oggi sosteniamo liberazione, e l'articolo lo leggete là; nei prossimi giorni verrà pubblicato anche qui. Ecco:
di Giovanni Campolo
Politica e ipocrisia. Continua il dibattito nel movimento lgbt
Che fine fanno di giorno i tremila tesserati della sauna gay di Pisa?
di Giovanni Campolo
Il gay è morto! Viva il gay benpensante! Ovvero: quante altre prove ci servono per accorgerci che non siamo più - come non siamo mai stati - un soggetto politico e sociale omogeneo? Dovremmo aver imparato da tempo che l'etichetta "omosessuale" non basta, di per sé, a renderci consapevoli dei rapporti di potere nella società e critici verso di essa. Sappiamo anzi benissimo che l'ansia di normalità funziona come potente macchina di consenso e complicità e che, per di più, essa può generare profitti. Lo sappiamo perché siamo senza dubbio la comunità più autoriflessiva del globo: noi stessi e le nostre stesse pratiche sono il contenuto specifico dei nostri social network, dei siti, dei periodici, dei dibattiti. E in questi luoghi il "gay benpensante" è emerso, ha riconosciuto la propria monogamia, la propria normalità e la propria discrezione, fino a farsi base per le rivendicazioni "politiche" o piattaforma di un Pride - di cui ignora la rivolta natale. Portavoce delle idee dominanti, ha assunto la negatività della propria posizione sessuale, e ambisce a muoversi verso l'alto adeguandosi a ciò che già sta più in alto. Un caso da manuale di falsa coscienza.
Certo, sto semplificando: non dubito che molti gay benpensanti desiderino ciò autenticamente, che questa sia - perché no? - la cifra del loro piacere. Ma sono poi felici? Ecco la mia domanda, giacché i gay benpensanti avranno sempre delle «giustificazioni secondarie che si rafforzano reciprocamente» per rispondere a qualsiasi domanda che inizi con "perché", ma inciampano sul "come stai?".
Ma adesso mi sto prendendo troppo sul serio, è che penso ai quasi tremila tesserati della sauna di Pisa sforzandomi di produrre una spiegazione che mi sembri coerente con la loro totale invisibilità urbana. E' che penso, per riprendere il maledetto San Foucault, che non ci siamo ancora liberati dell'idea che il sesso sia una fatalità, (cribbio, non avevo neppure compiuto un anno all'epoca di quell'intervista!) e abbiamo creato dei luoghi specificamente deputati alla fruizione sessuale, confermando così ogni volta che essa era proibita all'esterno. Vorrei interrogare la storia del movimento gay in Italia, ma le mie poche competenze e il mio scarso fiuto nell'interpretazione dei fatti sociali mi rendono incapace: è davvero possibile che qualcuno abbia piamente creduto che i gay, per il solo fatto di essere gay, non avrebbero ceduto al fascino conservatore del capitale? Fino a che punto il lento spegnersi di una lotta di liberazione sessuale è da attribuirsi alle colpe del movimento e da che punto in poi, invece, consegue da altre vicende?
Voglio sapere come emerge il ventenne che è al contempo feticista raffinato, pervertito navigato e monogamo convinto. Costui non vuole che si sappia in giro: ma la monogamia si vede, il resto no! Rinuncia alla pubblicità, il suo personale non è politico se non nei luoghi deputati alla politica. La sua sessualità è vergognosa in tutti i luoghi che non sono costitutivamente abilitati ad accoglierla. Distribuisce vergogna e oscenità sulla base del contesto, di ciò che è permesso, ma ciò non basta a fargli cogliere l'arbitrarietà del potere che orienta l'ordine di questa distribuzione; al contrario egli lo accetta e lo vive. Il vasto mondo della sessualità polimorfa che il movimento ha liberato - e sulla cui liberazione il capitale fa profitto - gli appare come un safari: un'avventura con tanto di brochure.
Quindi sì: l'aver rinunciato a mettere in discussione la monogamia e l'incapacità di rinegoziare i limiti dell'osceno sono, politicamente e socialmente, la nostra più grave perdita. E non ci siamo neppure accorti di quello che succedeva dietro l'angolo, mentre lo elogiavamo, quando ad esempio dieci anni fa in Francia si discutevano i Cuc (poi Pacs...), Bourdieu li analizzava lucidamente denunciandone la radicale paradossalità: costringere degli individui a sottomettersi alla norma dominante per scampare alla stigmatizzazione, pur ottenendo solo una parte dei diritti che la norma garantisce - per non dire della concessione all'ordine simbolico implicita nel contratto familiare e del riconoscimento della priorità dei vincoli di sangue su quelli di scelta. Hanno rappresentato una perdita perché non abbiamo saputo mettere al servizio di un universalismo della sovversione e della rivolta i vantaggi particolari della nostra posizione e del nostro punto di vista. Ma sono grato al gay benpensante proprio di questo, di essersi addossato lui la violenza della rottura con me, rottura mediante la quale non sono più tenuto, in ragione di un universalismo ipocrita del mondo gay, ad allearmi con lui in quanto presuntamente uguale a me. E' nello spazio di questa rottura che la politica ritrova centralità, oltre le etichette. Perché, se è vero che non esiste un'unica eterosessualità, una battaglia di liberazione della sessualità coinvolge anche tutte le persone non omosessuali interessate. E dunque, smascherata la finta comunanza delle essenze, posso godere della comunanza di progetto e pratiche con uomini, donne, trans, intersex secondo cui il problema è l'ordine.
