I Rigattieri sono controcorrente. Rifuggono dalle statistiche, dalle tendenze, dai destini prestabiliti. Il tema, come ricordato qui più volte, non risparmia il mondo del lavoro.
L’ultimo, fulgido esempio è stato fornito naturalmente dal nostro Capo, che si è paracadutato un giorno di febbraio a Milano.
Posso raccontare io come sono andate le cose veramente.
Il Capo si precipitò a Milano per evitare una sciagura che pendeva sulla sua testa: un contratto di lavoro, 18 mesi, a tempo determinato.
(questa sì, una vergogna, che al giorno d’oggi ci siano ancora persone che propongono simili sconcezze ai colloqui di lavoro…).
Per fortuna, il Capo non si è fatto tentare dalle sirene della mesata fissa, come un’Olgettina qualsiasi, ma ha provato con tutte le sue forze a convincere i suoi interlocutori che l’Assunzione non è cosa per noi, che è cosa mortificante, che noi abbiamo ben di meglio da fare, leggere, organizzare, scrivere…
Ma il Capo ha potuto vedere coi suoi occhi anche gli altri mille pericoli che si nascondono nella vita milanese. E si è convinto, una volta di più, che da Milano ci si deve tenere alla larga.
Prendete per esempio il loro regime di mobilità. Ogni giorno un milanese si sveglia e sa che dovrà andare a incastrarsi nel suo piccolo spazio in coda, dentro un’utilitaria, (il viaggio, per il milanese, è un paradosso zenoniano al contrario) e lì attendere serenamente un cancro al polmone.
In proposito, il Capo ha pure constatato, con orrore, che i milanesi guidano peggio dei terroni. Vendicativi, incazzosi, egocentrici, commettono qualunque nefandezza contro il codice della strada. E senza nemmeno avvertire il prossimo con il clacson, come usano civilmente i palermitani
(te la mettono in culo e basta: tu devi morì, in tangenziale, cazzovuoi…).
Il metrò, poi, è un altro luogo singolare. In apparenza è un mezzo di trasporto collettivo, dove la socializzazione sarebbe facilitata. Non è così, almeno a Milano.
In metrò si sta muti, capo chino. In metrò parlano solo i terroni. E dunque, quel mercoledì mattina, parlavamo ad alta voce soltanto io e il Capo (io per solidarietà, il Capo invece noncurante della silenziosa usanza).
L’altro grave pericolo è la figa. Ce n’è in quantità industriali. Troppa, decisamente troppa, per un eterosessuale con la testa sul collo. Per di più, uno è cosciente del fatto che va in giro, tutti i giorni, rassegnato all’idea che non ne beccherà mai una. Un vero supplizio di Tantalo. Chi vorrebbe vivere in una simile città?
Ma per fortuna il sottoscritto ha traghettato il Capo in salvo nell’isola felice di Segrate, dentro il palazzo di vetro con il lago e le carpe grosse come pittbull. Lì, finalmente, siamo venuti in contatto con una realtà più serena, composta.
A contatto diretto col Potere, infatti, il Capo si è trovato a suo agio e ha iniziato a stabilire molteplici relazioni (come fece, a suo tempo, anche l’illustre Cofino).
Tra le più memorabili, si vuole qui ricordare il “non-colloquio” di lavoro con il direttore di un mensile. Senza volerlo e senza darne la benché minima impressione, il Capo quasi riuscì a procacciarsi un posto.
“Ma insomma, vuoi scrivere per me?” chiese il direttore. E noi due, in coro: “Mannò, figurati, si fa così, per parlare…”
Noi lavoriamo solo per caso, o per sfiga.
Il lavoro sta ai Rigattieri come il superenalotto a una pensionata.
Comments
17 Responses to “Un colloquio a Milano”
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ti sei dimenticato di aggiungere che OGNI RIFERIMENTO A FATTI REALMENTE ESISTENTI O PERSONE REALMENTE ACCADUTE E' PURAMENTE CASUALE
04/03/11, 20:08mapperché? come sta il superenalòtto a 'na pensionata?
