Caro amico vicino di poltrona, di ritorno dalla proiezione che ci ha appena visti compagni di percorso non posso che continuare a rivolgere a te il mio pensiero. Più del film che abbiamo visto, infatti, mi ha colpito l’incredibile affinità che ho provato nei tuoi confronti: anche tu come me, restio ad ammettere di aver cambiato secolo, ti ostini a frequentare quei cimeli del passato che sono le sale cinematografiche, forse anche tu convinto che tutto sommato, come si vedono al cinema, i film non si vedono da nessuna parte. E resisti: resisti persino all’ottusa consuetudine che ci impone un doppiaggio che – ne sono certo – anche tu in fondo vorresti combattere, anche se l’idea ti spaventa, anche se ti piace sentirti cullato da questo italiano inesistente che previene qualunque imprevisto accompagnadoti come le nenie senza senso che ti cantava tua madre da piccolo. Nel tuo intimo, in fondo, anche tu vorresti gettarti nelle montagne russe della versione originale, anche se non riesci a confessarlo a tua moglie. Sì, quella stessa moglie a cui senti l’esigenza di confessare ogni tuo pensiero, ogni tuo barlume (tu, novello Serge Daney di provincia) sul film che stiamo vedendo, anche se è un thriller, anche se qualcun altro, oltre tua moglie, potrebbe ascoltarti. (In fondo la cosa che stai dicendo è così intelligente che, a parte che parli così piano che nessuno ti sente, figurati comunque se non apprezzerebbe).
Ecco caro compagno, io conosco le tue buone intenzioni, e lo capisco che non è colpa tua se non riesci più a distinguere il salotto di casa da un luogo collettivo in cui, come adepti in cerca di un mistero da scoprire, continuiamo nonostante tutto a raccoglierci. Ma appunto con la più grande amicizia vorrei dirti – se per caso avrai modo di leggere queste mie – che quel luogo non è il tuo salotto, altrimenti tanto valeva che ci incontrassimo da te, no? Nella sala (così c’è scritto all’ingresso: pensa che bacchettoni!) devi mantenere un atteggiamento un po’ diverso; non per me, figurati, ma perché magari al signore dietro di me – che lo so che è un rompipalle, ma che ci vuoi fare: è fatto così – la tua disinvoltura sembra quasi dargli noia (sicuramente perché gli ricorda quant’è triste lui).
Ti confido un segreto, compagno: poco fa, mentre legittimamente sfoderavi la tua torcia per controllare facebook, puntandogliela – com’è giusto – dritto negli occhi, mi è sembrato di udire uno sbuffo quasi di rivolta, come se tu non avessi diritto – in quell’ora e mezza che sembra poco, ma invece comunque è un sacco di tempo, figurati se non ti capisco – di controllare tre o quattro volte il tuo smartphone, che t’è costato pure un bel po’ di soldini e giustamente non è fatto per restare chiuso nella tua tasca. (Lo so che ogni tanto ci pensi, che per quell’ora e mezza potresti provare a staccarti dal mondo e concentrarti sul film, ma ricorda sempre che Steve Jobs ti guarda, e che tutti i momenti che sottrai alla sua creazione ti verranno fatti scontare in app sempre più appetitose e irresistibili, togliendo un’altra maglia a quel dolce cordone che ti lega come quello di tua mamma quando ti cantava nenie senza senso).
Devo dirti poi che il signore suddetto (l’ho visto durante l’intervallo), che tra l’altro era straniero e già era nervoso per i fatti suoi per questa interruzione che non s’aspettava (pensa che incivili, ‘sti stranieri! che vabbé che il cinema ci piace, ma senza bomboniera a metà che gusto c’è?), s’è immediatamente acclimatato ed è corso a comprare il suo pacco di patatine, per poter – giustamente – rispondere al coro degli altri sacchettini attorno a sé per tutto l’inizio del secondo tempo. Non ti chiedi mai, amico spettatore, come mai questi cinemi provinciali non abbiano ancora pensato a vendere durante l’intervallo (o all’ingresso) anche quelle trombette da stadio, o un fischietto, in modo che tutti possano immediatamente comunicare agli altri la loro approvazione – o, al contrario, il loro sdegno – nei confronti della scena appena vista? Io credo che renderebbe il tutto ancora più speciale, ancora più collettivo.
Ed è per questa stessa ragione, amico vicino, che spero che ci rincontreremo uno dei prossimi giorni. E se in un momento particolarmente caldo del film comincerai a sentire degli schizzetti sulla nuca, o nell’orecchio, o sui pantaloni, sappi che non è l’ultima trovata dell’esercente fantasioso. Sarà il mio modo di comunicarti un’empatia comune, la mia maniera di manifestare la gioia e contemporaneamente di armarmi (insieme a te!) contro la modernità in maniera allegra, spensierata, gioiosa. Gli schizzi della mia pistola ad acqua ti uniranno, in un unico getto copioso, a tutti quelli che come te amano condividere le proprie emozioni all’interno di questo spazio fuori dal tempo che è la sala cinematografica. All’esercente fantasioso, invece, penserò in un secondo momento, ringraziandolo per le sue scelte commerciali con tutta l’attenzione che merita.
Ci vediamo presto! Io ti aspetto.
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5 Responses to “l'allegro spettatore”
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Noto con piacere che biasimi le patatine, ma non mentovi i poccò. Bravo.
18/11/13, 01:50ps: che thriller era?
ovviamente sarebbero i poccò…cazzo di autocorrettore di merda!
18/11/13, 09:41erano poccò in sacchetto di patatine: un'invenzione degna del diavolo.
18/11/13, 09:53la pistola ad acqua vuol dire che gli pisci addosso, o no? by Ono?
18/11/13, 09:53ma il diavolo non faceva le pentole senza coperchio? un casino prepararvi poccò!
19/11/13, 00:14Posta un commento