«Balada triste de trompeta», si intitola (in originale), e bisogna ammettere che è un titolo molto poetico, e anche il vecchio clown che ride sull’affiche ha quel certo magnetismo al quale difficilmente riesco a resistere (aggiungendo mentalmente: «E basta con questa cazzata che i pagliacci fanno paura! Pensa a Fellini, piuttosto!»). Però prima do un’occhiata fuggevole alla sinossi in francese, giusto un paio di righe, a scopo evocativo: un circo viene sconvolto dalla guerra civile spagnola, dice. «Che meraviglia:» penso «il circo come resistenza, dolente e scanzonata, al fascismo». «Un Heinrich Böll in salsa antifranchista», aggiungo anche, compiaciuto, già pensando alla recensione che dovrò ben scrivere, e allora tanto vale avvantaggiarsi.
Poi niente, il film è un po’ diverso: più che di guerra civile (breve episodio introduttivo) si tratta soprattutto di gente che fa il circo negli anni ’70 (però sempre sotto Franco), e che svalvola di testa, si massacra con ogni possibile oggetto contundente, si ammazza e scopa in continuazione (De la Iglesia, il regista, sembra il gemello impazzito di Tarantino), con un ritmo forsennato e delirante: una furiosa e sanguinolenta grotesque di alta scuola. Pagliaccio triste e pagliaccio tonto, uno contro l’altro, due volti (tumefatti, sfigurati, mostruosi: uno, per dire, a un certo punto si trucca con la soda caustica) di una stessa inevitabile follia.
Un film mitico, ovviamente, ma non proprio per tutti i palati, la cui estetica empirica è contenuta nella battuta di un colonnello repubblicano che introduce la prima carneficina del film: «Un pagliaccio con un machete? Li farà impazzire!»[1]. E la cui morale è espressa nel consiglio che il padre-clown catturato dai falangisti dà al figlio-futuro-clown-matto, all’alba della dittatura fascista: «Tu non puoi essere il pagliaccio tonto. Tu farai il pagliaccio triste. Ma c’è ancora un modo per essere felici… la vendetta»[2]. Che secondo me, in un’epoca in cui va di moda rinnegare piazzale Loreto, non è neanche una morale così scema[3].
[1] ATTENZIONE: i dialoghi qui riportati potrebbero essere alquanto creativi (cioè non proprio fedeli). È il vantaggio di andare a vedere film in straniero sottotitolati in straniero.
[2] Ogni tanto, durante il film, il padre riappare giusto per urlare «vendetta!» e risparire.
[3] Compagni piddini, si fa per ridere.
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5 Responses to “NRC XIV – Ballata dell’odio e dell’amore”
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Tra i (discussissimi) criteri che i giovani turchi dei cahiers du cinéma enucleavano alla fine degli anni '50 per riconoscere un "auteur" troneggiava quello dell'ossessione. Se un regista era ossessionato da un certo argomento, da un certo modo di utilizzare la macchina da presa e così via, allora probabilmente ci si trovava di fronte a un vero autore. Ecco, vorrei dire che il Marcello Cofino critico cinematografico è senz'altro un autore nel senso nouvellevaguistico del termine, se non è un caso - come credo - che nei suoi testi cinematografici ritornino sempre alcuni temi: l'horror, il sangue (in generale), e il machete, il pagliaccio (in particolare) - senza considerare fellini, savasandir. Omaggi!
30/06/11, 15:12tutte le strade portano a it.
30/06/11, 18:37a me però mi pare che tra piddini e non vada più di moda essere forcaioli. o no?
30/06/11, 18:39io mi associo al recensore. Mai pià visti film di pagliacci. Ora senza scomodare Böll o fellini, devo dire che quel film mi ha tolto la vita. franci
01/07/11, 10:24La mancata uscita nelle sale della Balada è uno dei tanti scandali a cui l'industria distributiva italiana ci ha condannato da anni.
01/07/11, 17:30Ho quasi il dubbio, in questo caso, che la recinzione di Cofino sia assai più bella del film.
cosa faccio, mi rovino la recinzione e guardo il film?
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