Fenomenologia di un elettore comunista

domenica, dicembre 04, 2016

Quando il 13 maggio 2001 mi recavo per la prima volta alle urne gli esiti non furono esattamente quelli che avrei sperato: la Casa delle Libertà di Silvio Berlusconi vinse le elezioni con il 49,56% dei voti contro un Ulivo comandato da Rutelli (…) fermo al 35,08% e una Rifondazione Comunista guidata da Fausto Bertinotti che con il suo 5,03% ottenne 11 deputati alla Camera e 4 senatori. Lì comunque era semplice: votavi per qualcuno ma soprattutto votavi contro Berlusconi, provando a fermare quella macchina che avrebbe proseguito nella distruzione dell'Italia.


Quando il 4 dicembre 2016 mi recavo per l'ultima volta alle urne la situazione era profondamente cambiata, a partire da una profonda spaccatura interna al gruppo stesso dei rigattieri. Si votava per un referendum confermativo che avrebbe modificato 47 articoli della Costituzione, e il Presidente del Consiglio Matteo Renzi (a capo di una coalizione composta, tra gli altri, dal Partito Democratico di cui egli stesso era segretario e dal Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, già ministro e braccio destro di Berlusconi) si era speso moltissimo per una consultazione che molti interpretavano – nella difficoltà di entrare nel merito di un quesito referendario complicatissimo – come un voto pro o contro Renzi.

La cosa che l'elettore comunista non avrebbe mai immaginato è che nel corso di 15 anni si sarebbe ritrovato dal votare contro Berlusconi al votare (per caso, certo) con Berlusconi. E con Grillo, Salvini, Razzi, Monti, D'Alema. Non sapendo esattamente che cosa augurarsi dagli esiti del voto.

Meno male che è finita la scheda elettorale.


P.S.: FU UN VOTO INCANDESCENTE.




breve riassunto della situazione

giovedì, novembre 17, 2016


Siccome penso che una delle cose più intelligenti che potessimo fare negli scorsi anni – e come sempre le cose intelligenti si fanno per caso, o almeno a noi è capitato così – sia stata scrivere questo blog, che rimane una miniera di ricordi e che, sempre che non scompaia, racconterà a un gruppo di amici come ha vissuto l'era pre-facebook dicendo qualcosa non soltanto delle nostre vite ma anche di un pezzo di società degli anni duemila, vorrei fare un breve riassunto della situazione vista da questi tempi. In ordine sparso e con molte lacune, magari le andrò riempiendo via via. 

I rigattieri, come prevedibile, vivono sparsi per l'Italia. Qualcuno sta anche all'estero, ma più o meno tutti sono nello stivale. Che fanno?

Uno insegna all'università, tre hanno vinto un concorso e teoricamente insegnano a scuola, ma erano i concorsi della buona scuola di Renzi, quelli in cui i posti vinti non esistevano. Uno che faceva la normale e poi si buttò nel mondo del lavoro passò da una banca per poi tornare al vecchio amore, l'editoria. Un altro figliò (di uno già sappiamo che figliò in tempi ancora rigattierici) e si è inventato un lavoro dal nulla, col coraggio di cambiare tutto e la capacità di investire i (pochi) soldi di altri rigattieri. Uno se ne andò nel profondo nord a insegnare sostegno con supplenze precarie, un'altra precariamente passava di assegno in assegno, mentre con altri si inventava cooperative che impaginano e curano i libri per gli editori, che un tempo curavano i libri e ora li fanno curare ad altri. Diversi traducono, per lo più saggi, da lingue che più o meno conoscono. Due nel frattempo sono diventati madrelingua recuperando tradizioni familiari e traducono in altre lingue o a volte fanno torte. Uno danza (egli danza). Un'altra alleva gatti e insegna agli universitari e ai bambini d'asilo, probabilmente allo stesso modo. Pochi sono rimasti a Pisa ma tutti ci tornano periodicamente. Uno è tornato in Sardegna e nessuno riesce a capire esattamente cosa cazzo faccia. Uno, pur di inventarsi qualcosa di strano, è finito a Singapore, perché a Honk Kong gli pareva troppo vicino. Un'altra è finita a Palermo e ancora non ha capito perché. Un'altra ancora fa corsi di storia in Inghilterra anche se è filosofa e si occupa di letteratura, e adesso è stata raggiunta da uno storico che arriva lì tramite una casa di moda (o forse no?) e si porta il tè della Coop (in Inghilterra, dimmi tu). Una coppia poetico-accademica aspetta un figlio che nascerà a Berlino. Uno si occupa di cinema e più d'uno dei rigattieri ha intrecciato il mondo lgbt (pensa te). Una gira che ti rigira, scrive i libri sui filosofi, è la più forte di tutti ma fa la cameriera per orgoglio proletario. Tutti più o meno si sentono, e purtroppo non scrivono più su questo blog perché facebook, uozzàp, telegram…

Tutto sommato stanno tutti bene.

