Scrivere di cinema è difficile. Più leggo cose di cinema e più me ne rendo conto. Ieri al festival di Locarno è stato proiettato in anteprima per la stampa l'ultimo film di Franco Maresco, Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz. Impaziente di vederlo, cercavo nei resoconti critici sui giornali di oggi qualche spunto, qualche riflessione, qualche giudizio. Nulla. Gli articoli sono tutti pressocché identici: si limitano alla sinossi del film, senza azzardare (nessuno) a uscire dal recinto del certo, dell'inattaccabile, di qualunque ideuzza che, espressa, potrebbe essere contestata. Mi si dirà che lo spazio del giornale, i criteri della redazione, la necessità di informare: balle. La verità è che scrivere di cinema è difficile, ed è da pochissimi. Gli altri si dovrebbero rinchiudere senza accampare scuse, o palesare che, semplicemente, fanno un altro mestiere: gli informatori cinematografici (che è cosa assai diversa). (Se vogliono li possiamo chiamare i ripetitori cinematografici). Basta leggere due righe qualunque di Serge Daney o di André Bazin per rendersi conto della passione (più che della competenza) che ci vuole per scrivere di cinema. Comunque: da quello che si può capire, in attesa di vederlo - se sarà dato vederlo -, il film di Maresco è un film su Maresco, e cioè sull'isolamento intellettuale e artistico, sull'impotenza dell'arte all'interno dello show business e sull'asfissia che paralizza quei pochi che provano a esprimere una propria visione. Che per essere tale (propria, e visione) è solitamente non riconducibile ai paradigmi canonici del visibile. E che per questo, oggi che è più tangibile una violenza fisica e verbale nei confronti di tutto ciò che esce dal canone imposto (o che ci si impone), è marginalizzato. La musica di Tony Scott come qualunque altra cosa. Ho idea che la protesta piccola piccola di quelli che parlano in nome della cultura, del loro lavoro non più considerato e così via c'entri ben poco, e che quella di Maresco sia una riflessione molto più feroce su una questione inattuale e atemporale. Vedremo (se sarà dato).
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12 Responses to “dello scrivere di cinema”
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Beh...se davvero, come affermava Bazin, una corretta presentazione (e spiegazione) delle opere al "popolo" è un prezioso strumento per rendere questo stesso popolo sempre più esigente e, per contro, meno disponibile a sorbirsi una produzione scadente e/o meramente commerciale, l'odierna assenza di "scrittori" di cinema quadrerebbe con l'assai poco confortante situazione culturale contemporanea.
11/08/10, 14:07O no?
"Attraverso questo atto d’amore per un perdente e un sognatore Maresco racconta così, come in una ballata malinconica e funebre, anche la deriva di trent’anni di storia italiana. Per la prima volta senza Daniele Ciprì – dopo la separazione di qualche anno fa – si conferma come il grande (e unico) cineasta italiano dell’archeologia della rovina, dell’apocalisse e della vanità del presente, e il cantore dell’imbecillità umana sulle orme del Bouvard e Pécuchet".
11/08/10, 15:44(Roberto Turigliatto, dal giornale del Festival di Locarno)
www.italiainformazioni.com/giornale/spettacoli/cinema/99754/Maresco-doppio-tony-scott-magistrale-documentario-genio-jazz-sconfitto-sognatore.htm
13/08/10, 23:46insomma, capo....manchi solo tu........
14/08/10, 16:09Credo che saper scrivere di cinema sia un mestiere altrettanto difficile e sfuggente dello saper scrivere di letteratura.
15/08/10, 17:22L’unico vantaggio che ha un critico letterario è di poter vantare una buona schiera di tradizioni critiche alle spalle, che vanno grosso modo da Aristotele a Frye… Insomma, duemila anni di precedenti sono una buona scusa per inventarsi critico. Certo, è più difficile farlo con il cinema, che ha uno statuto troppo recente e troppo contaminato con le evoluzioni tecnologiche.
In più, la dolente reprimenda del Capo rileva un ormai cronico problema dell’informazione di massa: dare rappresentanza alle nicchie di ricerca, agli isolati, agli eretici… Diventa sempre più difficile inoltre in un paese come l’Italia che vede i grandi media concentrarsi su poche notizie culturali (spesso assolutamente inutili) e, parallelamente, vede rinascere nuovamente il fenomeno delle riviste, vede l’affermarsi di alcune voci che dal web “bucano” gli altri media… Insomma, una distonia autentica tra l’ufficiale e il sotterraneo.
Certo, detto ciò, non mi trovo bene con gli intellettuali di sinistra alla Maresco (e alla Moresco… ;-)), che predicano o razzolano di continuo sull’apocalisse o sui mala tempora currunt. Basta, non se ne può più. Non se ne può più perché:
1) sappiamo di essere in decadenza;
2) i cantori della decadenza sono vivi e vegeti, anzi se la cavano piuttosto bene.
E allora? mi viene da dire, qual è il punto?
Insomma, preferisco gente che, da isolato, si faccia consapevolmente i fatti propri, fregandosene della legittimazione culturale: penso a Gaglianone, oggi quasi vincitore a Locarno, e a Vitaliano Trevisan, splendido psicopatico delle italiche lettere. Oppure a gente che vive consapevolmente e con dignità il proprio ruolo di autore di “successo”: vedi Ammanniti o il più recente Paolo Giordano. Le lamentazioni mi hanno stufato. Sarà perché mi avvicino ai 30?
