Exit

lunedì, ottobre 31, 2011


Benvenuto al capolinea, caro il mio contrattista a progetto. Così pensavo, riferendomi al (professionalmente parlando) vecchio me stesso, mentre lasciavo la Cattedrale di vetro e acciaio un venerdì sera di metà ottobre. In servizio fino all’ultimo e uscita per ultimo. Quasi dovessi chiudere senza altri testimoni tre anni vissuti intensamente, e pericolosamente. Vissuti un po’ al margine del Potere. Osservato abbastanza vicino da restarne segnato ma non così tanto da esserne coinvolto in prima persona.

È un po’ la condanna/fortuna di chi ha un co.co.pro.: ti fanno lavorare come un mulo, con un sacco di responsabilità che manco un dirigente, ma poi, per fortuna, sei sufficientemente invisibile da non riportare marchi sulla pelle. Un giorno sei qui, domani basta, hai finito. La mia condizione nella Cattedrale era piuttosto anonima, in fondo: il mio indirizzo mail era una parola neutra, seguita da un numero. Se ci fosse stato il mio nome, nella casella mail, voleva dire che esistevo a tutti gli effetti: e questo, diciamocelo, non era consentito.

E restando in materia di edifici ecclesiastici, debbo constatare ironicamente che la mia nuova avventura comincia dalle finestre a feritoia di un Monastero… Ma questa è ancora un’altra storia. Alla prossima.

NRC XVI e NRC XVII - Tomboy & La pelle che abito

mercoledì, ottobre 26, 2011














 Avvertenza: si pregano i rigattonauti di non leggere la seguente recensione senza aver visto il film di Almodòvar. Fatemelo proprio come favore personale. A me lo hanno spoilerato, e adesso non posso più guardare in faccia chi lo ha fatto. Sul serio, non leggete. Oppure scaricatevi prima una versione pirata del film.

Ora, la cosa che volevo dire è piuttosto semplice: Tomboy e La pelle che abito hanno più o meno lo stesso tema (approssimativamente, potremmo dire che trattano di un’ibridazione tra i generi[1]: una bambina che si finge bambino e un uomo che diventa donna). Tutta la differenza sta nel come: Céline Sciamma[2] tratta questo tema attraverso il più leggero dei giochi, dove tutto passa attraverso sguardi dolci, sorrisi infantili e gavettoni al parco; Almodòvar invece mette su un alambiccatissimo sistema di rapimenti, segregazioni, contaminazione di sangue umano con sangue suino, omicidi, suicidi (2 tentati e 2 riusciti, in tutto), ustioni totali con conseguenti mostri, stupri (2, o, a voler essere generosi, 1 e mezzo), macchine tedesche costosissime, oppio, quintali di coltelli, evirazioni, rapinatori travestiti da tigre che vengono chiamati Il Tigro. Per esempio, come in un B movie di fantascienza, a un certo punto Almodòvar tira fuori un dialogo molto brutto sulla «transgenesi» (qualsiasi cosa sia[3]); in tutto Tomboy dubito che si possa trovare una parola con più tre sillabe.

Ma non è solo questione di stile. Il problema più grosso è che Almodòvar risulta anche molto  reazionario, a confronto della Sciamma[4]. Infatti, dove questa mostra una naturale porosità tra i generi, un’indiscernibilità di fatto (e il cervello dello spettatore deve fare a cazzotti con se stesso, per riattivare in continuazione le partizioni maschio/femmina consuete), quello mette su un meccanismo forzato e un po’ macchinoso, per dire che in fondo, nonostante tutto, alla fine il maschio resta maschio, il figlio figlio, la mamma mamma (e giù agnizioni e lacrime come se piovesse)[5].


[1] I numerosi rigattieri genderisti ci spiegheranno meglio nei commenti perché questa definizione è assolutamente inidonea, ma per il momento passi.
[2] E bulliamoci, già che ci siamo: io e il Capo, nel lontano 2007, le avevamo conferito il nostro primo premio al festival di Torino, alla Sciamma.
[3] Eh, amatissimo almodovino, non basta mettere un trans- da qualche parte per fare un capolavoro. (A volte però sì).
[4] Be’, sì, l’altro problema piuttosto rilevante è che la prima metà del film è di una goffaggine che fa quasi tenerezza.
[5] Ne La pelle che abito il tizio che viene rapito a metà del film si trasformerà nella tipa che vedete segregata all'inzio. Ve l’avevo promesso che ci sarebbero stati spoiler.