Breve nota sull'acquisizione Mondadori - Rcs Libri

martedì, ottobre 13, 2015







Guardate l'infografica di Repubblica.it. C'è tutto.

1) Rcs Libri è un carrozzone da 200 mln di fatturato, che partorisce un topolino di 2 milioni di utile l'anno. Per la Rcs di oggi, insostenibile. Chi poteva salvare un simile pachiderma (non solo autori, ma: editor, marketing, addetti alla distribuzione, catalogo, diritti, i debiti, etc.)? O un acquirente straniero o un italiano.
2) Chi altro poteva comprare Rcs Libri? A guardare l'infografica, oggi in Italia solo una via era concretamente percorribile: Mondadori è l'unica che ha le spalle grosse per assorbirla. Può contenere i debiti, fare efficienza gestionale, generare guadagni.
3) Poteva esserci un'altra via italiana? Sì, certo. Se si guardano le quote di mercato, abbiamo Gems (10%) + Giunti (6%) + Feltrinelli (4%). Messe insieme, teoricamente, avrebbero fatto un competitor delle dimensioni poco inferiori a Mondadori (20% circa). Ma perché non si fa questa cosa? Perché le suddette aziende sono a controllo familiare. Le famiglie sono ancora forti e guidano le strategie aziendali. Sono allergiche ad aprire la proprietà a editori terzi. Sì, è un dramma. Ma è trasversale al capitalismo italiano. Piuttosto che vendere al mio fraterno nemico, chiudo baracca o vendo a uno straniero. La triste parabola della moda italiana docet (piuttosto che vendere a Miuccia, re Giorgio va a trovarsi un acquirente kazako che tesse rami di giunco secco).
4) Si viola l’antitrust? In teoria, con l’uscita dell’Adelphi di Calasso, no. La soglia dovrebbe essere sotto il livello di guardia (35%). In ogni caso, la nuova Mondadori avrebbe la possibilità di cedere qualche altra cosa per evitare casini (Marsilio?).
4/1) Va bene, tutti noi stiamo guardando alle future quote del colosso. Ma nessuno guarda al territorio libero? Circa il 40% è di piccoli-micro editori. Noi Rigattieri lo sappiamo bene! ;-) Il mare magnum sono loro, microscopici, individualisti fino a la muerte, uno spazio variegato che purtroppo, nel mondo di oggi, resta senza una forza e una direzione precisa. Ma lì andrebbe trovata la nuova linfa, o il nuovo “campione nazionale”.
5) Ma quindi, tutto ‘sto bordello è male o bene? Beh, qui si lascia il terreno solido dei numeri e si va sull’impressionismo personale… In teoria, quando succede uno sconvolgimento così grande in un settore ci possono essere due reazioni: far finta di niente e barcamenarsi finché dura; oppure attrezzarsi e cambiare di conseguenza. La spinta endogena del sistema dovrebbe portare – a titolo difensivo, tattico – alla fusione di qualche medio editore. Per farsi le spalle un po’ più solide. Fantascienza sarebbe se i protagonisti minori (vedi punto 3) decidessero di fare i ganzi per davvero e dichiarare guerra. Ma qui si ritorna allo scoglio del controllo familiare. In ogni caso, è bene dire che se hai i conti a posto, non c’è motivo di agitarsi tanto. In prospettiva più a lungo termine, però, considerando il tema delicatissimo del retail (più del digitale, che pare essersi assestato), bisognerà che un giorno i nostri cari editori decidano che fare: quanto pubblicare? Come distribuirlo? Come remunerare l’investimento? Cosa fare dei punti vendita? In questo senso, anche la mossa di Mondadori è da leggere in chiave puramente difensiva. Tutto scorre e io divento più grosso per resistere. Forse però è arrivato il momento per questo mondo di crescere un pochino e abbandonare l'incomprensibile, quieta, provinciale baruffa su chi vincerà il prossimo premio Strega. 


