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(r)i gatti ruzzi XV- quello che ricorderò di questi mondiali

mercoledì, luglio 14, 2010

Diciamoci la verità. Questi mondiali ci hanno rotto ancor prima di finire. A me almeno, mi avevano stufato abbastanza. Sarà che non avevo mai seguito un'edizione così assiduamente e che l'ultima volta l'Italia aveva vinto, quindi non c'era storia. Sarà che negli ultimi due giorni ogni volta che vado su youtube, la pagina mi propone in automatico di vedere un video di 45 secondi in cui Casillas bacia la fidanzata mentre lo intervista, e sarà pure che sono così scema da averci cliccato sopra. Sarà che tutte le squadre che via via tifavo dopo l'uscita dell'Italia, hanno perso tutte una dopo l'altra. Sarà che mi sono pure ritrovata a sostenere il calcio marziale dell'Olanda alla fine, senza sapere perché. Per puro spirito di contraddizione, direi. Sarà che non ho retto a tutta la storia del polipo che indovinava le squadre vincitrici. Ma non potevo pescarlo io e vincere il Ruzzino? Mi avrebbe fatto veramente comodo un computer nuovo.
In realtà, tanto per appoggiare indirettamente la teoria del complotto precedentemente avanzata da altri in questa sede, mi sono convinta che gli abbiano piazzato qualche potente esca o magnete per attirarlo sulla bandierina, decisa di volta in volta a tavolino dall'USOPAM.
Insomma, mi dispiace ma non ho più nulla da dire. Non mi va di tessere elogi alla Spagna come hanno fatto tutti i giornali, dicendo che al giorno d'oggi vince soprattutto il gioco di squadra e che bisogna seguire l'esempio della cantera del Barcellona, e curare i giovanissimi talenti nei vivai ecc...ecc...
Non mi va perché 1) non posso convincermi oltre (cioè anche oltre la durata di questo mondiale) che mi interessi davvero una cosa del genere e 2) mi dà fastidio che questa venga presentata come il segno di un qualche progresso dell'umanità che si manifesta attraverso il calcio.  Non mi va di insistere sulla retorica della vittoria che passa dal centrocampo, attraverso la capacità di cooperazione del gruppo, l'intesa, il gioco per la squadra, i passaggi, il mutuo soccorso, il mettercela tutta, e guai a chi cerca la gloria individuale. Secondo me lo sport, un po' di sete di ingiustizia dovrebbe metterla. Cioè, la mette. Nel fare in modo che, se non hai qualcuno da sostenere per evidenti ragioni storiche, geografiche o affettive, tu scelga di tifare un elemento piuttosto che un altro per la sola speranza di vedere ribaltato il sistema generale delle aspettative. Per vedere un po' di miracolo e un po' di predestinazione e godere delle piccole (o grandi) ingiustizie che ci sono dietro i miracoli e dietro le predestinazioni. Per vedere, che ne so, Maradona che stringe il rosario a bordo campo e credere anche tu come lui che la geometria si sconfigga così. Poi, per il risultato, pazienza. La sete di ingiustizia gli insuccessi li tollera abbastanza, perché li mette in conto già da prima. Solo non dimenticherò la faccia di Messi dopo il 4-0 con la Germania, terrea e senza lacrime, con un'espressione di vana colpevolezza disegnata sopra, e la voce del cronista in sottofondo che non si stancava di ripetere "quanto gli mancasse la cattiveria del suo predecessore". Lui ovviamente non ha potuto sentire questo, e tra l'altro presto tornerà a giocare l'equo calcio della adottiva Spagna, un calcio assetato di giustizia. Ma ho pensato a quanto i padri sbaglino, spesso senza saperlo, quando nell'ammirazione impaziente, tra un bacio e un abbraccio, ti chiamano il-loro-Figlio-diletto-nel-quale-si-sono-compiaciuti. Anche in Mila e Shiro, la madre di Mila era la cronista delle partite mi pare, e la guardava destreggiarsi in campo. In segreto.
 (Non c'entra nulla, perché come padre putativo di Messi intendevo ovviamente Maradona e non Salvatore Bagni, ma devo pur rendere onore, ogni tanto, alle vere fonti giapponesi della mia cultura sportiva).
Poi, per citare altre fonti non giapponesi, ci tengo a dire che guardare il gioco della nostra nazionale quest'anno mi faceva costantemente pensare ai romanzi di Jonathan Coe, e non perché fosse avvincente come questi ultimi. Era simile solo ai titoli.  La casa del sonno, La banda dei brocchi. Calzavano entrambi a pennello. 
Ah, alla fine sono arrivata 160° al Ruzzino. Cifra tonda, ma confesso che non l'ho più controllato tanto ultimamente e che non ho capito nulla su come venissero assegnati i punti dopo la fase dei gironi. In maniera strana, in ogni caso.
Ho visto che Enzomma è salito di parecchie posizioni rispetto all'inizio e volevo fargli sapere che per me ha fatto bene, perché le frasi finaliste da stampare sulla Maglia Nera sono parecchio brutte.
Per concludere, vorrei dire in maniera del tutto opinabile che il colore dominante del mondiale è stato l'arancione, tra maglia dell'Arancia Meccanica, Scarpini dei giocatori più gasati, schermata del Ruzzino, e somma dei colori della Spagna. E che la canzone che ho più ascoltato in questo periodo è la seguente e forse la assocerò a tutto questo, tra qualche tempo. Per ora mi fa pensare a quando un giocatore fa cose incredibili sul campo e i commentatori dicono che non è umano ma è "da playstation". Che ancora non so  se è un complimento o no.


