Dialogo impossibile tra un certo giovane assessore e l’eminente suo genitore
ATTENZIONE: dialogo frutto di immaginazione. Ogni riferimento a persone e fatti è puramente casuale.
- Che figlio scemo che c’ho. Ma come t’è venuto in mente di dire ste fregnacce
- A papà, disse il figlio dimenticando per un momento l’eleganza del suo naturale accento inglese, ho detto solo la verità. E andiamo, questi so dei poveracci per davvero ce lo sai pure tu...
- Be’ su questo c’hai ragione, se te sei laureato te, se ponno laureà tutti...
- A papà, io me so' laureato, sono il più giovane emerito della nazione e pure del monno, ce l’avrò diritto a di ste cose. Disse il giovane con la voce più nasale del solito, quella naturale, di quando l'agitazione prendeva il posto dei fronzoli e delle formalità.
- Si, si mo’ comincia a fare ‘r genietto. Allora non lo voi capì, te l’ho spiegato mille volte, te devi da sta zitto. Basta de scrive ste cose sur blogge de politica, che poi ti criticano e dobbiamo inventarci mille altre cazzate e me fai perde tempo a replica pure a me. Hai voluto fa’ er maestro, e vabbè. Hai voluto fa’ le consulenze, e vabbè. Hai voluto fa’ l’assessore, e vabbè. Voi scrive articoli sui giornali e sur blogge, e vabbè. Ma almeno non di’ fregnacce che la gente se ne accorge. Voi giovani c’avete un problema, non sapete tenervi il potere. L’onnipotenza non va mai manifestata, a meno che tu non sia un re. O te senti er re?
- ma che, in italia c’è il re? dici che posso diventà re?
- Ahò, proprio non mi segui eh.
- No, no papà, te seguo, te seguo. Me lo hai detto tante volte: “te devi da nasconde con il potere, devi fa mille cose e non te ne devi fare accorgere”.
- Che figlio degenerato. Ma come? t’ho speso i miliardi pe’ le scuole private, me so compromesso pe’ farti fa’ er concorso da maestro e stamo ancora a sti livelli. Lo sai chi so li poveracci veri? Quelli come a te, che a st’ora dovevi essere non meno di Napoleone, altro che assessore de li mortacci tua.
La confusione s’impadronì della testa del giovane rampollo, abbandonandolo a una solitudine e a uno stordimento che mai s’erano manifestati nel salotto di quella casa. Non solo nella storia della famiglia, ma in tutti i 500 anni d’esistenza di quel nobile palazzo al centro della Roma rinascimentale. Il padre lasciò la stanza che stava letteralmente inghiottendo il ragazzo, inglobandolo come una figura senz’anima tra gli affreschi del soffitto.
- ma come? me so laureato, me so dottorato, ho vinto i concorsi, so brillante dinamico e spigliato, poliedrico e colto. Ah papà dovresti esse felice! gridò il ragazzo, ma la sua voce fu inghiottita dalla tappezzeria di velluto e lo sguardo feroce dei cacciatori nell’affresco sul lato della porta si fece quasi compassionevole. La madre del rampollo entrò nel salotto. Il suo vestito di seta, la sua collana di perle, non esisteva al mondo persona più elegante.
- Ah ma’. Papà me sta a gridà, dice che dico fregnacce, che me devo attaccà al potere senza che me faccio vede.
- Ti ho sempre ripetuto che con me devi parlare solo inglese. Smettila di frignare e vattene a casa tua, che ora arrivano le mie amiche.
Il giovane sconsolato si diresse verso l’uscita. Aprì la porta dell'appartamento stando attento a non sbatterla. Scese le scale di granito fino all’atrio. Si fermo un momento ad osservare la fontana del 600 in cui tante volte da bambino avrebbe voluto tuffarsi. Aprì il portone pesante del palazzo e con pochi passi, senza quasi accorgersene, si ritrovò a Campo de Fiori. Il giovane rampollo lambì la statua al centro della piazza e allo stesso tempo un pensiero: prima o poi me ce metteranno a me a posto de sto sfigato qua.