NdA: questo post è stato scritto la mattina successiva all'annuncio dell'operazione. Purtroppo ha dovuto subire l'onta di una tirannica censura. Il che significa che, non solo in Mondazzoli, ma anche sotto i cieli fulgidi di Via Rigattieri l'intelletto scomodo deve tracciare la propria strada con il sudore e con il sangue.

le quattro cause di un film

sabato, settembre 26, 2015


Come ai tempi in cui il sapere non era tale se non era condiviso, e come sempre un po' per gioco un po' sul serio, a partire da un esempio trovato nella Nuova storia della filosofia occidentale di Kenny e immaginando di provare a ipotizzare strategie autarchiche da sperimentare in classe, ho chiesto a un po' di rigattieri allargati di provare a identificare, aristotelicamente, le quattro cause di un film. Anche e soprattutto per vedere se quelle che avevo identificato io avessero senso oppure no. Per me, pensandoci di getto, era abbastanza chiaro che causa materiale del film fossero i fotogrammi (in quanto pezzi di pellicola, o quanto vi è di analogo nei file), e che la causa finale fosse la realizzazione stessa del film. Quanto alla causa formale pensavo si potesse identificare nell'idea del film, e dunque nella sceneggiatura (nel suo senso più ampio, comprendendo cioè l'idea del regista in fase di realizzazione vera e propria), mentre la causa efficiente era forse, semplicemente, l'operatore con la macchina da presa. Un elenco scritto di getto e come tale incontestabile, sotto pena di tristezza perenne.

Cosa ne pensavano gli altri? E quanti altri avrei potuto coinvolgere e non avevo chiamato? Ma mi basavo sul gesto immediato, sulla noia di un pomeriggio alla biblioteca regionale di Palermo, in fondo forse su una strana forma di istante propizio. I rigattieri sono stati al gioco, come sempre. Le loro risposte dicono forse qualcosa anche di ognuno di loro. 

Piggì:
causa materiale: la pellicola
causa efficiente: il regista
causa formale: il montaggio delle immagini
causa finale: il godimento dello spettatore

Lanz:
causa materiale: la pellicola o il file
causa efficiente: il proiettore
causa formale: immagine movimento
causa finale: il messaggio

Nichi:
causa materiale: la pellicola, lo schermo
causa efficiente: tutta la troupe
causa formale: idea del regista, degli attori, sceneggiatura
causa finale: tante, tipo fare un bel film, avere successo, vincere un premio, ecc.

Ciccì:
causa materiale: boh (la pellicola? la macchina da presa? la luce? qual è la materia di un film?) 
causa efficiente: il regista
causa formale: il profitto, se sei a Hollywood; l'idea del cinema, se sei a Cannes
causa finale: il pubblico, se sei a Hollywood; l'arte, se sei a Cannes

Alealo:
causa materiale: le immagini
causa efficiente: il regista etc
causa formale: il film
causa finale: lo spettatore

[non contenta, Alealo inventa una quinta causa, strumentale: la pellicola (e tutti gli strumenti tecnici), e  ancora insoddisfatta aggiunge che l'esempio del film esibisce l'insufficienza delle quattro cause aristoteliche]

Tex:
causa materiale: il supporto analogico o digitale su cui le immagini sono registrate
causa efficiente: l'ostinatezza del regista
causa formale: le immagini in movimento
causa finale: la comunicazione di significati attraverso immagini

[insoddisfatta, Tex commenta: «dipende da quale capitolo della metafisica vuoi utilizzare per attribuire una teoria del genere ad Aristotele», come se volessi attribuire qualcosa a qualcuno, o ancora peggio muovermi tra i capitoli della metafisica manco fossi Aladino…]

Coferi:
causa materiale: pellicola o supporto digitale
causa efficiente: tutta la crew, dal soggetto alla prostproduzione, passando per registi, attori, truccatori, montatori, grafici, musici, ecceccecc.
causa formale: non esiste, perché l'opera è un'essenza singolare - al limite la potremmo pensare come il rapporto tra l'opera stessa e il canone filmico, da cui però il film si definisce per eccentricità (se parliamo di film da cinema, perché se parliamo di video amatoriali, videoclip, video istallazioni il discorso cambia). 
causa finale: siamo contro, ma direi triplicemente articolata, in appagamento estetico dello spettatore, appagamento narcisistico dell'autore, ripartizione inedita del reale. 