NRC XV - This must be the place

lunedì, ottobre 17, 2011


This must be the dubbing, continuavo a ripetermi mentre cercavo di capire dove andasse a parare questo Forrest Gump travestito da Emo. Ma non era solo quello, e al cinquecentesimo carrello devo ammettere che cominciavo a spazientirmi. Continuavo a distrarmi dal filo della storia, e non riuscivo a non pensare che se fossi stato presente sul set non avrei resistito alla tentazione di prendere – bonariamente, s’intende –  Sorrentino a bacchettate sul dorso delle mani, imprecandogli contro e dicendogli, per dio, di provare per un attimo a stare fermo con quella macchina da presa. Capisco l’estetica da presentazione da iPhoto, che anche a noi la prima volta che l’abbiamo scoperta anni fa ci sembrava fighissima, ma ora persino noi ci siamo anche un po’ rotti il cazzo. E poi pensavo anche che le musiche non andrebbero usate proprio a muzzo, e che per mettere oggi Iggy Pop in un film la cosa deve avere molto senso, e non essere usata in una scena dentro al cesso (sì, Trainspotting c’è già stato, quasi vent’anni fa). E poi mi interrogavo anche sul senso di alcune scene di passaggio, molto cool per carità, che però erano strane, tipo il pattinatore che cade, il bottiglione di birra, il caffè napoletano e anche i colori sparati, o quella scena della macchina che sembra presa da un film degli anni Settanta (una sola). E infine mi dicevo che tutto sommato meno male che ’sto film non l’ho proprio capito, perché se anche avessi intuito qualcosa a me ’sta storia del nazista che finisce nudo sulla neve mi sa che m’avrebbe proprio fatto incazzare.

Cinemadagascar - Alla scoperta di Claude Le Monsieur

sabato, ottobre 15, 2011


Alcuni grandi autori sono al contempo motivo di stimolo e ragione di cruccio per gli appassionati e gli studiosi di cinema. Claude Le Monsieur, per molte ragioni, ne è il rappresentante per eccellenza. Figlio diretto della linea realista della settima arte, discepolo ideale di Jean Rouch da un lato e Pier Paolo Pasolini dall'altro, è uno dei pochi registi ad essere riuscito a combinare nella sua opera l'unione sempre sognata di documentario di creazione e finzione di realtà. I suoi film sono la rilettura poetica di 40 anni di storia del Madagascar, isola che diventa metafora del mondo intero e pietra di paragone delle evoluzioni della società contemporanea. Naturalmente le opere di Le Monsieur sono difficilissime da trovare, e ciò è dovuto senz'altro a ragioni economiche (il suo è un cinema povero, così povero che non riesce neanche ad avere un commercio e una diffusione in dvd) e politiche (è uno dei pochi veri registi che ha fatto della critica a Hollywood un punto fermo della sua poetica, e dell'anticapitalismo militante un motivo di vanto). Bisogna seguire con grande attenzione le occasioni in cui la sua opera riesce a manifestarsi, sfruttando magari una qualche distrazione del sistema distributivo internazionale. Se in Francia tali occasioni sono comunque state possibili nel corso degli anni, l'Italia è - come sempre - ancora molto indietro. Per questa ragione bisogna essere molto grati a Martino Lo Cascio per aver organizzato il progetto Cinemadagascar, che prevede a Palazzo Steri di Palermo un'esposizione di locandine, foto e oggetti di scena (visitabile fino al 30 ottobre: da non perdere) tratti dalla vasta filmografia di Claude Le Monsieur. Lo Cascio ha avuto modo di intervistare Claude - poco prima della sua scomparsa: ad oggi non si sa che fine abbia fatto il regista malgascio - in un video di 10 minuti in cui il regista parla a ruota libera dei suoi progetti, dei suoi sogni e dei suoi punti di riferimento cinematografici. Dopo aver studiato cinema a Parigi, e concependolo come un'arte che deve continuamente confrontarsi con istanze teoriche prettamente filosofiche, decide di tornare nel suo paese e cominciare a lavorare a partire dal proprio villaggio e con la propria gente, nel tentativo di trasfigurare costantemente il dato nel sognato. Un documentarista visionario, per così dire, che non ha mai smesso di sconfinare nel campo della finzione. Tra i suoi capolavori si ricordano il cortometraggio La monnaie, del 1982, che dopo aver riscosso un grande successo anche in Francia diventa presto un lungometraggio; Maman Clarisse, del 1993, una specie di Mamma Roma in chiave malgascia; Les deux bandes, del 2009, road movie realizzato in tempi miracolosi e con un budget ancora più ridotto del solito; e infine La vie épanouie, del 2011, film sui rapporti di forza e le relazioni di tenerezza che si instaurano tra i gruppi di giocatori di bocce e che, naturalmente, non ha ancora trovato una distribuzione europea. All'interno dell'esposizione Cinemadagascar si possono trovare, oltre ad altri oggetti di scena, anche alcune lettere autografe di Le Monsieur a Pasolini e Jean-Luc Godard. E' opportuno ricordare che, su espressa richiesta di Claude Le Monsieur, il ricavato della vendita dei materiali sarà interamente devoluto a un progetto di sviluppo e cooperazione in Madagascar per l’aiuto di 30 bambini e delle loro famiglie che vivono in condizioni di miseria assoluta in una bidonville di Antsirabe. Non solo un grande autore, ma anche un regista sensibile. 


