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NRC XX - The Dark Knight Rises

venerdì, settembre 14, 2012




Per comprendere la dinamica narrativa di questo film bisogna partire dal titolo. È singolare e dovrebbe destare attenzione. La traduzione italiana, come spesso accade, è superficiale e distratta (Il cavaliere oscuro: il ritorno). Nell’originale infatti sarebbe, letteralmente: “sorge”/ “si alza”.
Ma che significa?
Ultima puntata della trilogia di Nolan, TDKR abbatte le barriere del convenzionale “cinepanettone” americano e supera di gran lunga la pur inquietante, strisciante follia del secondo capitolo (quello del Joker di Heath Ledger: epico, fantastico, ma discontinuo a tratti).
Innanzitutto, il trattamento del tempo: tra un capitolo e l’altro passano infatti 8 anni. Il protagonista è un uomo caduto nell’ombra, svanito nel silenzio di un esilio che si è auto-comminato. Non solo, nel frattempo è intercorsa una decadenza fisica evidente (altro totem abbattuto: l’inviolabilità del corpo dell’eroe).
In preda a fantasmi e ossessioni inestinguibili, l’eroe viene a poco a poco abbandonato da tutti.
È qui che si colloca lo snodo fondamentale: l’arrivo di una forza malvagia – vera incarnazione della forma della paura – il terrificante Bane (interpretato da un Tom Hardy spettacolare: sentitelo in originale). A quel punto avviene la caduta del Cavaliere Oscuro: e qui Nolan inserisce correttamente la vera storyline del fumetto (la saga Knightfall, anni ‘90).
Ma, dopo inenarrabili sofferenze dentro il pozzo nero di Ras ‘al Gul, l’eroe affronterà il cammino a ritroso. Dalla caduta all’elevazione. E qui si situa, anche a livello di citazioni un po’ raffinate, la seconda storyline, ben più celebre: The Dark Knight Returns di Frank Miller.
Da quel punto in avanti, il movimento del ritorno, del “sollevarsi”, sarà del resto così imponente da sconvolgere l’intero universo narrativo.
Equilibrato, essenziale, il film scorre in maniera travolgente, senza rallentamenti, rivelando una struttura sorvegliata, quasi da thriller piuttosto che da kolossal hollywoodiano. Nolan realizza quindi un "palinsesto". Cancella un genere ormai classico e ci scrive sopra un racconto mitico.
Con quel fascino dell’immedesimazione che, prima, ci porta tutti quanti dentro il pozzo nero: per poi farci uscire fuori, alla luce.