Mi rivolgevo infine a un vero esperto, che come tale non accettava di stare al gioco in maniera sbrigativa, e si impegnava veramente nel compito che gli sbolognavo come una patata bollente. Lo chiameremo, per tutelare la sua rispettabilità, "'o professore":

In termini aristotelici, la tua domanda steampunk non ha una risposta univoca, e questa è forse la ragione della varietà di soluzioni che, a quanto mi dici, hai potuto raccogliere. L'esplicazione delle quattro cause in ambito poetico è una materia complessa (e anche relativamente poco studiata dalla critica). 
Così, per un verso, secondo l'unico esempio di cui com'è noto disponiamo, la tragedia è una forma di imitazione di «un'azione nobile e compiuta benché grande», la sua causa efficiente è l'arte del tragediografo che la compone, la causa materiale, ovvero ciò di cui è costituita, sono le sue «parti», che concorrono nel suscitare le passioni di «pietà e terrore», la cui catarsi è il fine della tragedia (Poet. I 6).
Per altro verso, però, Aristotele precisa che «le azioni e il racconto sono il fine» (1450a 22), ma queste stesse, nel loro prendere forma nella rappresentazione tragica, possono anche essere considerate come la causa efficiente della catarsi dello spettatore, e in questo senso si dice che della tragedia «principio e in certo modo anima è il racconto» (1450a 38). Le cose si complicano poi ulteriormente se si considera la genesi dell'arte tragica, cioè la “nascita della tragedia” (Poet. I 4), perché allora, per esempio, la causa efficiente è la tendenza innata dell'uomo all'imitazione, che assume poi nella storia diverse forme poetiche; o ancora se l'indagine riguarda la concreta messa in scena di un'opera tragica in particolare, perché allora il novero delle cause materiali ed efficienti si amplia (recitazione, macchine sceniche ecc.).

Su questa falsariga, lavorando di analogia, si può tentare una risposta.
La causa formale di un film sarebbe la forma specifica di cinema a cui appartiene, cioè il suo “genere cinematografico”. Partendo dalla definizione di “cinema” che i cineasti considerano in qualche modo normativa, nel bene o nel male, cioè più o meno «arte dello spettacolo basata sull'immagine in movimento» (e che è presupposta per opposizione anche da operazioni come Blue di Jarman o La Jetée di Marker ecc.), si tratterebbe cioè di specificare se è un film western o una commedia sentimentale, o ancora un film “sui generis”, e poi all'interno (o all'incrocio) di questi generi qual è la forma di un certo film in particolare. 
La causa efficiente sarebbe l'arte cinematografica del cineasta, la sua poetica cinematografica, ma qui dobbiamo intendere in senso “architettonico”, come direbbe Aristotele – cioè nel senso in cui diciamo che un film è “di Bergman” o “dei fratelli Cohen”, perché contano anche le poetiche del direttore della fotografia, del montatore ecc. e l'arte degli interpreti.
La causa materiale corrisponderebbe alle diverse "parti" del film, cioè le voci dei titoli di testa e di coda, da regia, sceneggiatura, direzione della fotografia, montaggio ecc. a colonna sonora, casting, produzione esecutiva, costumi ecc. compresi ovviamente catering, trasporti ecc.; ma anche, su un altro piano, le macchine da presa e le luci, il ciak, la sedia pieghevole in tela bianca del regista; e da un altro punto di vista ancora si possono considerare causa materiale le inquadrature, le sequenze e le scene; e poi naturalmente la recitazione e gli attori stessi.
Come fa Aristotele con la tragedia, tutti questi elementi (l'elenco è aperto) possono essere poi considerati a loro volta secondo altre prospettive. Così ad esempio la fotografia del film è il fine in vista di cui ci sono il direttore della fotografia, i riflettori, il diaframma della macchina da presa ecc. O la suspense è “principio e in certo modo anima" di un thriller.
Sulla causa finale ultima di un film azzarderei un'ipotesi. Sarà vero che ars gratia artis, come ci ricorda la MGM, ma meno genericamente e forse più postaristotelicamente si potrebbe dire che un film mira a trasformare un immaginario condiviso nella dinamica di una forma di vita.

epoche che verranno ricordate per la ricezione continua di mail come queste

venerdì, luglio 10, 2015


Buongiorno,

Scrivo per informarla di una nuova possibilità lavorativa.

Se anche Lei non ce la fa più dei soliti lavori per pochi euro mensili, sono qui
apposta per raccontarle la mia esperienza e aiutarla informandola di questa
possibilità sorprendente, così come è stato fatto con me.

