paris

giovedì, febbraio 25, 2010



Quando il protagonista è un fesso

mercoledì, febbraio 10, 2010





È stato CarloCò a incendiarmi le meningi con un’illuminazione improvvisa.
Su Facebook si stava cazzeggiando di Dawson’s Creek, uno dei telefilm più idioti che la tv americana abbia mai prodotto.
Sbertucciando l’espressione totalmente inebetita del protagonista (vedi foto), interpretato dal mono-faccia James Van Der Beek, sono stato sopraffatto dall’illuminazione di cui sopra.
Ho pensato: ma questo qui è veramente un fesso!
E con questo, direte voi. Sembra una banale constatazione. In realtà, secondo me, c’è di più.
Insomma, il fatto che il protagonista di un serial sia riconosciuto da tutti come il più cretino della combriccola è piuttosto strano. 
In teoria, dovrebbe essere l’opposto: il protagonista è fico e intelligente, mentre fra i comprimari si aggirano mediocri, sfigatoni, nerd ultimo stadio.
A Dawson, invece, fanno di tutto: gli fregano la donna sotto gli occhi, lo pigliano per il culo, gli amici tradiscono la sua amicizia... E lui resta sempre lì, con quell’espressione tra l’addolorato e chi sta iniziando a realizzare (ma è un luccichìo breve nel buio della corteccia celebrale...) che se l’è presa metaforicamente nello stoppino.
Insomma, come dicevo all’ottimo CarloCò, trattasi di un "monstrum" narratologico.
In letteratura, accade assai di rado. Anzi, non mi viene in mente un testo in cui il protagonista sia, al tempo stesso: cretino, antipatico e inetto. Attenzione, notate: in contemporanea. Può essere magari cretino, ma allora presenta sicuramente una qualità che ce lo rende “leggibile”, come la bonomia, la comicità involontaria, la sfiga esistenziale...
Madame Bovary è scema come una commentatrice di Uomini e donne, però c’è qualcosa di grandioso nel suo delirio piccolo-borghese di affermazione sociale... etc... 
Ma questo genere di fenomeno, tipico di certe narrazioni seriali, non può essere un caso.
Per esempio, la stessa strategia si riscontra in Grey’s Anatomy – qualitativamente imparagonabile a D’sC – dove accade che la protagonista (la dott.ssa Grey – Ellen Pompeo) è di gran lunga il personaggio più stracciapalle e il medico più scarso di tutta la serie. 
È sempre scazzata, piagnucola, si azzecca ai partner succhiandogli la professionalità, non è nemmeno in grado di operare da sola: ci riesce solo, attenzione, alla quarta/quinta serie, quando la sua amica, la Yang, ha già ottenuto tre specializzazioni e una seconda laurea in nanotecnologie applicate.
Non è un caso, infatti, se anche in GA i personaggi più “empatici” siano quelli secondari.

Da tutto questo sproloquio mentale ho tratto quanto segue:
-         il protagonista è fesso, dunque ci sono molti protagonisti;
-        l’antipatia del protagonista è direttamente proporzionale alla simpatia dei personaggi secondari;
-        "io" spettatore non mi identifico in un personaggio singolo, ma in più personaggi; di conseguenza, la mia dipendenza dalla serie tv aumenta esponenzialmente: ho più trame da seguire.

Non so perché, ma c’è qualcosa di tutto ciò che mi turba non poco... La minchioneria è diventata una categoria narrativa così potente?

Le parole sono importanti

lunedì, febbraio 01, 2010

Può essere perfino abbastanza affascinante che il significante sia se­­­­­­­­­­­­­­­mpre in eccesso rispetto al significato (e così mi sono giocato l’80% dei lettori, per dire una banalità, e cioè che le parole dicono sempre più di quanto non vorrebbero).
Ma esemplifichiamo. Capita, per dire, che becchi la povera Crani, su scaiz, nel momento in cui stai attraversando il punto più basso della tua curva ciclotimica (ovvero quando ti gira parecchio il cazzo); e quindi a quella, piccina, gli tocca di sorbirsi un cofino imparanoiato, quando magari potrebbe impiegare il suo tempo a fare altro – a giocare a farmville, ad esempio).
E così si affronta l’incandescente interrogativo: dov’è la donna per Ferary? Anziché consolarmi, dicendomi l’unica cosa ragionevole da dire in questi casi (“Ma cofino, ’sta cosa è veramente inispiegabile. Sei l’uomo più cool e sezzy dell’orbe terracqueo: ci dev’essere una strana configurazione astrale per cui non sta accadendo l’ovvio, ovvero che tutte le donne desiderino saltarti addosso”), Craca tenta una spiegazione razionale, con consigli razionali, e così finisce che fa quello che non si dovrebbe mai fare, ovvero farmi scontrare con la realtà. “Capisci Cofino, non è che sei popo sto figo” (no?). “Forse dovresti accontentarti di quel che passa il convento. Devi per forza cercare qualcuno, per dire, che abbia entrambe le gambe? Forse no. Forse chiedi troppo. Una donna con una gamba, per te, è già grasso che cola, se ci pensi. Dovresti ringraziare il cielo che abbia ancora l’altra”. Così ti immagini che lei abbia da proporti una sua amica zoppa, ma neanche quella. Allora prosegue: “Vedi, devi prendere qualcuna che non sia socialmente troppo forte. Ci vuole qualcuno di veramente  disperato. Una reietta impopolare, senza amici, che non abbia mai avuto un uomo – tu non reggeresti il confronto con Alvaro Vitali – e magari con qualche tragedia alle spalle, magari, toh, uno zio che le allungava le mani da piccola. Capisci?”
Ma il carico, la mia dolce confidente lo lascia per il finale, nell’elenco dei difetti a causa dei quali non troverò mai una donna. Si lascia sfuggire una parola terrificante, che mai avrei voluto sentire. Dice che sono – e qui cito testualmente – “timidino”.
Timidino.
Occhei, passi pure che uno riconosca la mia timidezza; passi pure che uno mi dica che sono timido. “Sei timido”, lascia pensare ad un essere umano standard, a cui, per convenzione, si attribuiscono una serie di qualità, positive o negative, tra cui quella di essere timido. È timido, ha i capelli biondi, è simpa, è in terza classe ecc ecc.
Passi a maggior ragione che uno ti dica che sei un timidone, che è quella timidezza un po’ dolce e un po’ già disinnescata, di cui si parla con affetto, una cosa con cui si può convivere serenamente, se non gradevolmente. Hugh Grant può essere un timidone, e nel frattempo scoparsi Julia Robers, per dire.
Quello che invece in nessuno dei mondi possibili Hugh Grant potrebbe essere è timidino. Quella parola mefistofelica si porta dietro tutto un universo di sfiga da cui è assolutamente impossibile staccarlo. Timidino significa, anzitutto, non scopabile, neanche su un’isola deserta. Timidino è il nerd del liceo, occhiali spessi, brufoli, segaiolo, che si vomita sulle scarpe non appena sente l’odore di una donna, sudaticcio, che si scarica soft porn perché l’hardcore lo spaventa, che si masturba su Tomb Raider, e che bene che vada fonderà la Microsoft. Un cucciolo, ma ributtante. (Una roba del genere).
Quindi pensateci, prima di affondare qualcuno. La risposta giusta è: “Timido tu? Non direi proprio”.

Poi la questione è diventata internazionale, che pare che trovarmi una donna sia ormai la sfida a cui si dedicano i temerari di tutto il mondo. E dunque la coinquilina del Capo pare mi voglia dare una sua amica (mi immagino che gnocca).
E sentenzia: “Cofe sembra un orso col cuore in mano”.