Visualizzazione post con etichetta milano. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta milano. Mostra tutti i post

Sentenza all'alba

martedì, ottobre 04, 2011



Alle otto e mezza Milano si sta appena stiracchiando per prepararsi a un altro delirio quotidiano. 
C’è ancora fresco, il caldo arriverà più tardi: per una volta, qui ci sembra di stare al Sud e non vi so dire quanto ce la stiamo godendo, sotto sotto.
Memore di letture kafkiane (Il castello, più che Il processo) ho un timore folle di entrare al Tribunale di Milano, il palazzone fortezza che spacca con la sua mole il profilo del Corso.
Chissà dove mi perderò. Quanto tempo ci metterò.
Quando arrivo, non ci sono giornalisti e polizia ad attendermi (poi mi viene in mente: quelle sono le immagini del Bassotto quando si reca ai suoi processi; quello non sono io…).
Dentro, scopro una cittadella immensa e straordinariamente efficiente: il contrario delle mie lugubri fantasie di tortura burocratico-ospedaliera (avete mai fatto l’accettazione al Policlinico di Monza? No? Beh, quella sì che è un’esperienza che vi consiglio, una volta nella vita).
Tutto scorre via liscio, fra banche, uffici postali, bar, personale gentilissimo che ti indica dove andare e cosa fare.
Sinceramente, ero preparato a piantare lì la tenda, con bivacco e sarmenti, e invece ecco che in un’ora ho sbrigato tutto. Cos’ero andato a fare? Due certificati sulla mia intima relazione con la giustizia
Alla fine, che dire, una vera delusione. 
Al casellario generale, il risultato è una sola parola (“nulla”), sul certificato dei carichi penali pendenti pure (“negativo”). 
Non posso vantare nemmeno un reato minore; una piccola estorsione, un furticello. Sono uscito nella spettacolare mattina milanese come un invisibile passante. 
E mi dicevo: niente, zero, non conto veramente un cazzo in questo Paese. 

Milano, Italia

martedì, maggio 17, 2011



"Boia deh, m'han fatto un baugigi così!"

Un colloquio a Milano

venerdì, marzo 04, 2011




I Rigattieri sono controcorrente. Rifuggono dalle statistiche, dalle tendenze, dai destini prestabiliti. Il tema, come ricordato qui più volte, non risparmia il mondo del lavoro.
L’ultimo, fulgido esempio è stato fornito naturalmente dal nostro Capo, che si è paracadutato un giorno di febbraio a Milano.
Posso raccontare io come sono andate le cose veramente.
Il Capo si precipitò a Milano per evitare una sciagura che pendeva sulla sua testa: un contratto di lavoro, 18 mesi, a tempo determinato.
(questa sì, una vergogna, che al giorno d’oggi ci siano ancora persone che propongono simili sconcezze ai colloqui di lavoro…).
Per fortuna, il Capo non si è fatto tentare dalle sirene della mesata fissa, come un’Olgettina qualsiasi, ma ha provato con tutte le sue forze a convincere i suoi interlocutori che l’Assunzione non è cosa per noi, che è cosa mortificante, che noi abbiamo ben di meglio da fare, leggere, organizzare, scrivere…

Ma il Capo ha potuto vedere coi suoi occhi anche gli altri mille pericoli che si nascondono nella vita milanese. E si è convinto, una volta di più, che da Milano ci si deve tenere alla larga.
Prendete per esempio il loro regime di mobilità. Ogni giorno un milanese si sveglia e sa che dovrà andare a incastrarsi nel suo piccolo spazio in coda, dentro un’utilitaria, (il viaggio, per il milanese, è un paradosso zenoniano al contrario) e lì attendere serenamente un cancro al polmone.
In proposito, il Capo ha pure constatato, con orrore, che i milanesi guidano peggio dei terroni. Vendicativi, incazzosi, egocentrici, commettono qualunque nefandezza contro il codice della strada. E senza nemmeno avvertire il prossimo con il clacson, come usano civilmente i palermitani
(te la mettono in culo e basta: tu devi morì, in tangenziale, cazzovuoi…).
Il metrò, poi, è un altro luogo singolare. In apparenza è un mezzo di trasporto collettivo, dove la socializzazione sarebbe facilitata. Non è così, almeno a Milano.
In metrò si sta muti, capo chino. In metrò parlano solo i terroni. E dunque, quel mercoledì mattina, parlavamo ad alta voce soltanto io e il Capo (io per solidarietà, il Capo invece noncurante della silenziosa usanza).
L’altro grave pericolo è la figa. Ce n’è in quantità industriali. Troppa, decisamente troppa, per un eterosessuale con la testa sul collo. Per di più, uno è cosciente del fatto che va in giro, tutti i giorni, rassegnato all’idea che non ne beccherà mai una. Un vero supplizio di Tantalo. Chi vorrebbe vivere in una simile città?