(r)i gatti ruzzi IX - psicopost

sabato, giugno 26, 2010

1) Quando ho troppe cose da dire, o mi sembra che quelle poche cose che ho da dire mi si accavallano nel cervello, e il filo rosso che forse le accomuna si assottiglia, o diventa bianco, o diventa trasparente come il filo interdentale, io, che non ho mai scritto una scaletta in vita mia per nessun tema, tesi, o componimento, sento il bisogno di scrivere per punti. E una volta che li ho scritti non mi va di togliere i numeretti.
2) Dunque questa non è una scaletta, perché non rimanda a nessun altro testo che sarà scritto in seguito, né lo prepara.
3) I numeretti servono solo a redimere la libertà e, paradossalmente, ad amplificarla con la loro potenziale infinità.
4) Infatti penso che l’idea di numero sia limitante solo quando utilizzata per la misurazione.
5) Un autore a me molto caro definisce la misurazione così: “L’essenza della misurazione consiste nello stabilire una relazione o corrispondenza biunivoca uno-uno tra la cosa che dev’essere misurata e i numeri.Ogni cosa che può essere posta in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri o con un suo sottoinsieme è misurabile”.
6) Questo signore però, per sua stessa dichiarazione, si propone un compito piuttosto arduo e strano che, detto così come lo sto per dire, a chi ha fatto studi umanistici potrebbe sembrare anche un po’ deprimente.
7) Il compito è: misurare le emozioni.
8) L'autore è: Ignacio Matte Blanco.
9) Comunque, lui non è che sia così accecato dalla hybris da non accorgersi che è un’impresa quasi impossibile. Lo sa, lo sa eccome. Lo sa per definizione che solo le manifestazioni fisiche possono essere messe in corrispondenza con la serie dei numeri.
10) Ma, a un certo punto, si accorge che tutto ciò che è mentale nell’uomo è legato indissolubilmente al fisico, come le immagini visive.
11) Così, chiede a un suo paziente un po' aggressivo di descrivergli la fantasia di "fare a pezzi qualcosa". Questo evidentemente gli racconta cose terribili, tipo che sogna di vivisezionare una cavalletta, o di smontare la macchina del vicino che gli ruba il parcheggio e di rivendere i pezzi allo scasso, o di tagliare la testa in quattro a quello che gli ha fregato la fidanzata, o di castrare il padre padrone ecc...
12)Il caro psicanalista ottiene un’immagine materiale molto simile a un evento, anzi ottiene più immagini materiali. E vorrebbe misurarle. E si potrebbe anche fare, ma quelle sono solo quattro e restano ancora tutte le altre infinite possibili, e insomma il tempo è quello che è
13) E siamo punto e a capo.
14) Guardando la partita della Spagna ieri sera, che ho onorato più mangiando un boccone di jamon serrano che con l'attenzione prestata al gioco, devo dire che ho fatto molta fatica ad appassionarmi. Il problema è stato che avevo promesso al fornitore del suddetto prosciutto che sarei stata solidale con lui come lui era stato con me l'altro ieri, a piazza di Siena, mentre la Capitale assisteva attonita alla tremenda disfatta. Siamo fratelli, sosteniamoci a vicenda boicottando le squadre del Nord Europa, tu hai tifato per me ieri, oggi io tifo per te. Diciamo che questa storia della solidarietà tra nazioni con gli spagnoli non ha retto più di tanto. Per quanto a me sia parso di avercela messa tutta,
15) a cuor non si comanda.
