ultimi giorni

domenica, marzo 27, 2011

qualcuno ha scritto su facebook

Io voglio vivere, godere la vita: come se ogni giorno fosse l'ultimo. Non sarebbe bello? Una vita di ultimi giorni (Elizabeth Taylor, dal film: L'ultima volta che vidi Parigi). 

il problema è che io penso che l'ultimo giorno sarei stanco, e non farei una mazza.

Viva il nostro capo, il primo vero dottore, il dottore addottorato

mercoledì, marzo 16, 2011

Ed il primo è andato. Adesso è ufficiale, niente più limbo. Mentre stamane affogavo tra i lavoratori in mobilità che affollavano l'ufficio impiego di O*, ho ricevuto la notizia. Per il primo è andata, è ufficiale, niente più limbo...

C'è la felicità per il singolo, tanta felicità per il nostro capo... il primo vero dottore di tutti noi. C'è la tristezza di non essere lì con lui, adesso il distacco è più ufficiale. Poi c'è un il rammarico per la categoria. Ma oggi prevale la felicità per il singolo... E anche le facce disorientate dei lavoratori in mobilità mi sembrano meno disperate. E la signora dell'ufficio che mi ha chiesto "ma cosa è un dottorato?" mi pare buffa ma incolpevole. Viva il nostro capo, il primo - si spera - di una buona serie!

Un colloquio a Milano

venerdì, marzo 04, 2011




I Rigattieri sono controcorrente. Rifuggono dalle statistiche, dalle tendenze, dai destini prestabiliti. Il tema, come ricordato qui più volte, non risparmia il mondo del lavoro.
L’ultimo, fulgido esempio è stato fornito naturalmente dal nostro Capo, che si è paracadutato un giorno di febbraio a Milano.
Posso raccontare io come sono andate le cose veramente.
Il Capo si precipitò a Milano per evitare una sciagura che pendeva sulla sua testa: un contratto di lavoro, 18 mesi, a tempo determinato.
(questa sì, una vergogna, che al giorno d’oggi ci siano ancora persone che propongono simili sconcezze ai colloqui di lavoro…).
Per fortuna, il Capo non si è fatto tentare dalle sirene della mesata fissa, come un’Olgettina qualsiasi, ma ha provato con tutte le sue forze a convincere i suoi interlocutori che l’Assunzione non è cosa per noi, che è cosa mortificante, che noi abbiamo ben di meglio da fare, leggere, organizzare, scrivere…

Ma il Capo ha potuto vedere coi suoi occhi anche gli altri mille pericoli che si nascondono nella vita milanese. E si è convinto, una volta di più, che da Milano ci si deve tenere alla larga.
Prendete per esempio il loro regime di mobilità. Ogni giorno un milanese si sveglia e sa che dovrà andare a incastrarsi nel suo piccolo spazio in coda, dentro un’utilitaria, (il viaggio, per il milanese, è un paradosso zenoniano al contrario) e lì attendere serenamente un cancro al polmone.
In proposito, il Capo ha pure constatato, con orrore, che i milanesi guidano peggio dei terroni. Vendicativi, incazzosi, egocentrici, commettono qualunque nefandezza contro il codice della strada. E senza nemmeno avvertire il prossimo con il clacson, come usano civilmente i palermitani
(te la mettono in culo e basta: tu devi morì, in tangenziale, cazzovuoi…).
Il metrò, poi, è un altro luogo singolare. In apparenza è un mezzo di trasporto collettivo, dove la socializzazione sarebbe facilitata. Non è così, almeno a Milano.
In metrò si sta muti, capo chino. In metrò parlano solo i terroni. E dunque, quel mercoledì mattina, parlavamo ad alta voce soltanto io e il Capo (io per solidarietà, il Capo invece noncurante della silenziosa usanza).
L’altro grave pericolo è la figa. Ce n’è in quantità industriali. Troppa, decisamente troppa, per un eterosessuale con la testa sul collo. Per di più, uno è cosciente del fatto che va in giro, tutti i giorni, rassegnato all’idea che non ne beccherà mai una. Un vero supplizio di Tantalo. Chi vorrebbe vivere in una simile città?

Ma per fortuna il sottoscritto ha traghettato il Capo in salvo nell’isola felice di Segrate, dentro il palazzo di vetro con il lago e le carpe grosse come pittbull. Lì, finalmente, siamo venuti in contatto con una realtà più serena, composta.
A contatto diretto col Potere, infatti, il Capo si è trovato a suo agio e ha iniziato a stabilire molteplici relazioni (come fece, a suo tempo, anche l’illustre Cofino). 
Tra le più memorabili, si vuole qui ricordare il “non-colloquio” di lavoro con il direttore di un mensile. Senza volerlo e senza darne la benché minima impressione, il Capo quasi riuscì a procacciarsi un posto. 
“Ma insomma, vuoi scrivere per me?” chiese il direttore. E noi due, in coro: “Mannò, figurati, si fa così, per parlare…”
Noi lavoriamo solo per caso, o per sfiga. 
Il lavoro sta ai Rigattieri come il superenalotto a una pensionata.

Minima moralia. 1

mercoledì, marzo 02, 2011

Minima moralia è la nuova rubrica in cui chi vuole potrà lamentarsi delle storture del mondo e sfogare qui la sua rabbia al fine di evitare di sfogarla su qualcuno nella vita vera incorrendo così in spiacevoli conseguenze. Si tratta dunque di una rubrica profondamente moralistica e conservatrice, perché riproducendo le conseguenze nel mondo vero si riuscirebbe forse a cambiare qualcosa, mentre così siamo sicuri che tutto rimarrà una merda. Però almeno ci saremo tolti qualche frustrazione. Forse.

Allora, Minima Moralia 1.


Io credo che chi scrive un articolo (più o meno scientifico) e cita più di un autore per pagina, ovvero più di 10 nel complesso del suo articolo, debba: 1) essere espulso a vita (sì, da tutto quello di cui fa parte); 2) avere quotidianamente una buona dose di diarrea che gli impedisca di esercitare le più semplici funzioni vitali - un po' come la signorina con il vibratore nella passera di Snake of June; 3) in ultimo, salvo ravvedimenti comunque tardivi e scuse mai sufficienti, e ovviamente al prezzo del ritiro di quella cosa dal mercato mondiale in qualunque forma, debba in ultimo, dicevo, per compensare almeno un minimo il male che ha arrecato al mondo, morì.