L'amica X mi combina un appuntamento con l'imprenditore Y, alla ricerca di nuove emozioni. Y vuole scrivere le sue memorie. Cerca un ghost writer. Si rivolge a X che gli dice di parlare con me. Io sono Z. Già mi vedo: barricato in un'isola misteriosa, ad ascoltare i segreti più reconditi di 70 anni di alta finanza, tra banchi di nebbia e navi gigantesche, nel tentativo di scoprire come mai i colleghi che mi hanno preceduto (W, J, K) siano morti in circostanze misteriose. Ma l'amica X non è Polanski, e l'isola è un po' più grande di Martha's Vineyard. (I più bacchettoni staranno lì a puntualizzare che io non sono Ewan McGregor: tutta invidia).
Arrivo. Mi fanno aspettare. In piedi. Per tre quarti d'ora. Dilettanti: io sono Z, lo so benissimo che è una prova. Mica ci casco. Aspetto. In piedi. Per tre quarti d'ora. Dopo mi siedo, che mi sono anche un po' rotto il cazzo. Neanche il tempo di rilassarmi e arriva Y, si presenta, sorride. Nessuno dei suoi sottoposti sa perché sono lì. I vietnamiti che sostengono sulle loro spalle i 70 anni di alta finanza mi scrutano con aria sospetta. Faccio finta di niente e seguo Y. Entriamo nella stanza ovale. Siamo in un bunker, sottoterra, nessuno ci può disturbare. Un tavolo, anch'esso ovale. Y da un lato, io dall'altro. Mi guarda. Lo guardo. Mi fissa. Lo fisso. Silenzio. (cut).
Y mi fa alcune domande di circostanza. "Forse non sa con chi ha a che fare", penso. (Io quando penso penso sempre tra virgolette; a volte anche quando parlo). Rispondo circostanziatamente. Lui prende un taccuino, e comincia a prendere appunti mentre parlo. Anche dopo che finisco di rispondere, lui continua a prendere appunti. E tace. Per dei minuti. Scrivendo, e sottolineando. Fa anche le smorfiette. Mi vuole mettere alla prova, di nuovo. Ora, io sarò anche un professionista, ma quando un uomo professionista incontra un uomo con taccuino, l'uomo professionista è un uomo morto, si sa. E lui mi sta mettendo sotto, diciamocela tutta. Devo fare qualcosa. Mentre rispondo riesco a pensare solo a questo: devo fare qualcosa. Ma lui ha il taccuino dalla parte del manico, cazzo. Ripesco nella memoria, un appiglio che mi tiri fuori da questa situazione. Ci sono: L'OTTO. Alla prossima domanda me lo gioco. Si sente furbo, eh? Nella sua posizione di potere. Sente di avermi in pugno. Ma io ho l'otto, e lui non lo sa. All'ennesima domanda per saggiare la mia psicologia contrattacco. "Veda", lo incalzo, "per lei è facile stare lì, fissarmi, fare tutte queste domande. Ma io so benissimo cosa sta facendo". Alza il sopracciglio. "L'ho fatto anch'io, sa? Lo conosco anch'io, l'otto". Rimane interdetto. "Lei adesso mi vuole costringere all'angolo, con questi strani quesiti, i silenzi, gli appunti. Ma io so dove vuole andare. Mi ha preso per uno da due cerchietti?". Finge di non capire. "Lei vuole portarmi ad ammettere di essere uno da due cerchietti, uno sopra l'altro. Ma io sono Z. Sono un uomo dal tratto unico, che si crede". Leggo il panico nei suoi occhi. La spavalderia di poco fa è improvvisamente scomparsa. Ora sono io che comando. "L'otto è un movimento sinuoso e soprattutto UNICO di una penna che mai si stacca dal foglio. E adesso la smetta, e stia un po' a sentire". Per poco non cade dalla sedia. Lo sobisso di domande, per fargli capire chi sono. Pubblico! Editore! Tiratura! Mole! Taglio! Tempi! Obiettivi!
No, soldi no. Figuriamoci. Ghost writer sì, ma gentiluomo. Per i soldi si vedrà: intanto l'ho rimesso al suo posto, Y. Gliel'ho fatta vedere. Vado via con l'aria di chi la sa lunga. Un unico dubbio irrisolto: quello sghignazzo dietro il rumore della porta che si chiudeva.
