Ci ho messo due settimane buone per decidermi se fare o non fare questo post. Ho meditato a lungo se nascesse da qualche luogo sbagliato della mia povera mente radical chic.
Pensavo: “Non stroncarla, è una nuova iniziativa. Fa solo del bene”.
Poi il mio inestirpabile rancore metafisico ha avuto la meglio. E ho deciso di scrivere e, quindi, di stroncare.
Avete presente i TQ? Ne hanno scritto in molti. Si tratta di un nuovo movimento (??) di scrittori, che si raccolgono dietro l’acronimo “Trenta-Quaranta”. Il gruppo si è riunito nella villa romana degli editori Laterza (che resta una Casa rispettabilissima, nonostante ciò…)
Il nome, asettico ed ellittico fino a rasentare l’assenza di contenuto, vuole racchiudere un insieme di autori che stanno cercando di raccogliere le forze e le idee. Per fare cosa?
Ed è qui che viene il bello.
Sì perché, in linea teorica, la nascita di movimenti letterari è sempre un’ottima cosa. Spesso si aprono dei territori nuovi, sopra cui possono nascere opere letteralmente memorabili.
Ricordo, giusto per fare due nomi, il New Italian Epic e il dibattito sul nuovo realismo, a partire da Gomorra (due forme degnissime di bilancio a posteriori).
Bene, ok. Ora, l’aspetto che mi sconvolge di più dei Ticcù non è tanto il malcelato, irritante e italico vittimismo (si lamentano di essere ai margini autori come Lagioia, Desiati, Scurati, etc.: in realtà, si tratta di scrittori le cui recensioni universalistiche sono inversamente proporzionali alle loro mediocri composizioni), quanto la precisa, denunciata volontà di costituire una lobby (intesa in senso anglosassone: e dunque perfettamente legale).
Prendete, ad esempio, qualche dichiarazione: “siamo alla ricerca di un pubblico, di spazi da occupare” (A. Cortellessa); “Basta alla lingua usata come promozione e battiamoci per il nostro salario” (C. Raimo, vabbè pazienza per l’italiano…); “Questa generazione non deve avere paura di portare avanti le proposte che ha, se riesce a occupare le posizioni di potere” (S. Salis).
Cose che finora, ammetterete, soltanto i Rigattieri si erano spinti a pensare (e a realizzare…).
Ovviamente, la mia scelta di citazioni è stata volutamente tendenziosa. In realtà, nel mezzo sono passate anche proposte interessanti.
Tuttavia, la novità che ho registrato con personale raccapriccio è precisamente l’attenzione non al dato letterario, ma alla strategia di potere. Perché di ciò si sta parlando. Come contare di più non in termini letterari (aspetto ormai più che secondario), ma in termini di posti occupati?
Anche su questo punto non vorrei sembrarvi un idealista ottocentesco: certo, quando si parla di letteratura si può parlare anche di politica editoriale e di come questa viene fatta nel nostro Paese.
Quindi, niente di male: se ne può parlare apertamente.
Però, qui mi sembra che sia partito un corto circuito pazzesco. Non è un po’ strano che la nuova generazione di scrittori italiani lasci da parte il centro nevralgico del loro mestiere (la forma, lo stile, l’immagine del mondo) per dedicarsi alle strategie di potere?
È come se ci fossimo rassegnati al fatto che le opere non abbiano più nessun peso e che contino soltanto le alleanze para-editoriali.
Se così fosse, consiglierei ai Ticcù di diventare dei bravi manager e di farsi assumere ai vertici dei principali gruppi editoriali: solo così, insomma, avendo in mano i piccioli e la facoltà di scelta si può pensare di cambiare i pesi nel panorama italiano. Ma questa è una scelta ben precisa: o scrivi o fai il manager (nemmeno l’editor, proprio il manager tout court).
Sennò stiamo parlando di aria fritta e soprattutto rischiamo di mandare alcuni bravi giovani a bruciarsi, letteralmente, contro i baluardi infallibili del marketing: che nulla intende modificare. Certo, con la consapevolezza che, dopo aver sacrificato possibili nuovi germogli, Lagioia-Scurati&Co. continueranno come sempre ad avere le loro collane, i loro libri, le loro promozioni.
E noi una pessima, nuova letteratura italiana.