E visto che non sono riuscito ancora a parlare con il Capo sulla questione degli scrittori Under 40, ne approfitto ora, qui:
di tutta la querelle estiva (di alto livello, comunque) mi continua a restare ficcata in testa questa domanda (che ripropone un’argomentazione appena usata sopra): ma perché dobbiamo sempre legittimare / etichettare i “ggiovani” autori? Sono loro ad essere troppo deboli per emergere da soli o sono i nostri critici e i nostri giornali a non riuscire a parlare in altro modo della nostra produzione culturale? Non lo so. Fossi io uno dei giovani Under 40 li manderei a farsi fottere.
Ecco, questo è il mio commento di Ferragosto, gravato dal peso metafisico degli arrosticini alla brace.
Happy, dear, l'abbuffata ferragostesca pesa anche sul mio misero stomachino, per cui avanzo immantinente la scusa di non essere al massimo della forma e la probabilità di aver frainteso quanto scrivi. Con cui, peraltro, mi trovo abbastanza in accordo. Ma non del tutto. Insomma, è vero, la critica oggi pare pretendere forse un po' troppo e dissacrare con una facilità talvolta sospetta le nuove leve, ma è pur vero che oggigiorno molti degli scrittori sembrano più alla ricerca di un espediente che consenta loro di pervenire a un generico successo, anziché dimostrarsi desiderosi di "creare" qualcosa...uno stile, una poetica...occhessòio...
15/08/10, 23:46Non lo so, non leggo molto della produzione contemporanea (sopratt italiana) per cui sono l'ultima persona adatta a un dibattito del genere...ma mi farebbe piacere sapere cosa se ne pensa in questo brulicante circolo virtuale...
eppi... ma dici sul serio? (perché glorificare giordano e attaccare moresco sembra una scelta esplicitamente contra ferarem).
16/08/10, 20:17pensi veramente che dovremmo buttare m(o/a)resco perchè basta razzolare nell'escrementizio, e invece salvare giordano e ammaniti perchè guarda come sono fotogenici e come accolgono con signorilità il lauro gentilmente elargito dalla folla?
moresco ha mangiato per vent'anni gli avanzi della mensa dove lavorava la moglie perchè doveva creare, giordano ha scritto alla holden un acclamato romanzo in stile quarta ginnasio, accattivante (nel titolo e nella copertina, che poi dentro manco quello) e a costo intellettuale zero. chi è, alla fine, che abusa dei mala tempora?
oh gente, della holden è stato allievo anche un tipaccio pisano che scrive e pubblica e ha pure successo (wabbwividiamo) e che ho avuto l'onere di conoscere e che mi ha dimostrato uansènforoll che la holden va presa con le pinze. E anche un po' con il cacciavite. O con la vite. quella di Henry James, magari....
17/08/10, 00:17Contraferarem 82 ha detto:
18/08/10, 14:59Carissimo,
Lei ha perfettamente ragione su entrambe le questioni:
1- il valore dei poveri Ammanniti e Giordano non dovrebbero essere sopravvalutati;
2- la mia era un’argomentazione provocatoriamente contra ferarem (anche se non sapevo ancora, nel formularla, che sarebbe diventata tale).
Ora, tralasciando il filone Maresco, che poco o nulla conosco, avrei da dire due o tre cosette invece su Moresco e sulla difesa che ne fai.
Bene, il suddetto va cianciando da anni che siamo al genocidio culturale. Giusto, bravo.
E ce lo scrive in operette tascabili dalle 600 alle mille e rotte pagine. E passi anche questo.
Però, santiddio, uno si aspetta che la stessa solfa sia propinata al lettore innocente in forme/modi lievemente differenti.
E invece no. Scrive sempre la medesima paginetta di metafore sessuali e merda. Sullo sfondo, sempre presente, l’io dell’autore: anzi con la A maiuscola. Così all’infinito.
Gli esordi, i canti del caos: a qualunque punto si apra il volume, il panorama è lo stesso.
Ora, tale scelta espressiva non la capisco (sarò un genocida culturale, evidentemente), ma la rispetto.
Insomma, fin a quel punto lo seguo.
Poi però il “santone” Moresco (ormai divenuto un classico intoccabile delle patrie lettere) mi piscia un tantino fuori dal vaso allorché sostiene: 1) di essere al pari livello di Dostoevskij (DOSTOEVSKIJ!!!) e 2) che si sente incompreso perché nessuno in Italia se n’è ancora accorto.
Ecco, tale mancanza assoluta di limiti all’egocentrismo mi manda in bestia. Lo trovo tanto sconcertante quanto gli osanna della critica che ora piovono su di lui da tutte le parti.
Io ho letto un po’ di cose di Pasolini. Che di genocidi culturali ne ha scritto. Lui non mi pare abbia avuto tale impudenza di scrivere di sé in questi termini (ed egli conosceva benissimo i confini del pudico/impudico).
Dunque, quasi alla trentina, ribadisco, sono arrivato al punto di sgamare da lontano gli apocalittici integrati e di non prendere troppo sul serio le loro grida sterili, monocordi. Che tanto, alla fine, stanno lì tutti quanti insieme: Giordano, Moresco & Co.
io, èer una volta, sono d'accordo cum ferarem, e anche con chi scrisse il post, che c'è piaciuto.
20/08/10, 21:50pg
già questa non è male:
09/09/10, 12:34http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-film-della-settimana-io-sono-tony-scott-ovvero-come-litalia-fece-fuori-il-piu-grande-clarinettista-del-jazz-di-franco-maresco/
sette gennaio duemilaundici: ancora non è stato dato vedere il film di maresco al cinema. aspettiamo fiduciosi, distributori italiani. grazie.
07/01/11, 15:29Posta un commento