consiglio il suo caso”.
Mi spreco in salamelecchi, manco avessero nominato Marcello Cofino direttore editoriale di Adelphi dando un calcio in culo a Calasso, su mia raccomandazione. Dove siamo arrivati…
Ed effettivamente, il contro-potere lavora bene. È efficiente e da’ risposte in tempi brevi…
Il PN mi richiama, a consiglio appena concluso, le carte sono ancora calde. Il tono è di chi sta trattando con il sindacato. Si sente che siamo alla stretta finale. C’è la fregatura dietro l’angolo, lo so: “Senta, mr. Happy, abbiamo fatto passare quasi tutto (esticazzi, quelli esami io gli ho fatti!, ndA). Solo ci resterebbe fuori un esame… da 5 crediti, di storia dell’arte. Per Lei sarebbe un problema?”.
Mannò, figuriamoci, professore, anzi guardi sto finendo il pacco con le uova, la carne e il caffè buono, quello di Milano, da spedire alla sua Signora...
Fu così che, pur dalla parte della ragione, finii per accogliere con infinito sollievo  l’ultimo, infame, cetriolo della mia ignobile carriera universitaria.
E gli risposi di sì, grato.

Storia di una laurea - Cap. I (Ovvero, di come il vostro aff.mo sia tornato rocambolescamente nelle aule universitarie )

giovedì, gennaio 12, 2012


Ottobre scorso. Il vostro aff.mo decide all’improvviso di dare una svolta alla propria vita. Perché? Sono cose rischiosissime, da non farsi mai così su due piedi. A svoltare, infatti, si rischia spesso un frontale.
Se la ricerca di un lavoro vero (pagato, con un contratto regolare) era un’operazione quasi conclusa, altrettanto si poteva dire per il conseguimento dell’infinito titolo specialistico. Avevo infatti quasi ultimato, si fa per dire, la tesi, quando un bel venerdì pomeriggio mi salta in testa di iscrivermi online all’esame di laurea. Così, dico, mi pongo un confine temporale e psicologico. Quando mai.
Rapido come il morso di un crotalo, arriva il colpo di scena che non ti aspetti (ovvero, il cetriolo nello stoppino, a freddo, cha fa malissimo). Il Grigio Burocrate della Segreteria replica infatti, con la più banale e sciatta nonchalance del mondo:

Lei ha raggiunto i 90 CFU ma, a differenza del piano di studio previsto per il suo corso di laurea/curriculum non ha completato il suo percorso di studio, quindi mi stupisce abbastanza la sua domanda di laurea”.

(Prima notazione: se ho 90 cfu, com’è possibile, razza di cretino, che non abbia ultimato il corso? Seconda notazione: ma di cosa cazzo ti stupisci? È un’iscrizione, una banalissima iscrizione. Perché non ratifichi la richiesta e passi a un’altra pratica? Perché i controlli funzionano solo con me?)

Insomma, il Grigio Burocrate stila un elenco di esami che il vostro aff.mo non avrebbe mai dato. Come se avessi frequentato il master in comunicazione di Mediaset, credendomi invece studente dell’ateneo pisano. Ma che simpatici, questi burocrati pisani.
Quindi, mi dice, il Grigio Burocrate, scriva alla segreteria didattica.
Bene, scriviamo.

E qui, cari signori, incappiamo nella rete implacabile del Grigio Burocrate II, che senza sforzare minimamente non dico uno, ma due neuroni, replica con queste parole:

effettivamente la sua carriera specialistica non va bene, le mancano 5 cfu di storia della lingua italiana II o di linguistica generale e 5 cfu di storia dell'arte medievale o moderna o di archeologia greca o romana. sarebbe anche opportuno che, almeno un esame di lett. italiana III se lo facesse annullare e riverbalizzare come lett. italiana mod. e contemp... saluti”.
(come vedete, nel passo precedente, esami e crediti fioccano come tangenti a una gara d’appalto, ma il colpo di genio si vede nel passaggio funambolico “annullare e riverbalizzare”. Questo è un fenomeno, mi dico, conosce pure gli artifizi della riverbalizzazione. La chiusa con “saluti”, poi, è una smaccata quanto raffinata provocazione mirante a far perdere la brocca al vostro aff.mo: prima ti distruggo due anni di attese e speranze, poi ti riverbalizzo le chiappe e infine ti saluto, sobriamente, garbatamente).