16)E dove andava il cuore? In Cile. E perché mai? Perché a occhio e croce era la squadra meno favorita, che infatti ha perso. (Anche se con onore, anche se ha passato il girone lo stesso e alla fine, siglato l’armistizio, hanno lasciato che gli spagnoli giocassero a passarsi la palla )
17) Non credo che in questo istinto di tifare i cosiddetti perdenti, non importa che maglia abbiano, si celino reali buoni sentimenti. Si cela piuttosto la paura di fallire e il desiderio di vederla esorcizzata, anzitempo, o in seconda battuta, o a ripetizione, da altri. Si tratta di vedere gente che ce la fa nonostante i numeri e il destino, di celebrare la vittoria di (presunti) buoni piccoli piccoli contro l'esercito sempre nutrito delle forze avverse, si tratta di credere in un trasferimento della loro fortuna (o della loro virtù infine premiata) direttamente alla tua persona. Per fare che non si sa, e neanche perché.
18) Una specie di catarsi, insomma. Già, la solita teoria della catarsi. Io però, che ho cambiato facoltà, direi che si tratta piuttosto di una sintesi tra i principali meccanismi difensivi della psiche: scissione, identificazione, proiezione e identificazione proiettiva.
19) Diciamo anche solo l'identificazione proiettiva, seppure io una diagnosi non so ancora farla. Identificazione proiettiva che ti porta, un giorno insospettabile di calma piatta, ad identificare non la tua persona intera (per fortuna), ma un segmento debole del tuo Sé, con undici o ventitré individui coi quali hai in comune solo la terra natìa, proiettando su di essi tutto il tuo desiderio onnipotente di miracoli e di rivalse.
20) Tra le infinite possibili fantasie di riscatto, tu hai scelto proprio quella, e la tua fantasia e il tuo riscatto adesso hanno un nome, una bandiera, dunque un'immagine fisica finita e una situazione spazio-temporale definita entro cui avere luogo. Inoltre, l'oggetto del tuo nuovo investimento emotivo, possiede un dispositivo naturale di misurazione del successo dell'investimento stesso: goal e punti. Entra persino in gioco qualcuno che ti suggerisce un metodo per misurare tutto costantemente, in tempo reale. Quel qualcuno, nella fattispecie, ti ha suggerito di iscriverti al ruzzino, e il ruzzino oltre all'aggiornamento in tempo reale ti promette qualcosa di più.
21) La visione d'insieme. La possibilità di confrontare i valori che hai assegnato alle tue emozioni con la realtà. La possibilità di fare lo stesso con le proiezioni degli altri.
22) Insiemi infiniti contenuti in una sola classifica.
23) L'hai quasi fregato, a Matte Blanco.
24) Ma questo ruzzino ti spara in alto, poi capricciosamente ti fa ridiscendere, poi ti fa riguadagnare qualche posizione e ti fa abituare all'alta quota, finché non ti rispara quasi in vetta e da lì riesci a guardare nitidamente giù, e a vedere quel precipizio che ora si allarga ma che ti aspettava dall'inizio, e lo sapevi. Perché avevi già chiamato le cose col loro nome.
25) Sapevi che era una missione impossibile che l'Italia vincesse i mondiali. Che, né tu né l'Italia, potete campare facendo affidamento sul culo. Sapevi che era impossibile misurare l'emozione. Sapevi pure che lo psicanalista cileno non intendeva misurarla in quel modo.
26) Boia. Ho capito solo ora perché ieri sera tifavo Cile.
27) Potenza dell'inconscio.
28) Beh, mi dispiace non aver parlato di calcio. Ne avevo tutta l'intenzione.
29) Però dico, ti aspettavi veramente che una donna potesse farlo?
30) Davvero non sapevi che tutto si ripete come in un film di serie B?