04/03/11, 23:33e a un pensionato, come sta?
ma naturalmente, era solo un ipotesi, verosimile, di quanto potrebbe accadere a un Rigattiere qualsiasi.
05/03/11, 15:44@neomi
idem al pensionato
un romantico a milano?
07/03/11, 14:00charlie mi ha rubato il commento! Al ladro!
07/03/11, 18:47due romantici, caro charlie, in teoria saremmo due... ;-)
08/03/11, 10:40rispondo con le parole del filosofo.
08/03/11, 12:51"Cercarsi un lavoro per un salario - in questo quasi tutti gli uomini dei paesi civili sono oggi uguali; per tutti loro il lavoro è un mezzo, e non esso stesso il fine; per la qual cosa non vanno tanto per il sottile nello scegliersi un lavoro, posto che frutti un buon guadagno. Esistono però uomini rari che preferiscono morire piuttosto che mettersi a fare un lavoro senza il PIACERE di lavorare: sono quegli uomini dai gusti difficili, di non facile contentatura, ai quali un buon guadagno non serve a nulla se il lavoro non è di per se stesso il guadagno di tutti i guadagni. A questa rara specie di uomini appartengono gli artisti e i contemplativi d'ogni genere, ma anche quegli oziosi che passano la vita a caccia, nei viaggi o in amoreggiamenti e avventure. Tutti costoro vogliono lavoro e ristrettezze in quanto sono connessi col piacere, e anche il lavoro più difficile e più duro, se così dev'essere. Altrimenti, sono di una pigrizia ostinata, anche se questa dovesse comportare miseria, disonore, pericolo per la salute e per la vita. Non temono tanto la noia, quanto il lavoro senza piacere: anzi è loro necessario annoiarsi molto perché il LORO lavoro abbia a riuscire. Per il pensatore e per tutti gli spiriti inventivi, la noia è quella sgradevole "bonaccia" dell'anima, che precede il viaggio felice e i venti giulivi; egli deve sopportare, deve ATTENDERNE in sé gli effetti: proprio QUESTO è ciò che le nature inferiori non riescono assolutamente ad ottenere da se medesime! Fuggire con tutti i mezzi la noia è volgare: come è volgare lavorare senza piacere"
Friedrich Nietzsche, La gaia scienza
io invece vorrei fare la romanica a milano
08/03/11, 13:08ma romanica de roma?
08/03/11, 13:16er tuo gotico charlie
certo, romanica ma con stipendio milanese
08/03/11, 13:20non illudetevi con gli stipendi milanesi... soprattutto perché servono a pagare 3 mila euri per una metratura paragonabile alla ex camera di Franci: ma dove però ci sta tutto, cucina, camera da letto, cantina, box...
08/03/11, 17:33capo, ma la tua è una citazione di cent'anni fa. il lavoro che annoia ma paga lo spirito oltre che le bollette, non esiste più, se mai è esistito. il lavoro, oramai, è solo un mezzo. il lavoro non può diventare fine, ché altrimenti non è più lavoro. quante romanticherie, capo, quante romanticherie...
08/03/11, 22:10il gotico non ha bisogno di grandi metrature, se non in altezza (morale).
09/03/11, 00:40il lavoro come mezzo è un mezzo di trasporto verso la disoccupazione esistenziale.
il lavoro come fine nobilita l'uomo.
Io sono già nobile e occupato ad esistere.
(Ce l'hai una sigaretta da offrirmi?)
Milano: non mi avrai.
14/03/11, 18:40perché no? eddai! così prendi casa sui navigli e ti vengo a trovare.
14/03/11, 20:53bianciardi, la vita agra: identico commento sul metrò milanese
04/04/11, 18:00ah ah: happy che fai copi senza citare?
06/04/11, 14:33Posta un commento