Ho sempre più l'impressione che la struttura della nostra comunità - che viaggia alla velocità della rete, che è e contemporaneamente non è tale, che ha confini mutevoli (se li ha) e non sa dire cosa si debba fare per esserne parte - ci renda la vita complicata, la vita di una collettività senza memoria (ma nel migliore dei casi con un po' di storia polverosa), come colpita da una forte amnesia al punto da non sapere più che farsene dell'antifascismo. Ebbene, vorrei che questa continua perdita di memoria ci portasse almeno a chiedere costantemente a chi ci circonda "come stai? cosa vuoi? chi sei?", per condurre, tra le «lugubri rovine del postmoderno», un progetto politico di liberazione indipendentemente da similitudini presunte; per riguadagnare, con la speranza, la forza di portarlo avanti.
Gli interventi precedenti, firmati da Emiliano Settimi e Aurelio Mancuso sono usciti rispettivamente il 5 e l'11 luglio.
Certo, sto semplificando: non dubito che molti gay benpensanti desiderino ciò autenticamente, che questa sia - perché no? - la cifra del loro piacere. Ma sono poi felici? Ecco la mia domanda, giacché i gay benpensanti avranno sempre delle «giustificazioni secondarie che si rafforzano reciprocamente» per rispondere a qualsiasi domanda che inizi con "perché", ma inciampano sul "come stai?".
Ma adesso mi sto prendendo troppo sul serio, è che penso ai quasi tremila tesserati della sauna di Pisa sforzandomi di produrre una spiegazione che mi sembri coerente con la loro totale invisibilità urbana. E' che penso, per riprendere il maledetto San Foucault, che non ci siamo ancora liberati dell'idea che il sesso sia una fatalità, (cribbio, non avevo neppure compiuto un anno all'epoca di quell'intervista!) e abbiamo creato dei luoghi specificamente deputati alla fruizione sessuale, confermando così ogni volta che essa era proibita all'esterno. Vorrei interrogare la storia del movimento gay in Italia, ma le mie poche competenze e il mio scarso fiuto nell'interpretazione dei fatti sociali mi rendono incapace: è davvero possibile che qualcuno abbia piamente creduto che i gay, per il solo fatto di essere gay, non avrebbero ceduto al fascino conservatore del capitale? Fino a che punto il lento spegnersi di una lotta di liberazione sessuale è da attribuirsi alle colpe del movimento e da che punto in poi, invece, consegue da altre vicende?
Voglio sapere come emerge il ventenne che è al contempo feticista raffinato, pervertito navigato e monogamo convinto. Costui non vuole che si sappia in giro: ma la monogamia si vede, il resto no! Rinuncia alla pubblicità, il suo personale non è politico se non nei luoghi deputati alla politica. La sua sessualità è vergognosa in tutti i luoghi che non sono costitutivamente abilitati ad accoglierla. Distribuisce vergogna e oscenità sulla base del contesto, di ciò che è permesso, ma ciò non basta a fargli cogliere l'arbitrarietà del potere che orienta l'ordine di questa distribuzione; al contrario egli lo accetta e lo vive. Il vasto mondo della sessualità polimorfa che il movimento ha liberato - e sulla cui liberazione il capitale fa profitto - gli appare come un safari: un'avventura con tanto di brochure.
Quindi sì: l'aver rinunciato a mettere in discussione la monogamia e l'incapacità di rinegoziare i limiti dell'osceno sono, politicamente e socialmente, la nostra più grave perdita. E non ci siamo neppure accorti di quello che succedeva dietro l'angolo, mentre lo elogiavamo, quando ad esempio dieci anni fa in Francia si discutevano i Cuc (poi Pacs...), Bourdieu li analizzava lucidamente denunciandone la radicale paradossalità: costringere degli individui a sottomettersi alla norma dominante per scampare alla stigmatizzazione, pur ottenendo solo una parte dei diritti che la norma garantisce - per non dire della concessione all'ordine simbolico implicita nel contratto familiare e del riconoscimento della priorità dei vincoli di sangue su quelli di scelta. Hanno rappresentato una perdita perché non abbiamo saputo mettere al servizio di un universalismo della sovversione e della rivolta i vantaggi particolari della nostra posizione e del nostro punto di vista. Ma sono grato al gay benpensante proprio di questo, di essersi addossato lui la violenza della rottura con me, rottura mediante la quale non sono più tenuto, in ragione di un universalismo ipocrita del mondo gay, ad allearmi con lui in quanto presuntamente uguale a me. E' nello spazio di questa rottura che la politica ritrova centralità, oltre le etichette. Perché, se è vero che non esiste un'unica eterosessualità, una battaglia di liberazione della sessualità coinvolge anche tutte le persone non omosessuali interessate. E dunque, smascherata la finta comunanza delle essenze, posso godere della comunanza di progetto e pratiche con uomini, donne, trans, intersex secondo cui il problema è l'ordine.
Ho sempre più l'impressione che la struttura della nostra comunità - che viaggia alla velocità della rete, che è e contemporaneamente non è tale, che ha confini mutevoli (se li ha) e non sa dire cosa si debba fare per esserne parte - ci renda la vita complicata, la vita di una collettività senza memoria (ma nel migliore dei casi con un po' di storia polverosa), come colpita da una forte amnesia al punto da non sapere più che farsene dell'antifascismo. Ebbene, vorrei che questa continua perdita di memoria ci portasse almeno a chiedere costantemente a chi ci circonda "come stai? cosa vuoi? chi sei?", per condurre, tra le «lugubri rovine del postmoderno», un progetto politico di liberazione indipendentemente da similitudini presunte; per riguadagnare, con la speranza, la forza di portarlo avanti.
Gli interventi precedenti, firmati da Emiliano Settimi e Aurelio Mancuso sono usciti rispettivamente il 5 e l'11 luglio.