Ma per fortuna il sottoscritto ha traghettato il Capo in salvo nell’isola felice di Segrate, dentro il palazzo di vetro con il lago e le carpe grosse come pittbull. Lì, finalmente, siamo venuti in contatto con una realtà più serena, composta.
A contatto diretto col Potere, infatti, il Capo si è trovato a suo agio e ha iniziato a stabilire molteplici relazioni (come fece, a suo tempo, anche l’illustre Cofino). 
Tra le più memorabili, si vuole qui ricordare il “non-colloquio” di lavoro con il direttore di un mensile. Senza volerlo e senza darne la benché minima impressione, il Capo quasi riuscì a procacciarsi un posto. 
“Ma insomma, vuoi scrivere per me?” chiese il direttore. E noi due, in coro: “Mannò, figurati, si fa così, per parlare…”
Noi lavoriamo solo per caso, o per sfiga. 
Il lavoro sta ai Rigattieri come il superenalotto a una pensionata.

(r)i gatti ruzzi VIII - Il grado zero (ovvero, la vendetta postuma del Codino)

venerdì, giugno 25, 2010

Da tempo immemore e “sanza sospetto” avevo riversato righe furenti contro la Dottrina Lippi.
Oggi, a catastrofe conclusa, con le macerie che ancora rotolano e fumano, vediamo di illustrarla sulla prima pagina di questa insigne avanguardia della cultura italiana nel mondo.
Occorre una premessa, però.
Si intenda d’ora in avanti nella lettura che la Dottrina Lippi è in realtà un modello matematico estrapolabile dal campo verde e applicabile a ogni ente della società italiana. 
(Ecco, adesso si capisce quanto fa bene vedere Numb3rs, domenica sera, su rai2, ore 21, per tutti voi che vi trastullate coi grand tour europei e trascurate la cultura scientifica.. buzzurri!!).
L’obiettivo primario di Lippi è stato di sostituire la sua persona, il suo nome, la sua “aura” a un bene preziosissimo per un’ex potenza industriale in decadenza: il calcio italiano. 
Il concetto, la scuola che passa con il nome di calcio italiano: catenaccio, difesa a oltranza, buoni mediani, un fenomeno di numero dieci e due buoni attaccanti.
Lungi dall’accontentarsi del suo ruolo primario di direttore d’orchestra, l’uomo che allenava la Juve dei dopati delle telefonate di Moggi (guarda caso vinceva: che strano, vero?) volle farsi categoria suprema di uno sport di squadra.
Ora, come tutti avranno visto dalle partite dell’Argentina e financo dell’Olanda, nel calcio vince chi gioca bene. Di solito, ma non sempre, si affermano coloro che giocano da dio: tipo Barcellona e Real Madrid di qualche anno fa (essì, va bene, ho capito, anche l’Inter di Mou. Ecco. L’ho detto. Ok, basta andiamo oltre). Il buon gioco e il talento.
Ma, come vedete benissimo anche voi, il buon gioco e il talento dipendono soprattutto dai giocatori. Se hai dei fuoriclasse puoi permetterti dei grandi numeri. Sennò, te la cavi con l’organizzazione e la prestazione fisica. Ok. quindi: i giocatori, non l’allenatore. E questa cosa a Lippi non è mai andata giù.
Ricordate Baggio? Per assicurarsi che le vittorie della Juve e dell’Inter non avessero niente a che vedere con il Divin Codino, Lippi lo mise sistematicamente fuori squadra. Se c’è Baggio, se c’è Cassano, poi tutti i titoli dei giornali sono per loro. Impossibile.
La squadra ideale di Lippi prevede dunque l’assenza di talento che possa mettere in ombra la sua personalità. E qui arriviamo al cuore della Dottrina. Con i mondiali 2010 Lippi è riuscito nel capolavoro supremo di mortificare tutti i reparti e tutti gli uomini ricorrendo alla sistematica ricerca della mediocrità. Di tutte le scelte possibili, Lippi ha praticato sistematicamente quella mediocre.
Il risultato è stato il grado zero del calcio italiano. Nessuno c’era riuscito, nemmeno quel pazzo furioso di Arrigo Sacchi. Prova ne è la chiamata in causa del buon Quagliarella, tenuto fuori per due partite e tre quarti per non alzare troppo il livello della squadra (insieme a quel dignitoso professionista di Totò Di Natale). Lippi è stato costretto a chiamarli in campo e a momenti gli andava di nuovo di culo, come nel 2006 con il rigore di Totti al 93’ di Italia-Australia.
Ecco perchè ieri si stava per replicare, con l’ingresso di Quagliarella, ciò che accadde il 23 maggio del 2000. Quella sera, l’Inter giocava contro il Parma di Buffon e doveva vincere per forza per qualificarsi in Cenzion Lig (copyright, Cofino). 
Era una sera di estate anticipata. Me la ricordo benissimo perché è stato uno dei momenti più belli del calcio vissuto sul divano. L’Inter restava, nel primo e nel secondo tempo, inchiodata sull'1-1-. 
Lippi non sapeva più che fare. Come al solito. Senza gioco, senza idee, irrimediabilmente mediocre. Non gli rimase altra scelta.
Furibondo, con la bava fuori dalla bocca, chiamò Baggio dalla panchina. Sapeva infatti ciò che stava per accadere. A venti minuti dalla fine Baggio fece il suo ingresso in campo, già trentenne acciaccato, un po’ brizzolato, festeggiato anche dai tifosi del Parma (succedeva sempre così, con Baggio: tutti facevano festa, anche quelli che stavano per essere puniti dal suo genio). Gli avversari entrarono nel panico. E l’Inter di Cauet vinse tre a uno. Doppietta del Codino. Su punizione, da posizione impossibile; e con un tiro al volo da fuori area. L’Inter si qualificò e Lippi dovette allontanare la stampa e le televisioni che gli stavano chiedendo conto di quel miracolo. 
Ecco, io oggi non voglio leggere i giornali. Mi fa troppo male. No. Io vado su Youtube e mi rivedo quei due gol. 23 maggio di dieci anni fa, quando il calcio era leggenda. 
E sto bene.

