In Viarigattieri tira aria di reazione. Lo si vede dalla disputa che nasce dalle critiche che spesso gli alti ranghi rivolgono ai giovani esuberanti e un po' maldestri. Non si rovinano i libri. Non si sgualciscono, non si spiegazzano. Attenzione ad aprirli, che se si esagera poi si sgualciscono; meglio aprirli appena, e cercare di intuire quello che c'è scritto dentro. Non si sottolineano con l'evidenziatore, né con la penna, né con l'uniposca, né con cinghiale (il grande pennello). Non si fanno, MIODDIO!, le orecchie alle pagine. Non si usano per sollevare il computer, e neanche per sostenere il materasso. "No che non te lo presto, il mio libro: tu sei un maiale" minacciano e rimproverano i capi retrogradi, e i vari ciccì al seguito fanno sì con la testa. I libri, dice il decano dei radicalscìk, devono restare al loro posto, da contemplare, al massimo da sottolineare con una matita 6H e con un righello. Al limite ci si può scrivere (sempre a matita) nome e anno (giusto per semplificare il lavoro ai posteri quando apriranno il Nachlass e ordineranno le letture dei trapassati) a pagina 3, quella delle dediche.
Ecco. Qui i subissati giovani esuberanti esigono la loro rivincita. Neanche a farlo apposta viene fuori un libro dimenticato, saggiamente sottolineato (a penna, savandir), nelle righe che riportiamo.
"Leggo solo libri usati (...). Leggo gli usati perché le pagine molto sfogliate e unte dalle dita pesano di più negli occhi, perché ogni copia di un libro può appartenere a molte vite e i libri dovrebbero stare incustoditi nei posti pubblici e spostarsi insieme ai passanti che se li portano dietro per un poco e dovrebbero morire come loro, consumati dai malanni, infetti, affogati giù da un ponte insieme ai suicidi, ficcati in una stufa d'inverno, strappati dai bambini per farne barchette, insomma, ovunque dovrebbero morire tranne che di noia e proprietà privata, condannati a vita in uno scaffale". (Erri de Luca, Tre cavalli).
Tiè.