Arrivo. Mi fanno aspettare. In piedi. Per tre quarti d'ora. Dilettanti: io sono Z, lo so benissimo che è una prova. Mica ci casco. Aspetto. In piedi. Per tre quarti d'ora. Dopo mi siedo, che mi sono anche un po' rotto il cazzo. Neanche il tempo di rilassarmi e arriva Y, si presenta, sorride. Nessuno dei suoi sottoposti sa perché sono lì. I vietnamiti che sostengono sulle loro spalle i 70 anni di alta finanza mi scrutano con aria sospetta. Faccio finta di niente e seguo Y. Entriamo nella stanza ovale. Siamo in un bunker, sottoterra, nessuno ci può disturbare. Un tavolo, anch'esso ovale. Y da un lato, io dall'altro. Mi guarda. Lo guardo. Mi fissa. Lo fisso. Silenzio. (cut).
Y mi fa alcune domande di circostanza. "Forse non sa con chi ha a che fare", penso. (Io quando penso penso sempre tra virgolette; a volte anche quando parlo). Rispondo circostanziatamente. Lui prende un taccuino, e comincia a prendere appunti mentre parlo. Anche dopo che finisco di rispondere, lui continua a prendere appunti. E tace. Per dei minuti. Scrivendo, e sottolineando. Fa anche le smorfiette. Mi vuole mettere alla prova, di nuovo. Ora, io sarò anche un professionista, ma quando un uomo professionista incontra un uomo con taccuino, l'uomo professionista è un uomo morto, si sa. E lui mi sta mettendo sotto, diciamocela tutta. Devo fare qualcosa. Mentre rispondo riesco a pensare solo a questo: devo fare qualcosa. Ma lui ha il taccuino dalla parte del manico, cazzo. Ripesco nella memoria, un appiglio che mi tiri fuori da questa situazione. Ci sono: L'OTTO. Alla prossima domanda me lo gioco. Si sente furbo, eh? Nella sua posizione di potere. Sente di avermi in pugno. Ma io ho l'otto, e lui non lo sa. All'ennesima domanda per saggiare la mia psicologia contrattacco. "Veda", lo incalzo, "per lei è facile stare lì, fissarmi, fare tutte queste domande. Ma io so benissimo cosa sta facendo". Alza il sopracciglio. "L'ho fatto anch'io, sa? Lo conosco anch'io, l'otto". Rimane interdetto. "Lei adesso mi vuole costringere all'angolo, con questi strani quesiti, i silenzi, gli appunti. Ma io so dove vuole andare. Mi ha preso per uno da due cerchietti?". Finge di non capire. "Lei vuole portarmi ad ammettere di essere uno da due cerchietti, uno sopra l'altro. Ma io sono Z. Sono un uomo dal tratto unico, che si crede". Leggo il panico nei suoi occhi. La spavalderia di poco fa è improvvisamente scomparsa. Ora sono io che comando. "L'otto è un movimento sinuoso e soprattutto UNICO di una penna che mai si stacca dal foglio. E adesso la smetta, e stia un po' a sentire". Per poco non cade dalla sedia. Lo sobisso di domande, per fargli capire chi sono. Pubblico! Editore! Tiratura! Mole! Taglio! Tempi! Obiettivi!
No, soldi no. Figuriamoci. Ghost writer sì, ma gentiluomo. Per i soldi si vedrà: intanto l'ho rimesso al suo posto, Y. Gliel'ho fatta vedere. Vado via con l'aria di chi la sa lunga. Un unico dubbio irrisolto: quello sghignazzo dietro il rumore della porta che si chiudeva.
Comments
5 Responses to “the ghost writer”
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io sono per la tariffa d'oro.
02/04/12, 12:08questi soggetti devono esssere disposti a pagare fior di quattrini se vogliono che qualcuno metta mano al loro delirio disorganizzato...
certo, se fossero le mie memorie, ti chiederei di lavorarci aggratiss... ma chi lo conosce questo?
una trattativa, ci vuole una trattativa!
Se Z non va da Y...allora Y resuscita W, J e K. E soprattutto cazzia X. E' una legge dell'imprenditoria fottuta.
02/04/12, 12:18dove si svolge questa meravigliosa scena? in quale città del mondo? non ho capito bene chi sia l'autore, ma a giudicare dalla cosa dell'otto, dovrebbe essere il capo. appunto, capo ma che fine hai fatto? Posso essere io il tuo ghost writer? o il tuo geist wtiter?
03/04/12, 11:46Ma alla fine poi muori stiacciato da un bolide?
27/04/12, 13:38..un capolavoro..
08/05/12, 12:48Posta un commento