La nuova scalata

martedì, gennaio 23, 2007

Dal “Sole 24 ore” di oggi, martedì 23 gennaio 2007.

Titolo: Rossi prepara la nuova Telecom Italia, (di Antonella Olivieri, Finanza e Mercati, a pagina 33):

"A Buora fa capo anche la direzione relazioni esterne, affidata a Concina, sotto la quale stanno l’area comunicazione (Massimiliano Paolucci, promosso condirettore) e l’area pubblicità (Andrea Imperiali, pure promosso condirettore). L’area pubblicità, immagine e arricchimento del brand, assorbe inoltre Progetto Italia, che si occupa di sponsorizzazioni ed eventi, in precedenza governata da Andrea Kerbaker".

Persino la Città ha avvertito il cambiamento: un diluvio si è abbattutto sui pendolari; le macchine incerte davanti ai semafori saltati per la violenza dell’acqua.
Sono bastate appena due settimane. Due settimane e gli eventi hanno già iniziato a prendere una piega nuova, inaspettata. Rossi ha riorganizzato Telecom. E la società in cui è appena entrato a far parte il Vostro Affezionatissimo Emissario è stata smembrata e inglobata nella grande macchina Telecom. Progetto Italia non esiste più. E non è uno scherzo. In questi corridoi che guardano Milano dall’altro si è scatenata una paura incontrollata: le persone schizzano pallide da un ufficio all’altro senza sapere quale sarà il loro destino (apparentemente anche il destino dello Stagista è ora appeso a un filo: e, di nuovo, non è uno scherzo). La gente si domanda che cosa accadrà domani, dopodomani, tra un mese.
C’è solo un piccolo gruppo di persone che in questo momento assapora il gusto della vittoria, che sente l’odore del sangue, che vede la preda sempre più vicina. Ma costoro non hanno ancora mostrato il loro volto. Anche se presto lo faranno. E la più grande compagnia italiana di telecomunicazioni giace al suolo inerme, spoglia, indifesa. Da oggi più nulla sarà come prima. Incertezza, paura, ansia.
Il Kaos regna.
La rivoluzione è cominciata:
Signori, i Rigattieri sono arrivati a Milano.

Alegre, Lo Stagista II