Fino a pochi mesi fa, lavoravo come impiegato presso un'azienda del settore
tessile. E come molti italiani, facevo molta fatica ad arrivare a fine mese,
pagare le tasse del mutuo, le rate della macchina, l'IMU, l'asilo per i bimbi…
e ahimè, vacanze e divertimenti erano ormai diventati un sogno nel cassetto.
Poi, un mio amico mi ha mostrato come guadagnare e avere uno stipendio
extra, dedicando a questa seconda attività solo qualche ora del mio tempo libero!

Essendo molto titubante e, non avendo molti soldi a disposizione,
sono partito con un investimento iniziale di appena 200€….
e ora, a distanza di 
2 mesi e mezzo, quei 200€ sono diventati 14.456€!


Finalmente riesco a coprire tutte le spese, godermi la vita e riuscire persino
a mettere da parte dei soldi per il futuro dei miei figli!

Se vuole saperne di più, clicchi sul seguente 
link, così avrà tutte le istruzioni
su come fare.
In bocca al lupo!

meditazioni notturne su spesa e diritti dei lavoratori

mercoledì, luglio 08, 2015


Pisa, 2001.

Ricordo nitidamente l’indignazione con cui la mia coinquilina toscana apprese la notizia dell’apertura domenicale della COOP sotto casa. Quella che a me, migrante siculo appena sbarcato nel continente, pareva essere essenzialmente una comodità, a lei sembrava ledere i diritti basilari del lavoratore, che aveva sacrosanto diritto al riposo domenicale. Ricordo che mi colpì molto la veemenza dell’argomentazione, e la profonda incazzatura provocata da un fatto per me neutro. Mi dissi con aria grave e compresa quanto profondamente il comunismo avesse inciso nelle coscienze dei cittadini toscani e notai con rammarico quanto fossi indietro io. Poi andai a fare la spesa, credo con senso di colpa. 


Palermo, 2015. 

L’apertura notturna h24 del supermercato sotto casa è per me motivo di vanto con la mia fidanzata toscana. “Solo a Londra negli anni Novanta ho visto cose così civili” (appena ho una minima possibilità ne approfitto per bullarmi di questa terra apparentemente periferica eppure evidentemente così in linea con le più avanzate esperienze europee). (A chi serva andare a fare la spesa alle 3 di notte resta una questione che preferisco non pormi). Ad ogni modo: questa sera sperimento finalmente l’apertura notturna. È quasi mezzanotte, fa un caldo bestiale. L’aria condizionata evidentemente non funziona. Un cliente lo fa notare alla cassiera, prendendo a cuore la causa di quei lavoratori costretti nella notte della calura sicula a lavorare in condizioni non degne. “Dovete avvisare l’ufficio di medicina del lavoro!”, dice lui. Appena se ne va, la cassiera commenta risentita coi suoi colleghi: “ci manca solo che questo qua ci fa chiudere e ce ne andiamo tutti a casa. Diceva mia nonna: io munnu cipudde e tu chianci. Ma perché non si fa i fatti suoi?”. Quando le chiedo se va bene l’apertura notturna, mi dice con sollievo che sì, viene molta gente, per fortuna.

[Chi volesse potrebbe leggere in questo breve apologo un confronto tra due parti del belpaese. Altri potrebbero paragonare l’Italia pre-crisi a quella della crisi. Per quanto mi riguarda ho comprato pizze surgelate, sofficini, ketchup, marmellata di more. E carta igienica, che non si sa mai]. 

il natale dei rigattieri

giovedì, dicembre 25, 2014

Ho fatto gli auguri di Natale a qualche rigattiere. L'ho fatto al modo dei rigattieri, e penso che anche le loro risposte dicano qualcosa di ciascuno di loro. Avevo deciso preventivamente che avrei inventato la risposta di almeno uno di loro, per giocare sull'effetto comico del post: non ce n'è stato bisogno.

SMS DI AUGURI DEL CAPO: 

Pesante


SMS DI RISPOSTA

Ciccì: E inzomma…

Lanz: Pesantissimo

Ferari: Vero.

Bezzina: Vero.

Mheo: Parecchio

Happy: Lo so. Ma Natale è Natale. Sò pesi che dobbiamo portare. Augurerrimi.

Maurinho: Eh già… sono raffreddato.

Genni: Cosa?


p.s.: non posso non riportare questo omaggio che la dice lunga (non solo) sulla mia militanza cinefila, e di cui ringrazio moltissimo l'omaggiatore 

"Ho trovato oggi un VHS con gli inizi di vari film. Penso fosse la tua azione di correzione culturale per i miei canonici 5 minuti di ritardo al cinema. Una testimonianza degli esordi. Buon Natale!
(il vhs non è "A spasso con Daisy")