E una settimana volò via così, nello scribacchiare petizioni lacrimevoli a Grigi Burocrati che nulla sapevano e nulla intendevano, a leggere risposte su crediti da contabilizzare, sperando d’incappare in un barlume di umana intelligenza, in un’intuizione che andasse oltre la constatazione della normativa vigente (per esempio, vagliare la possibilità che fosse sfuggito un dettaglio decisivo: ovvero, sopravvenute modifiche al piano di studi tra il 2006 e il 2011… ma ci arriveremo, non temete).

L’umore del vostro aff.mo svariava tra lo sconforto e la risatina isterica (“non è vero, non sta succedendo a me, ci dev’essere un errore…”). Avevo quasi deciso di mollare l’impresa e dedicare il resto della mia vita a una lotta randagia e clandestina contro gli impiegati universitari di ogni ordine e grado… quando ad un certo punto… [continua la prossima puntata]

NRC XVIII – Tinker, Tailor, Soldier, Spy

mercoledì, gennaio 04, 2012


Bisognerebbe aprire una rubrica solo per "me, il Capo e le nostre incomprensioni cinematografiche". Esistono dei muri invalicabili, tra lui e il sottoscritto, che riguardano proprio le reazioni di gusto, immediate, di fronte a certi film. Comunque, il Capo ed io non vediamo più tanti film insieme (purtroppo) e in fondo quando si parla di cose viste in parallelo, ma a distanza geografica, non arriviamo mai allo scontro. Che volete, ormai ci sopportiamo.
È il caso del presente film, visto insieme a Venezia.
Al termine della proiezione, io ero entusiasta, non stavo più nella pelle, volevo persino telefonare a mia madre per raccontarglielo. Il Capo invece mi si avvicina e mi dice: “Adesso me lo spieghi, perché io non ci ho capito un cxxxo…”
Benissimo. Però, questa volta, vorrei davvero spezzare una lancia in favore del Capo. Il film del regista svedese Tomas Alfredson presenta un grado notevole di difficoltà. In primo luogo, vi deve piacere Le Carrè e, in particolare, il suo romanzo più bello e struggente (titolo tradotto in italiano con La talpa). In secondo luogo, vi deve piacere la materia: gli incomprensibili giochi di spie all’epoca della guerra fredda. E, terzo, dovete rassegnarvi e farvi guidare dall’andamento sinuoso della storia, tutta implicita, ellittica, senza riflettere troppo sulle assai numerose tessere del mosaico (che tutte, alla fine, si incastreranno alla perfezione: non c’è una scena di troppo).
E nonostante la mediazione non semplicissima dal romanzo allo schermo, il film non solo riesce a ricostruire filologicamente la complicatissima trama, ma persino a restituire a me, lettore, il piacere tratto a suo tempo dalla pagina scritta (e su come un film possa riprodurre e condensare il piacere di una narrazione scritta bisognerebbe scriverci un saggio… ma lasciamo stare). Le battute, gli interni decadenti e fumosi, addirittura il viso di Smiley/Gary Oldman, tutto corrisponde magnificamente alla pagina scritta. Eppure, e qui sta il bello, potete vedere il film tranquillamente come opera autonoma, così solida è la sua struttura; così unica è l’identità complessiva delle immagini. Il succo della storia, infine, non è per nulla arcano: siamo dinanzi alla resa dei conti, a lungo rimandata, sopita, per un inganno patito nel corso di una vita intera.