(r)i gatti ruzzi II - teaser

sabato, giugno 19, 2010

Perché Lippi non ha portato Cassano in Nazionale? Perché Maradona lascia in panchina Milito, sapendo che potrebbe essere il primo e ultimo mondiale che gioca? Perché, anche se non ne ha bisogno, non lo lascia fare l’uomo in più? Come ha fatto la Svizzera a vincere contro la Spagna? E perché, dopo decenni di irrisione, le squadre asiatiche, riescono a mettere i bastoni tra le ruote a quelle sudamericane (e non solo)? Perché –come ha detto Julio Cesar al termine di Brasile-Corea del Nord-, per un buon primo tempo la partita è stata dominata dalla difesa nordcoreana che ha chiuso tutti gli spazi agli avversari, un po’ come in Barcellona-Inter al Camp Nou? Mourinho, ha cambiato davvero il volto al calcio mondiale? E come mai, Messi è poco incisivo con la maglia dell’Argentina? E’ troppo basso o troppo marcato, o tutte e due? Perché Cristiano Ronaldo è stato atterrato senza che nessuno fischiasse il fallo? Non converrà avere attaccanti di basso profilo e poco conosciuti, così nessuno li marca? Da questo punto di vista, Lippi docet? Spiazzeremo gli avversari con la tecnica dell’anonimato? Lippi rules? O Lippi sucks? Guarirà l’ernia del disco di Buffon entro domani? E la sciatica di Pirlo? Queste tegole sono frutto del caso o della Provvidenza? Ci ha pensato la Provvidenza, a imporre una ventata di rinnovamento alla nostra squadra? O ci ha pensato De Rossi, facendosi crescere la barba e segnando il gol del pareggio? Ci si può fidare di un portiere come Marchetti che, secondo le consuete indiscrezioni di Repubblica, ha l’Ave Maria tatuata non mi ricordo dove? Se il Sudafrica avesse come allenatore Clint Eastwood, rischierebbe oggi di uscire ai gironi? O non sarebbe forse rimasto INVITTO? E cosa turbava, in quel poco afoso inizio d’estate del lontano 2010, gli umori di A.I.? E soprattutto, dove si nascondeva? Come mai, tra i bigliettai dei maggiori cinematografi d’essai di Parigi, si era sparso, nel giro di una settimana, un panico simile a quello che colse i cittadini di Königsberg il 12 febbraio 1804, giorno in cui Kant saltò la sua rituale passeggiata pomeridiana? Quel 18 giugno, come alcuni di loro ebbero a convenire dopo un allarmato scambio di telefonate, era davvero già una settimana che il loro beniamino non si recava a vedere un film? Era forse rimpatriato senza preavviso? Era stato rapito da qualcuno? O si era perso nel vuoto senza lasciare traccia? E l’indomani, il Giappone, dopo aver lasciato la settimana precedente con un palmo di naso il Camerun di Eto’o, avrebbe battuto anche l’Olanda di Sneijder? Tutto ciò non sembrava forse possibile, ora che anche l’Algeria aveva messo sotto scacco l’Inghilterra? Si stava davvero avverando, quel flashforward a cartoni animati che li aveva tormentati durante tutto il lungo blackout  della loro infanzia?



1, 2,3… Sigla




Queste ed altre più turpi domande si facevano i bigliettai e i proprietari dei cinema parigini, mentre contavano il magro incasso della settimana appena trascorsa. Senza sapere che le loro mogli, già stanche di fare vita grama appresso alle temute recinzioni di A.I. (che criticava i film proiettati da loro determinando clamorosi cali di pubblico, e ora era sparito persino), avevano trovato una più efficace fonte di reddito nel mondo delle scommesse sportive. E come loro, molte altre donne sparse in altri paesi europei. Sovversiva e precaria era l’aria in quei giorni, appesa a un filo, anzi, a una classifica che, nelle ore centrali del giorno, sembrava ribaltare finalmente i rapporti di potere  tra le nazioni e tra i sessi, oltra a costringere i matematici ad elaborare nuove teorie statistiche della probabilità.

Per rendere un’idea, pubblichiamo qui il bollettino di guerra di quel lontano 18 giugno 2010* :

1. Al primo posto, alla posizione 26° l'azzardata Mission Impossible
2. Al secondo posto, alla posizione 122° la pisanissima Accaso
3. Al terzo posto, alla posizione 355° il furbissimo  IlVolpi
4. Al quarto posto, alla posizione 405° la titubante Tutubo
5. Al quinto posto, alla posizione 436° il collettivo-individuale Viarigattieri
6. Al sesto posto, alla posizione 481° il nicotinico Nazionale senza filtro
7. Al settimo posto, alla posizione 520° il fideistico-irrazionalista Fidati
8. All'ottavo posto, alla posizione 530° il chilometrico Ricordandovianosiequandovincevamoimondiali
9. Al nono posto, alla posizione 560° l'arbitro  Raffioprovinciadimodica 
10. Al decimo posto, alla posizione 774° il giovane Bettongi
11. All'undicesimo posto, alla posizione 858° il radical chic Viarigattieri2
12. Al dodicesimo posto, alla posizione 941° l'esplosiva  Cracabum
13. Al tredicesimo posto, alla posizione 978° l'ostico Fantostico dell'Ocamuccata
14. Al quattordicesimo posto, alla posizione 1092° il quattordicesimo nano Bettolo 
15. Al quindicesimo posto, alla posizione 1451° la maglia nera Enzomma


*classifica valida fino alle 13.30 di oggi, il successivo aggiornamento sarà pubblicato dopo le 22.30 (N.d.A.)