Biblioteca Regionale Siciliana

lunedì, ottobre 10, 2011

Sono anni che studio la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana. Non "alla", proprio "la", il fenomeno-biblioteca regionale Alberto Bombace. Quella di Corso Vittorio Emanuele a Palermo, vicinissimo alla Cattedrale. (Così abbiamo messo tutte le parole chiave per essere ben piazzati su google). Già qui ne parlavo, e poi è capitato anche ad altri di parlarne su questi schermi. Ora non vorrei scrivere niente di lungo, solo prendere degli appunti per continuare a raccogliere materiale,  che sono sicuro sarà prezioso per il futuro. Perché la biblioteca regionale è un patrimonio dell'umanità, ed è destinata a scomparire, questo è poco ma sicuro. La concezione del lavoro all'interno di quel luogo appartiene a un tempo che non c'è più, e dunque va preservata, ed essa stessa si pensa e si presenta come un luogo di resistenza. Tra i miei documenti qui sul computer ho sempre in bella vista quello intitolato arcaismi, che doveva inaugurare una rubrica sulla biblioteca regionale siciliana fatta di brevi immagini che rendessero anche solo in parte la magica atmosfera di quel luogo. Oggi, ad esempio, mentre prendevo un libro in prestito c'erano sei impiegati dentro l'ufficio prestiti. Una mi faceva il prestito, quella accanto contava scrupolosamente i giorni del calendario, un altro sfogliava meticolosamente l'inserto di un quotidiano mentre altri tre, seduti a un tavolo, facevano una riunione di qualche tipo, riuscendo anche contemporaneamente a leggere  il giornale. E non è da tutti.

In memory

giovedì, ottobre 06, 2011





"He was the real king of pop culture"
New York Times


http://www.nytimes.com/slideshow/2011/10/05/technology/20111006_JOBS_READER.html

Sentenza all'alba

martedì, ottobre 04, 2011



Alle otto e mezza Milano si sta appena stiracchiando per prepararsi a un altro delirio quotidiano. 
C’è ancora fresco, il caldo arriverà più tardi: per una volta, qui ci sembra di stare al Sud e non vi so dire quanto ce la stiamo godendo, sotto sotto.
Memore di letture kafkiane (Il castello, più che Il processo) ho un timore folle di entrare al Tribunale di Milano, il palazzone fortezza che spacca con la sua mole il profilo del Corso.
Chissà dove mi perderò. Quanto tempo ci metterò.
Quando arrivo, non ci sono giornalisti e polizia ad attendermi (poi mi viene in mente: quelle sono le immagini del Bassotto quando si reca ai suoi processi; quello non sono io…).
Dentro, scopro una cittadella immensa e straordinariamente efficiente: il contrario delle mie lugubri fantasie di tortura burocratico-ospedaliera (avete mai fatto l’accettazione al Policlinico di Monza? No? Beh, quella sì che è un’esperienza che vi consiglio, una volta nella vita).
Tutto scorre via liscio, fra banche, uffici postali, bar, personale gentilissimo che ti indica dove andare e cosa fare.
Sinceramente, ero preparato a piantare lì la tenda, con bivacco e sarmenti, e invece ecco che in un’ora ho sbrigato tutto. Cos’ero andato a fare? Due certificati sulla mia intima relazione con la giustizia
Alla fine, che dire, una vera delusione. 
Al casellario generale, il risultato è una sola parola (“nulla”), sul certificato dei carichi penali pendenti pure (“negativo”). 
Non posso vantare nemmeno un reato minore; una piccola estorsione, un furticello. Sono uscito nella spettacolare mattina milanese come un invisibile passante. 
E mi dicevo: niente, zero, non conto veramente un cazzo in questo Paese.