Liebesschlösser auf Hohenzollernbrücke

sabato, aprile 03, 2010



Ho già ricevuto lamentele di gente xenofoba e purista che si oppone all'uso del tedesco. Per questi che odiandomi si staranno chiedendo cosa voglia dire questo titolo, fornisco subito un'indicazione: federico moccia, ponte milvio, lucchetti. Proprio così, anche a Colonia la gente incatena le proprie speranze amorose, o le proprie frustrazioni amorose travestite da speranze, su un ponte.

Ma le scene di ponte milvio, centinaia di lucchetti sui pali, pali della luce che si suicidano gettandosi nel tevere per non poter sopportare più il peso di tutto quell'amore, queste scene solo lontane. Il romanticismo di ponte milvio, la penombra e le luci gialle che illuminano a tratti il viso degli innamorati e si riflettono sul sigillo pronto a immortalarsi per i due... lo scorrere lento del tevere che accompagna i sussurri di lui verso lei - o verso un altro lui - sono solo un sogno da queste parti.

Penso valga la pensa raccontare un paio di differenze, tanto per confermare alcuni vecchi stereotipi che ci piacciono tanto.

In prima istanza il ponte. Qui si tratta di Hohenzollernbrücke. Già il nome fa paura, o no? Si tratta di un ponte ferroviario di ferro, lungo 600 metri, largo 50 e alto come una montagna, con due corridoi laterali per pedoni e ciclisti. Il ponte avrà circa mille binari su cui costantemente sfrecciano sibilanti e puntuali ES, IC, Regionali, SB, UB. Sulle ringhiere arrugginite che dividono il corridoio pedonale dai binari, si appendono i sogni amorosi degli amanti della città.


La seconda differenza è nel fiume. Il Tevere è un fiumotto placido, diciamolo senza paura, un fiumotto italiano che scorre lento, si prende il suo tempo, fa i giri che gli pare nei quartieri più belli e suggestivi della città, si sdraia giustamente e volentieri al sole. È un fiume tranquillo, al massimo accoglie due risorantelli e un circolo canottieri  dove si rema poco e si consuma prosecco e cattiva politica. 

Il Rhein è un fiume tedesco: una corrente mostruosa, chiatte lunghe centro metri che trasportano ferro arruginito e carbone per mezza europa. Navi da crociera che sfidano la corrente e il vento, che nel Rhein si canalizza. Cose da pazzi, il Rhein mi fa paura, largo come un mare e veloce come una frustata.

Ma non c'è da preoccuparsi, le alte ringhiere di Hohenzollernbrücke proteggono lo spettatore e in particolare l'avventore del lucchetto, che così può compiere al sicuro il proprio sacrificio metallico. Peccato che pare di stare un po' in prigione: come piazzare il proprio lucchetto alle sbarre di regina coeli.

 

Potrei andare avanti per ore, ma vorrei soffermarmi solo su un ultimo particolare: i lucchetti. Qui di tratta di lucchetti tecnologici: di acciaio, titanio, con protezione in plastica della serratura, con luce per identificazione notturna, con musichette romantiche incorporate. Se poi uno riesce a superare l'ostilità dei nomi tedeschi sopraincisi - nomi che di solito stridono alle orecchie di noi intaliani - nota la cosa più interessante. Quasu ogni succhetto porta inciso il nome degli amanti. E l'incisione è fatta a regola d'arte, da un professionista, un artigiano specializzato: l'incisore dei lucchetti dell'amore. Si deve essere sviluppata proprio un'industria per questo tipo di incisioni, cose che in italia, con i nostri lucchetti scritti "a uniposca" - esiste ancora?- ci sognamo.
 
Per non andare oltre, una considerazione: quanto costa piazzare un lucchetto dell'amore a questi qui? diciamo 200 euro per un lucchetto teconologico, 100 euro per l'incisione a seconda del numero dei caratteri, mezza giornata per arrampicarsi sul ponte, il rischio di prendersi un malanno e peggio ancora di finire sotto un EC che certo non si fermerà per te... ma ne vale la pena? fosse così difficile, lo farebbero a ponte milvio?

la grande onda

lunedì, novembre 17, 2008



la diaspora

giovedì, settembre 11, 2008

amicofranci













amicobetti


























amicoferi, ciccì











capo.